La Consulta interviene in tema di esecuzione del MAE
31 Luglio 2023
MAE e tutela della salute
Il primo caso riguardava un cittadino italiano con gravi disturbi psichici, la cui consegna era stata richiesta da un tribunale croato, per sottoporlo ad un processo per detenzione e spaccio di stupefacenti. La Corte d'appello di Milano aveva chiesto che fosse dichiarata incostituzionale – per contrasto con il diritto fondamentale alla salute – la mancata previsione della possibilità di rifiutare la consegna di una persona affetta da patologie croniche di durata indeterminabile, incompatibili con la custodia cautelare in carcere.
Con l'ordinanza n. 216/2021, la Corte costituzionale aveva investito della questione la CGUE, ritenendo che – in una materia oggetto di completa armonizzazione da parte del diritto europeo – spettasse ai giudici di Lussemburgo stabilire in quali casi l'autorità giudiziaria di uno Stato membro possa rifiutare l'esecuzione di un mandato di arresto europeo, in nome della necessità di tutelare la salute della persona.
La Corte di giustizia ha fornito la propria risposta con la sentenza E. D.L. del 18 aprile 2023 stabilendo che, in ipotesi eccezionali di grave rischio per la salute della persona, i giudici che ricevono la richiesta devono sollecitare le autorità giudiziarie dello Stato richiedente a trasmettere informazioni sulle condizioni nelle quali la persona verrà detenuta o ospitata, in modo da assicurare adeguata tutela alla sua salute, eventualmente anche collocandola in una struttura non carceraria. Soltanto nell'ipotesi in cui le interlocuzioni non consentano di individuare una simile soluzione, l'esecuzione del mandato d'arresto potrà essere rifiutata.
Alla luce di queste indicazioni, la Corte costituzionale ha giudicato non fondata la questione sollevata dalla Corte d'appello, ritenendo che il meccanismo ora configurato dai giudici di Lussemburgo sia idoneo a fornire adeguata tutela al diritto fondamentale alla salute.
MAE e discriminazioni
Nel secondo caso, invece, l'autorità giudiziaria rumena aveva richiesto all'Italia la consegna di un cittadino moldavo per sottoporlo alla pena detentiva cui era stato condannato, in Romania, per reati di evasione fiscale. Il soggetto era da tempo radicato in Italia, dove aveva significativi legami lavorativi, sociali e familiari. La Corte d'appello di Bologna aveva pertanto chiesto che fosse dichiarata incostituzionale la mancata previsione della possibilità di rifiutare la consegna di un cittadino di uno Stato non appartenente all'Unione europea, ma stabilmente radicato nel territorio italiano, per consentirgli di scontare la sua pena in Italia. I giudici bolognesi osservavano in effetti che questa possibilità è già oggi prevista per i cittadini italiani e per quelli di altri paesi dell'Unione, ma non per i cittadini extracomunitari.
Con l'ordinanza n. 217/2021, la Consulta aveva sottoposto il quesito alla Corte di giustizia. Quest'ultima, con sentenza O.G. del 6 giugno 2023, ha stabilito l'incompatibilità con il principio di uguaglianza davanti alla legge, sancito dall'art. 20 Cedu, di una normativa che discrimini il cittadino extracomunitario dal cittadino di un paese dell'Unione, escludendo in modo assoluto e automatico che possa essere rifiutata l'esecuzione di un mandato d'arresto europeo in situazioni come quella all'esame.
Conseguentemente, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l'art. 18-bis l. n. 69/2005, che disciplina nell'ordinamento italiano il mandato d'arresto europeo, «nella parte in cui non prevede che la corte d'appello possa rifiutare la consegna di una persona ricercata cittadina di uno Stato terzo, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano», alle condizioni precisate dalla Corte di giustizia, affinché possa scontare la propria pena in Italia, per favorirne il reinserimento sociale. Con riferimento alla nuova normativa in vigore dal 2021, la Corte costituzionale ha limitato questa possibilità ai cittadini extracomunitari che risiedano da almeno cinque anni nel territorio italiano, dal momento che questa stessa condizione è oggi legittimamente prevista dal legislatore italiano per i cittadini di altro Stato dell'Unione.
*Fonte: DirittoeGiustizia |