Servizi SocialiFonte: L. 8 novembre 2000 n. 328
31 Luglio 2023
Inquadramento
La definizione “servizi sociali” ricomprende una varietà di funzioni amministrative e giudiziarie che lo Stato, le Regioni ed i Comuni demandano a questo settore della pubblica amministrazione, il quale nel corso del tempo ha assunto funzioni che, prima della sua costituzione, erano esercitate da enti caritatevoli, associazioni di beneficienza e religiose. Per “servizi” devono dunque intendersi tutte quelle attività rivolte alla erogazione di prestazioni “sociali”, siano esse di carattere economico, assistenziale, di supporto alle famiglie ed alle persone deboli, che siano dirette al sostegno di persone in stato di bisogno, siano esse minori o maggiorenni. Le funzioni socio assistenziali si svolgono all'interno di un sistema in cui Stato, Regioni ed Enti Locali svolgono compiti differenti. Allo Stato spetta, ai sensi dell'art. 117 lett. m) Cost. (come modificato con la legge Costituzionale n. 1/2001), la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. La Corte Costituzionale ha chiarito (sent. n. 282/2002) che si tratta non di una competenza per materia, che è devoluta alle Regioni, ma di sistema, con l'obiettivo di assicurare un'uniformità di trattamento, sul territorio dello Stato, nella proposta di servizi e interventi finalizzati al godimento dei diritti civili e sociali delle persone, quanto al loro contenuto essenziale. Alle Regioni spetta in via esclusiva la competenza sulla programmazione, coordinamento ed indirizzo nonché nella ripartizione dei finanziamenti assegnati dallo Stato. Ogni Regione si è dotata di una legge quadro sulle politiche socio assistenziali. Ai Comuni spetta la titolarità della funzione amministrativa concernente gli interventi e servizi svolti a livello locale. Per "servizi sociali" si intendono, secondo una prima definizione normativa, tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia (art. 128 d.lgs. n. 112/1998 «conferimento di compiti e funzioni amministrative dallo Stato alle regioni ed agli Enti Locali in attuazione della l.d. n. 59/1997»). Con la legge quadro 328/2000 si è affermato per la prima volta il diritto di ogni persona all'assistenza, intesa come un sistema integrato di interventi e servizi sociali, che «promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli artt. 2, 3 e 38 Cost.»(art 1 l. n. 328/2000). Si può agevolmente notare la differenza tra le due definizioni e la differente impostazione ricavabile dal richiamo al bisogno, operata nella definizione proposta dall'art. 128 del d.lgs. n. 112/1998 rispetto all'evoluzione che ha portato, con la legge quadro sui servizi socioassistenziali, a centrare il fuoco degli interventi e delle politiche non più sul piano della residualità e dell'intervento riparativo, ma su base universalistica e con finalità di attuazione dell'art. 3 comma 2 Cost., quindi sul piano dei diritti. Con la legge n. 328/2000 si è definitivamente abbandonato il concetto di assistenza e beneficenza e si è data dignità di diritto di rango costituzionale alle prestazioni di servizio sociale. A fronte del suddetto quadro normativo, la prassi giurisprudenziale ha, via via, ampliato il campo di intervento del servizio sociale nei procedimenti civili e penali, principalmente per la soluzione di problemi connessi alla conflittualità tra genitori o nella gestione del rapporto tra questi ultimi ed i figli. Un ulteriore ambito di intervento del servizio sociale e è stato introdotto con la legge 154 del 4 aprile 2001, emanata nell'ambito del contrasto alla violenza nelle relazioni familiari. In particolare l'art. 342 ter c.c. prevede l'intervento del servizio sociale del territorio, a tutela del genitore o del minore vittima di maltrattamenti, in seguito all'emissione di un ordine di protezione. Tali poteri sono stati recentemente rimodulati e codificati con l'introduzione degli artt. 473 bis e ss. c.p.c. (L. 206/2021). Particolare rilievo, infine assumono i poteri conferiti al servizio sociale dalla Legge 6 del 9 gennaio 2004, introduttiva della misura di protezione dell'amministrazione di sostegno, con la quale al servizio è conferita la legittimazione attiva a proporre, avanti al giudice tutelare, ricorso ai sensi dell'art. 407 c.c., ovvero a favorire l'intervento del Pubblico Ministero ad agire in tal senso. La funzione amministrativa del servizio sociale: I livelli essenziali delle prestazioni di servizio sociale
