Variazioni del canone di locazione

31 Agosto 2023

Si approfondisce la questione dell’ammissibilità delle variazioni in itinere del canone nel contratto di locazione, avendo riguardo sia dell’aumento che della riduzione di quanto dovuto. Analisi della disciplina delle variazioni nei contratti ad uso abitativo e ad uso non abitativo e delle evoluzioni giurisprudenziali in relazione al canone c.d. a scaletta.

Le variazioni del canone nei contratti di locazione ad uso abitativo

Con locazione ad uso abitativo si vuole intendere il contratto mediante il quale una parte, definita locatore, si obbliga a consegnare all'altra parte, il c.d. conduttore, un immobile da usare come abitazione personale, dietro il pagamento di un canone, per un determinato periodo di tempo, al termine del quale l'immobile dovrà essere restituito dal conduttore al locatore nel medesimo stato in cui è stato inizialmente concesso in godimento.

La L. 431/1998, normativa che regolamenta le locazioni e il rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo, prevede due tipologie di locazione ad uso abitativo:

  • contratto di locazione a canone libero: locatore e conduttore possono accordarsi liberamente in merito all'importo del canone dovuto ma devono rispettare tassativamente la durata del contratto, che dev'essere di quattro anni iniziali e di altri quattro con rinnovo automatico alla scadenza, per tale ragione, nel gergo, viene definito “contratto 4+4”:
  • contratto di locazione a canone concordato: contratto di locazione in cui la determinazione del canone dovuto dal conduttore si basa sul contenuto di accordi territoriali conclusi da organizzazioni rappresentative degli interessi dei conduttori e dei locatori, all'interno dei quali vengono previste delle fasce di tariffe, individuate nel minimo e nel massimo, applicabili alla singola locazione in base alle caratteristiche dell'immobile, alla zona in cui si trova e allo stato di manutenzione dello stesso. La durata dei contratti a canone concordato dev'essere superiore ai tre anni con proroga biennale in assenza di accordo specifico di rinnovo e vengono, infatti, definiti “contratti 3+2”.

Per quanto riguarda i contratti di locazione a canone libero, la dottrina prevalente ha individuato nell'art. 2 c. 1 L. 431/1998 un divieto tassativo alla modifica in itinere del canone di locazione previsto dalle parti in sede di stipula del contratto. In particolare, la norma prevede che, alla seconda scadenza del contratto di locazione, le parti possono liberamente avviare la procedura per il rinnovo a diverse condizioni comunicando la propria intenzione con lettera raccomandata da inviare all'altra parte almeno sei mesi prima della scadenza.

Da ciò si desume che, prima della scadenza del contratto, le parti non possono modificare l'importo del canone dovuto come corrispettivo per il godimento del bene.

Le medesime valutazioni possono essere effettuate con riferimento al contratto di locazione a canone concordato; il comma quinto dell'art. 2 L. 431/1998, infatti, stabilisce che «Alla scadenza del periodo di proroga biennale ciascuna delle parti ha diritto di attivare la procedura per il rinnovo a nuove condizioni o per la rinuncia al rinnovo del contratto comunicando la propria intenzione con lettera raccomandata da inviare all'altra parte almeno sei mesi prima della scadenza», sancendo la modificabilità delle condizioni solo a partire dalla scadenza della proroga biennale. 

Le parti possono, tuttavia, inserire nel contratto la c.d. clausola di adeguamento ISTAT, ossia quella previsione tale per cui conduttore e locatore accettano l'adeguamento automatico del canone di locazione, su base annuale, in relazione agli indici di rivalutazione monetaria; la clausola, infatti, permette di adeguare il canone all'inflazione dei prezzi individuata dall'Istat. L'adeguamento, per quanto riguarda i contratti a canone libero, può essere fino al 100% della variazione Istat; nei contratti a canone concordato, a meno di una diversa pattuizione contenuta negli accordi territoriali, non potrà superare il 75%.

In assenza di una clausola di adeguamento Istat, il locatore non potrà chiedere, in itinere, un canone maggiore di quello pattuito in sede negoziale.

