Accesso abusivo al sistema informatico del SICP
25 Luglio 2023
La vicenda esaminata trae origine dalla sentenza con cui la Corte d'appello confermava la condanna dell'imputato per il reato di cui agli artt. 48 e 615-ter, comma 2, n. 1, c.p., in quanto quest'ultimo, simulando di essere il difensore di fiducia di E.R.G., induceva l'assistente giudiziario ad accedere al sistema informatico della Procura presso il Tribunale, al fine di verificare le iscrizioni di procedimenti penali a carico E.R.G.
Avverso tale sentenza, ricorreva per cassazione l'imputato, deducendo, per quanto di interesse, erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione in merito alla integrazione della clausola di illiceità speciale prevista dall'art. 615-ter c.p.
Osservava il ricorrente come tale disposizione punisce l'accesso ad un sistema informatico esclusivamente qualora lo stesso sia avvenuto abusivamente, il che sarebbe da escludere nel caso di specie, posto che la funzionaria che lo ha eseguito era abilitata ad accedere al SICP e specificamente incaricata compiere le ricerche all'interno del medesimo.
La Corte di Cassazione ha ritenuto il motivo di ricorso infondato. Come chiarito infatti da Cass. pen, sez. un., 27 ottobre 2011, n. 4694, successivamente confermata sul punto da Cass. pen., sez. un., 18 maggio 2017, n. 41210, «l'accesso abusivo ad un sistema informatico non è soltanto quello compiuto, aggirando le sue protezioni, dal soggetto in alcun modo legittimato ad introdursi nello stesso, ma anche l'accesso eseguito da colui che, sebbene autorizzato ad operare nel sistema, lo faccia per finalità diverse da quelle per cui l'autorizzazione gli è stata concessa». Ciò che rileva, pertanto, è il profilo oggettivo dell'accesso e del trattenimento nel sistema informatico da parte di un soggetto che sostanzialmente non può ritenersi autorizzato ad accedervi ed a permanervi sia allorquando violi i limiti risultanti dal complesso delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema, sia allorquando ponga in essere operazioni di natura ontologicamente diversa da quelle di cui egli è incaricato ed in relazione alle quali l'accesso era a lui consentito. In questi casi, infatti, è proprio il titolo legittimante l'accesso e la permanenza nel sistema che risulta violato, poichè il soggetto agente opera illegittimamente, in quanto il titolare del sistema medesimo lo ha ammesso solo a ben determinate condizioni, in assenza o attraverso la violazione delle quali le operazioni compiute non possono ritenersi assentite dall'autorizzazione ricevuta.
In definitiva, ai fini dell'integrazione della clausola speciale di illiceità prevista dall'art. 615-ter c.p. è dunque irrilevante che l'assistente giudiziario fosse autorizzato ad interrogare il SICP ed anzi specificamente assegnata a svolgere tale compito nelle relazioni con l'utenza, giacchè, nel caso di specie, il suo accesso è stato certamente abusivo – ancorchè inconsapevolmente abusivo, avendo agito perché ingannata dall'imputato in merito alla sua qualifica – in quanto eseguito in difetto delle condizioni che la legittimavano ad operare nel sistema per le finalità di cui all'art. 335, comma 3, c.p.p. |