La definizione dei cosiddetti LIVEAS (livelli essenziali dell'assistenza sociale) o LEPS (livelli essenziali delle prestazioni sociali) deve essere intesa come la definizione del contenuto essenziale dei prestazioni e servizi, e perciò indefettibile, senza il quale non è possibile che si realizzi il soddisfacimento dei diritti costituzionalmente garantiti dagli artt. 2, 3 e 38 Cost.. La Corte Costituzionale ha affermato che la competenza dello Stato ex art. 117, lett. m) Cost.: «si riferisce alla determinazione degli standard strutturali e qualitativi di prestazioni che, concernendo il soddisfacimento di diritti civili e sociali, devono essere garantiti, con carattere di generalità, a tutti gli aventi diritto». Un esempio di definizione di un livello essenziale di prestazione sociale, nell'ambito del diritto all'educazione ed allo sviluppo del minore, potrebbe essere il seguente: il legislatore statale potrebbe prevedere che i minori figli di genitori entrambi occupati, o appartenenti a nuclei monogenitoriali, abbiano diritto ad accedere ad una serie di servizi; asili nido, baby sitter qualificati o educatori che li sostengano nei compiti scolastici; potrebbe prevedere gli standard di qualità di queste prestazioni e i criteri di partecipazione ai costi da parte degli utenti. È chiaro che la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni di servizio sociale determinerebbe un catalogo di diritti esigibili, cioè costituirebbe il titolo in forza del quale la persona potrebbe esercitare la pretesa, nei confronti della Pubblica Amministrazione, di ricevere determinate prestazioni e servizi, ottenendo in caso di inadempimento o ritardato o inesatto adempimento, la condanna al facere da parte dell'autorità giudiziaria ed anche il risarcimento del danno. La legge finanziaria del 2003 all'art. 46 previde che lo Stato avrebbe adempiuto all'obbligo di definire i LIVEAS di concerto con le Regioni e gli enti locali. Da allora non è stato compiuto alcun passo avanti concreto; l'ultimo intervento governativo, che fa seguito ad un decennio di dibattito parlamentare, proposte di legge ed emendamenti, è del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali che, con il “Piano Nazionale degli Interventi e dei servizi Sociali 2012/2023, ha dettato linee guida per l'applicazione del LIVEAS a livello nazionale. Altra questione in tema di livelli essenziali delle prestazioni è quella della compartecipazione ai costi delle prestazioni stesse. L'art. 3, comma 2-ter,d.lgs. 31 marzo 1998, n. 109 stabilisce che in relazione a questo aspetto, nelle prestazioni a domicilio e residenziali per portatori di handicap grave ed anziani non autosufficienti, si debba tenere conto del solo reddito dell'assistito. Sulla base di tale norma la giurisprudenza ha affermato che il criterio della valutazione della posizione economica del solo assistito: «costituisce uno dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire in modo uniforme nell'intero territorio nazionale» a cui «sia il legislatore regionale sia i regolamenti comunali devono attenersi» (Cons. Stato, sent., 15 febbraio 2011, n. 1607; Cons. Stato, sent., 16 settembre 2011, n. 5185; Cons. Stato, sent., 10 luglio 2012, nn. 4071, 4077, 4085). La Corte Costituzionale, con la sentenza 296/2012, invece, ha affermato il contrario, dichiarando non fondata la questione di incostituzionalità di una norma di legge regionale Toscana che regola la compartecipazione alle spese tenendo conto anche del reddito dei coniugi e dei parenti in linea retta dell'assistito. La Corte ha stabilito che «deve escludersi che la norma di cui all'art. 3, comma 2-ter, d.lgs. n. 109/1998, costituisca un livello essenziale delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, idoneo a vincolare le Regioni ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett. m), Cost. nella materia di competenza legislativa residuale relativa ai servizi sociali». In tema di esigibilità delle prestazioni e compartecipazione ai costi sono recentemente intervenuti atti di riforma (d.P.C.M. n. 159/2013 e d.m. 7 novembre 2014) che hanno portato all'introduzione dal primo gennaio 2015 alla definizione di nuovi criteri per la determinazione dell'ISEE attraverso al DSU, dichiarazione