Il divieto di modifica in itinere del contratto di locazione riguarda, secondo la giurisprudenza consolidata, solo la maggiorazione di quanto dovuto dal conduttore; le parti, infatti, possono liberamente procedere ad una riduzione del canone mediante un accordo finalizzato alla rideterminazione del canone dovuto, si tratta di un mutuo consenso prestato dalle parti idoneo alla riduzione dell'importo.  

Le variazioni del canone nei contratti di locazione ad uso commerciale

Per quanto riguarda la possibilità di aumentare il canone di locazione di un immobile ad uso commerciale, la legge prevede esplicitamente un divieto in tal senso.

L'art. 79 c. 1 L. 392/1978 (c.d. Legge sull'equo canone), infatti, stabilisce che «È nulla ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della presente».

Se, infatti, l'art. 32 L. 392/1978 ammette la possibilità di pattuire l'aggiornamento annuale su richiesta del locatore per la variazione del potere di acquisto e dell'inflazione, ogni altra pattuizione che ha ad oggetto dei veri e propri aumenti del canone dovuto è nulla ai sensi dell'art. 79 c. 1 L. 392/1978, in quanto diretta a riconoscere al locatore di un canone più elevato rispetto a quello pattuito. Secondo la giurisprudenza, tale divieto non può essere aggirato con una rinuncia da parte del locatore a non corrispondere aumenti non dovuti (in tal senso, Cass. 22 maggio 2019 n. 34148 e Cass. 14 marzo 2018 n. 6124).

Allo stesso modo, sono nulli tutti i patti successivi al contratto di locazione mediante i quali le parti concordano occultamente un canone diverso, e maggiore, rispetto a quello dichiarato; tale nullità, inoltre, «vitiatur sed non vitiat, con la conseguenza che il solo patto di maggiorazione del canone risulterà insanabilmente nullo, a prescindere dall'avvenuta registrazione» (tra le tante, Cass. 11 maggio 2023 n. 12836).

La previsione del canone c.d. a scaletta

Un tema decisamente ostico riguarda la possibilità di prevedere nel contratto di locazione il c.d. canone a scaletta, ossia una clausola che prevede la determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto (così come definito da Cass. 4 aprile 2017 n. 8669).

Per quanto riguarda la previsione del canone a scaletta in un contratto di locazione ad uso abitativo, la giurisprudenza è unanime nel ritenere la nullità di tale clausola, ritenendo necessario tutelare la posizione del conduttore che, nella maggior parte dei rapporti, si trova nell'impossibilità di difendere ed affermare concretamente i propri interessi.

Il discorso è parzialmente differente nelle locazioni ad uso commerciale

Se, in un primo momento, il canone a scaletta veniva ritenuto un metodo per aggirare il divieto di cui all'art. 79 c. 1 L. 392/1978 e, di conseguenza, non veniva ritenuto ammissibile, la giurisprudenza ha aperto a tale possibilità considerando che la libertà di determinazione del canone «comporta anche il diritto di predeterminare l'importo del canone in misura variabile, e se del caso crescente, di anno in anno, purché ciò avvenga in sede di conclusione del contratto; non per effetto di nuovi accordi stipulati nel corso del rapporto, allorché la posizione del conduttore è indubbiamente più debole rispetto a quella del locatore, a causa degli oneri e delle diseconomie normalmente inerenti all'esigenza di spostare la sede dell'attività (per effetto di un'eventuale, incombente disdetta, o per altro)» (Cass. 5 marzo 2009 n. 5349).

Secondo la giurisprudenza, infatti, nelle locazioni ad uso non abitativo non sono presenti esigenze di tutela del conduttore tali da vietare ex ante la pattuizione di un canone a scaletta, considerando soprattutto il fatto che le parti contrattuali si trovano in parità di forze.

L'aumento del canone a scaletta non deve sottostare ad alcun limite massimo; tale circostanza non si pone in contrasto con l'art. 32 L. 392/1978, dal momento che i limiti posti dalla norma attengono solo all'aggiornamento del canone legato alle variazioni del potere di acquisto della moneta e, in considerazione dell'eccezionalità della previsione, non possono essere estesi analogicamente al di fuori di tale settore (Cass. 5 marzo 2009 n. 5349).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.