Identità di genere: il diniego dello Stato alla rettifica dell'atto di nascita del genere in "neutro" o “intersessuale” non viola l'art. 8 della CEDU

La Redazione
01 Febbraio 2023

La Quinta Sezione della Corte europea dei diritti dell'Uomo, con sentenza del 31 gennaio 2023, (ric. n. 76888/17) si è occupata di una controversia contro lo Stato francese riguardante l'intersessualità, ossia quelle persone che presentano una combinazione di caratteri sessuali tali per cui non sono classificabili né nella categoria maschile né in quella femminile. Nel caso di specie, un cittadino francese richiedeva alle Corti francesi la rettifica del proprio stato civile da “sesso maschile” in “intersessuale” o “genere neutro”. Tuttavia, per la Corte EDU, in virtù del principio della separazione dei poteri, il riconoscimento del "terzo genere" spetta al legislatore e lo Stato che si rifiuti di sostituire sul certificato di nascita del richiedente la menzione "sesso maschile" con la menzione "genere neutro" o "intersessuale" non viola l'art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti Umani, ossia il diritto al rispetto della vita privata e familiare.

Il caso all'origine della controversia riguarda un cittadino francese, sposato e che ha adottato, nel corso del matrimonio con la propria moglie, un bambino. Tuttavia, il ricorrente ha dichiarato di essere una persona intersessuale, sebbene il suo certificato di nascita portasse la dicitura «di sesso maschile».

Il ricorrente ha infatti prodotto dei certificati medici da cui risulta che la sua situazione biologica intersessuale era stata accertata fin dai suoi primi giorni di vita e che era rimasta tale fino a quando, all'età di 63 anni, ha deciso di avviare una procedura interna per chiedere la sostituzione sul suo atto di nascita della menzione «sesso maschile» con la menzione «genere neutro» o, in mancanza, «intersessuale».

Oltre alla sua «intersessualità biologica», il ricorrente fa riferimento alla sua «intersessualità psicologica» e a quella «sociale». Egli infatti afferma che, nonostante l'indicazione “sesso maschile” nel suo certificato di nascita, ha mantenuto un'identità di genere intersessuale, né uomo né donna.

Rivoltosi inizialmente al Tribunale di prima istanza di Tours (Francia) – con ricorso del 12 gennaio 2015- il ricorrente ha chiesto al procuratore della Repubblica di adire il presidente di tale giurisdizione affinché sostituisse sul suo atto di nascita il termine «sesso maschile» con «sesso neutro» o, in mancanza, «intersessuale».

Il Procuratore generale ha fatto appello e la Corte d'appello d'Orléans, la quale ha annullato la sentenza del 20 agosto 2015, con sentenza del 22 marzo 2016. Il 4 maggio 2017, anche la Corte di Cassazione francese ha rigettato il ricorso proposto dal ricorrente.

Pertanto, il cittadino francese ha presentato ricorso alla Corte Europea dei diritti dell'Uomo lamentando la violazione da parte delle Corti francesi dell'art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea dei Diritti umani.

La questione che si è posta nel caso di specie è quella di sapere se respingendo la domanda del ricorrente, volta alla richiesta di modifica del suo stato civile fondato sul principio dell'indisponibilità dello stato delle persone e della necessità di preservare la coerenza e la sicurezza degli atti dello stato civile nonché l'organizzazione sociale e giuridica del sistema francese, lo Stato convenuto avesse o meno violato il suo obbligo positivo di garantire al ricorrente il rispetto effettivo della sua vita privata.

In primis, La Corte rileva che un aspetto essenziale dell'intimità della persona si trova al centro stesso della controversia nella misura in cui vi è in causa l'identità di genere e riconosce che la discordanza tra l'identità biologica del ricorrente e la sua identità giuridica, è tale da provocare in lui sofferenza e ansia. I giudici di Strasburgo, analizzando gli interessi contrapposti ed effettuando un bilanciamento degli stessi, hanno verificato poi se, alla luce dei motivi accolti dai giudici interni e di quelli avanzati dal Governo, lo Stato convenuto avesse debitamente soppesato l'interesse generale e gli interessi del ricorrente.

Su tale ponderazione la Corte ha rilevato in primo luogo che, dopo aver constatato che, sul piano biologico, il ricorrente presentava sin dalla sua nascita un'ambiguità sessuale, la Corte d'appello d'Orléans ha sottolineato che attribuire il sesso maschile o il sesso femminile ad un neonato che presenti una tale ambiguità fa correre il rischio di una contrarietà tra tale attribuzione e l'identità sessuale vissuta in età adulta. Essa ha aggiunto che il giusto equilibrio richiesto dall'art. 8 della Convenzione «tra la protezione dello stato delle persone che è di ordine pubblico e il rispetto della vita privata delle persone che presentano una variazione del sviluppo sessuale» comportava la necessità di permettere a queste ultime di ottenere che il loro stato civile non menzionasse alcuna categoria sessuale o che il sesso loro assegnato venisse modificato. Ha tuttavia precisato che ciò avviene solo quando il sesso assegnato «non è in corrispondenza con il loro aspetto fisico e il loro comportamento sociale». La Corte d'appello francese ha successivamente respinto la domanda del ricorrente per il fatto che quest'ultima condizione non era soddisfatta, dopo aver rilevato che egli presentava un aspetto fisico maschile, che era sposato e che insieme alla moglie aveva adottato un bambino.

In secundis, la Corte ha osservato che la Corte d'appello di Orléans ha dichiarato che, allo stato del diritto francese, accogliere la domanda del ricorrente avrebbe equivalso a riconoscere l'esistenza di una categoria sessuale diversa da quella «maschile» e «femminile», che sarebbe rientrata nella valutazione non del giudice ma del legislatore dal momento che tale riconoscimento solleva questioni biologiche, morali o etiche delicate.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte EDU, pur tenendo presente la sofferenza e l'ansia del ricorrente dovuta alla discordanza tra la sua identità biologica e quella giuridica, ha tuttavia ritenuto valide le argomentazioni addotte dalle autorità nazionali in sede di rigetto della domanda del ricorrente, dichiarandone la fondatezza. Invero, per la Corte, il riconoscimento giudiziale di un genere "neutro" avrebbe delle forti ripercussioni sulle norme del diritto francese, impiantato sulla base di due generi, e di conseguenza, comporterebbe numerose modifiche legislative.

Nonostante il ricorrente avesse precisato di non pretendere la legittimazione di un diritto generale al riconoscimento di un “terzo genere” ma la mera rettifica della menzione del suo stato civile, la Corte ha tuttavia chiarito che qualora venisse accolta la domanda del ricorrente, lo Stato dovrebbe poi apporre delle modifiche al proprio diritto interno.

Dunque, poiché non esiste ancora un orientamento europeo condiviso in tale materia, secondo la Corte EDU è opportuno lasciare allo Stato convenuto stabilire se e in che misura rispondere alle richieste delle persone intersessuali, come il richiedente, in materia di stato civile, tenendo debitamente conto della difficile situazione in cui si trovano in relazione al diritto al rispetto della vita privata.

Su questo punto, la Corte ricorda che la Convenzione è uno strumento vivente, che deve sempre essere interpretato e applicato alla luce delle condizioni attuali e che la necessità di misure giuridiche deve dar luogo ad un esame costante, tenuto conto in particolare dell'evoluzione della società.

In conclusione, la Corte ha affermato che la Francia non è venuta meno al suo obbligo di garantire l'effettivo rispetto della vita privata del richiedente, non violando, dunque, l'art. 8 della Convenzione EDU.