sostitutiva unica. Al riguardo si segnala l'interessante pronuncia Cassazione civile sez. I, 22 febbraio 2022, n.5869, con la quale viene stabilito che in tema di interventi sociali, assistenziali e sociosanitari volti a garantire un aiuto concreto alle persone ed alle famiglie in difficoltà, spetta al comune territorialmente competente, nell'esercizio dei compiti e delle funzioni normativamente attribuitegli in materia dall'art. 6, commi 2 e 3, della l. n. 328 del 2000, la definizione dei parametri per la valutazione delle condizioni di povertà, di limitato reddito e di incapacità totale o parziale per inabilità fisica e psichica, e delle relative condizioni per usufruire delle prestazioni. L'ente, inoltre, può assumere obblighi diversi, anche di impegno economico meramente temporaneo, rispetto a quello per cui lo stesso è già tenuto, ove previamente informato, laddove si renda necessario il ricovero stabile presso strutture residenziali del soggetto avente diritto alla corrispondente prestazione. In tal caso, però, atteso il limite della disponibilità delle risorse comunali in base ai piani nazionali, regionali e di zona degli interventi e dei servizi sociali, quell'impegno più circoscritto delimita in concreto l'entità dell'obbligazione assunta dal comune medesimo nei riguardi di chi esegue la prestazione assistenziale dopo averne accettato la corrispondente richiesta del primo. I compiti del servizio sociale nel sistema giustizia
L'intervento del servizio sociale all'interno dell'ordinamento giudiziario avviene sia nel settore penale che in quello civile. In campo penale gli operatori sono inseriti all'interno dell'organico del Ministero della Giustizia ed inseriti nell'ufficio per adulti sottoposti ad esecuzione penale, Ufficio Esecuzione Penale Esterna (UEPE) ed Ufficio di servizio sociale per i Minorenni, il quale interviene di concerto con il Tribunale per i Minorenni territorialmente competente fin dall'inizio del processo. La funzione del servizio in ambito penale è stata incrementata in seguito all'introduzione della sospensione del processo penale per messa alla prova e per l'applicazione di tutte le misure alternative alla detenzione. In tale ambito il servizio sociale coordina le attività relative e gestisce le strutture presso le quali adulti e minori scontano la misura alternativa alla detenzione. Misura principale è rappresentata dall'affidamento in prova ai servizi sociali, previsto e disciplinato dall'articolo 47, D.p.r. n. 354/1976, il quale stabilisce che, se la pena detentiva inflitta non supera i tre anni, il condannato ha la possibilità di essere affidato ai servizi sociali fuori dell'istituto per un periodo uguale a quello della pena da scontare. Il provvedimento viene adottato sulla base dei risultati della osservazione della personalità, condotta collegialmente per almeno un mese in istituto, nei casi nei quali si può ritenere che lo stesso, anche attraverso le prescrizioni delle quali al comma 5, contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati. In generale la funzione del servizio sociale in ambito giustizia può schematizzarsi in cinque macro aree:
Una delle principali (e più frequenti) funzioni che il servizio sociale è chiamato a svolgere all'interno del processo familiare riguarda i compiti che il giudice può al medesimo attribuire nel caso in cui venga disposto l'affidamento del minore al servizio sociale territorialmente competente.In primo luogo, deve essere distinto il concetto di affidamento da quello di responsabilità genitoriale. Normalmente all'interno della famiglia le funzioni coincidono: il diritto – dovere dei genitori di istruire ed educare i propri figli coincide con la facoltà di incidere sulle decisioni inerenti la loro vita quotidiana, esercitando essi le facoltà ed i doveri che derivano dal loro ruolo. In caso di parziale inidoneità genitoriale, invece, la legge prevede la facoltà per il giudice di affidare i minori al servizio sociale, pur potendo mantenerne la collocazione presso i genitori medesimi e senza privarli della responsabilità genitoriale.La norma di riferimento di tale intervento è certamente l'art. 333 c.c.; Il giudice, in questo caso, dovrà stabilire quali siano le prerogative ed i compiti di intervento degli operatori del servizio sociale, limitando le facoltà decisionali dei genitori solo in campi predefiniti (solitamente quelli legati al conflitto genitoriale) e lasciando dunque loro residua capacità di azione, anche in concerto con gli operatori stessi.Interessante al riguardo la pronuncia di Trib. Ravenna 8 ottobre 2021, secondo la quale “L'affidamento del figlio minore ai servizi sociali disposto dall'autorità giurisdizionale rientra nei provvedimenti opportuni e convenienti nell'interesse del minore stesso, finalizzati a superare la condotta pregiudizievole di uno o di entrambi i genitori, senza però dar luogo alla pronuncia di decadenza dalla responsabilità genitoriale; tale decisione è da preferire tutte le volte in cui vi siano pesanti dubbi in ordine alla convenienza di un affidamento congiunto del figlio minore, qualora, sulla base degli elementi raccolti in giudizio, emerga una situazione genitoriale particolarmente complessa”Secondo Cass civ I sez. 31902/2018, “La decisione con la quale l'autorità giudiziaria dispone l'affidamento del minore ai servizi sociali rientra nei provvedimenti convenienti per l'interesse del minore, di cui all'art. 333 c.c., in quanto diretta a superare la condotta pregiudizievole di uno o di entrambi i genitori senza dar luogo alla pronuncia di decadenza dalla responsabilità genitoriale ex art. 330 c.c., ha natura di atto di giurisdizione non contenziosa e, anche quando non sia previsto un termine finale dell'affidamento, esso è privo del carattere della definitività, risultando sempre revocabile e reclamabile, secondo il disposto di cui all'art. 333, comma 2, c.c.” (pronuncia confermata anche da Cass civ. 28676/2022).La misura, pertanto, potrà sempre essere revocata, ampliata o rimodellata, a seconda delle necessità che si presenteranno nel corso del procedimento.
La funzione del servizio sociale nel nuovo articolo 403 c.c.
La riforma introdotta dalla legge 206/2021 ha posto un forte limite all'attività del servizio sociale in riferimento alla disposizione di cui al novellato art. 403 c.c., spesso fonte di contraddizioni e di applicazioni arbitrarie da parte dell'Autorità procedente. La vecchia formulazione della norma, risalente al 1942, prevedeva che “quando il minore è moralmente o materialmente abbandonato o è allevato in luoghi insalubri o pericolosi oppure da persone che per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi incapaci di provvedere all'educazione di lui, la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell'infanzia, lo colloca in un luogo sicuro sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione”. Dalla stessa lettura della norma, ricordiamo in vigore fino a qualche mese fa, è possibile evincere come la fattispecie fosse improntata a garantire alla Autorità giudiziaria un intervento rapido ed invasivo all'interno del nucleo familiare presso il quale il minore era collocato, senza poi prevedere adeguate garanzie processuali per i genitori da cui il minore era allontanato a tutela dei propri diritti. D'altronde, nel contesto normativo nel quale la norma ha visto la luce, i diritti relazionali delle persone non erano tutelati come diritti fondamentali, in quanto lo Stato rappresentava una Autorità superiore che aveva un ambito di azione arbitrario e prevalente. Nonostante le numerose riforme che, dopo oltre 70 anni dall'entrata in vigore del codice civile, hanno visto un profondo mutamento del diritto di famiglia, l'impianto dell'art. 403 c.c. ha resistito come era stato originariamente pensato fino a pochi mesi fa, dando adito ad applicazioni contraddittorie ed autoritarie, poco compatibili con una moderna e costituzionale tutela dei diritti del minore. Fino alla novella del 2022, infatti, il procedimento, che poteva avere impulso proprio dal servizio sociale, prevedeva sì un successivo vaglio del Tribunale per i Minorenni, ma esso non era normato circa i tempi di risposta dell'autorità giudicante, particolarmente rilevanti in questo delicato campo, né tantomeno era disciplinato il diritto delle parti a partecipare al procedimento. Era dunque compito del giudice procedente cercare di interpretare le modalità applicative della norma, limitando l'intervento coattivo del servizio sociale ai casi di violazione dei cd. diritti fondamentali di solidarietà familiare che tutelano l'interesse della persona, in tal caso minore di età, a ricevere quel sostegno e guida necessari per la sua crescita. Alcuni tribunali avevano anche cercato di formulare una definizione del generico concetto di abbandono morale e materiale prospettato dal vecchio 403 c.c., da individuarsi nella mancanza di quella carica affettiva indispensabile ad una sana ed equilibrata crescita fisica e psicologica del minore (v. Trib. min.Caltanissetta, 26 agosto 2022). L'applicazione, a volte abnorme, di detta normativa ha comportato anche condanne risarcitorie dei Comuni di appartenenza del servizio sociale procedente, rei di aver attivato senza una reale necessità un procedimento di allontanamento del minore dalla propria famiglia (v. Cass. civ. sez. III, 16 ottobre 2015, n. 20928, v. anche Trib min Bologna 13 gennaio 2011; con tale decisione il giudice non confermava l'allontanamento di un minore dall'abitazione familiare riscontrando carenza di motivazione nella decisione assunta dal servizio sociale). La novella del 2022 ha il merito di aver posto fine allo strapotere che il servizio sociale aveva in questo ambito, in primo luogo limitando l'intervento ai soli casi nei quali vi sia urgenza di provvedere che pericolo per l'incolumità psico fisica del minore. L'autorità procedente, poi, entro 24 ore dall'adozione del provvedimento, ha l'obbligo di trasmettere gli atti al Pubblico ministero il quale, entro le successive 72 ore, se non dispone la revoca della misura ne chiede la convalida al Tribunale per i Minorenni, il quale provvede nelle successive 48 ore. Il mancato rispetto dei termini previsti determina la perdita di efficacia della misura. La nuova formulazione dell'art. 403 c.c. dunque, se da un lato mantiene in capo al servizio sociale, seppur in via residuale, la possibilità di intervenire in caso imminente necessità di tutela del minore, dall'altro lato consente una efficacia verifica di quanto dal medesimo attuato da parte del Tribunale dei Minorenni, contingentandone i tempi di azione a pena di decadenza della misura. Tra le prime pronunce relative all'applicazione del nuovo art. 403 si segnala Trib. min. Bologna 17 aprile 2023 secondo il quale “Tra i presupposti introdotti dalla legge 206/2021 per la misura dell'allontanamento dei minori da parte della Pubblica Autorità vi è, oltre all'abbandono ed al pericolo, l'emergenza di provvedere, circostanza negativa improvvisa che può comportare conseguenze gravi se non gestita immediatamente” Si segnala anche che la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, per regolamentare l'applicazione della nuova normativa e disciplinare il nuovo ruolo del servizio sociale ha emanato, in data 23 maggio 2022, la direttiva 2/22 contenente le linee giuda applicative per operatori socio sanitari e forze di polizia, reperibili in https://www.procmin.milano.giustizia.it. L'intervento del servizio sociale nel processo civile dopo la riforma del processo familiare (Legge 26 novembre 2021 n. 206)
La recente riforma del processo familiare, entrata in vigore dal 28 febbraio 2023, ha come noto introdotto il rito familiare unico, sottoponendo alle medesime regole processuali tutti i procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni, ed alle famiglie in precedenza sottoposti alla competenza del Tribunale per i minorenni ovvero disciplinati dal rito di volontaria giurisdizione. Tale riforma ha comportato un ampliamento dei poteri istruttori e d esecutivi del giudice, rafforzando anche il ruolo che il servizio sociale potrebbe avere all'interno del processo. Si consideri ad esempio quanto previsto agli artt. 473-bis.6 c.p.c.; la norma, che introduce una corsia preferenziale processuale in caso di rifiuto del minore ad incontrare il genitore, indica come il giudice, nello svolgimento della propria attività atta ad accertare le cause del rifiuto, debba assumere informazioni al riguardo. È dunque automatico dedurre che la fonte primaria di tali informazioni non potrà che essere il servizio sociale, il quale sarà incaricato di vagliare le problematiche sottese alle relazioni del nucleo familiare per cercare di individuare le ragioni di detto rifiuto. Un altro sicuro ambito di intervento del servizio è previsto dalla riforma nell'ambito del ricorso del Pubblico Ministero ex art 473-bis.13 c.p.c.; la norma indica come il PM debba allegare al ricorso tutti i documenti relativi agli accertamenti svolti ed alle informazioni assunte, informazioni la cui fonte primaria non potrà che essere rappresentata, ancora una volta, dalle relazioni del servizio sociale. Il servizio prenderà dunque contatto con il nucleo familiare per il quale viene richiesto l'intervento giudiziario, fornendo al PM un quadro aggiornato della situazione familiare e delle criticità riscontrate. Un importante ruolo del servizio sociale è potenzialmente riscontrabile anche nella nuova disciplina della Consulenza tecnica d'ufficio, riformata con il nuovo articolo 473-bis.25. Storicamente (e per prassi consolidata) tra CTU e operatori del servizio vi sono sempre stati contatti, collaborazioni ed anche contrasti, tanto che gli operatori del diritto sovente utilizzavano la consulenza tecnica d'ufficio per contrastare relazioni sfavorevoli egli operatori pubblici. La nuova disciplina dovrebbe portare un maggior coordinamento tra le rispettive attività, anche perché essa esplicita come, nella sua relazione, il consulente dovrà tenere ben distinti i fatti osservati direttamente dalle dichiarazioni delle parti e dei terzi. Il CTU dunque, dovrà comparare la sua valutazione a quella del servizio, tendendo distinte metodologie e conclusioni, così evitando di “appiattirsi” senza motivazione su posizioni di altri soggetti intervenuti. Allo stesso tempo il CTU potrà indicare “eventuali specifiche proposte di intervento a sostegno del nucleo familiare e del minore (473-bis.25 ult. comma). Tale attività sarà svolta di concerto con il servizio sociale intervenuto, il quale potrà essere chiamato a coordinarsi con il perito al fine di applicare nel concreto le soluzioni tecniche suggerite. La norma che, però, maggiormente incide sull'attività del servizio sociale nell'ambito del nuovo processo familiare è senza dubbio rappresentata dall'art. 473-bis.27 c.p.c., la quale disciplina esplicitamente l'intervento del servizio all'interno del procedimento a tutela dei minori. Prima dell'introduzione della citata norma l'attività del servizio sociale all'interno del processo civile familiare non era sottoposta ad una disciplina codicistica organica, lo svolgimento dell'incarico ed i relativi poteri erano disciplinati da prassi e giurisprudenza, rendendo così difficile per le difese, ma anche per lo stesso giudice, monitorare l'attività disposta e verificarne l'attinenza al thema decidendum. L'articolo in esame, invece, prevede espressamente che, qualora voglia disporre l'intervento del servizio sociale, il giudice sia tenuto ad indicarne in modo specifico l'attività che deve essere svolta, fissando altresì i termini entro i quali gli operatori saranno tenuti a depositare una relazione periodica sull'intervento messo in campo. Sulla relazione depositata le parti potranno prendere una posizione tramite il deposito di memorie difensive. Come per la CTU, anche la relazione degli operatori dovrà tenere distinte tra loro le dichiarazioni rese dalle parti e dai terzi dalle valutazioni tecniche formulate le quali, ove aventi oggetto profili di personalità dei genitori del minore o di altri soggetti, dovranno essere fondate su dati oggettivi e su protocolli riconosciuti dalla comunità scientifica, da indicare espressamente nella relazione. Tale disposizione ha lo scopo di evitar relazioni troppo generiche, che mescolino i racconti delle parti coinvolte ai fatti accertati ma, soprattutto, vuole evitare che le valutazioni del servizio non siano proposte su basi scientifiche quando incidano su questioni fondamentali ai fini del decidere, come ad esempio avviene con l'accertamento dei profili personologici delle parti. All'ultimo comma l'art. 473-bis.25 c.p.c. indica anche come le parti possano prendere visione ed estrarre copia delle relazioni del servizio sociale che siano trasmesse all'autorità giudiziaria, salvo che la legge non disponga altrimenti. Un ulteriore ambito di intervento del servizio sociale nel nuovo processo familiare è contenuto nella previsione di cui all'art. 473-bis.38 c.p.c., riguardante l'attuazione dei provvedimenti sull'affidamento. Al sesto comma, infatti, l'innovativa disposizione prevede che il giudice, per l'esecuzione delle proprie decisioni, possa anche ricorrere all'uso della forza, che in tal caso deve avvenire soltanto se assolutamente indispensabile e sotto la vigilanza di personale specializzato, anche sociale e sanitario. Il servizio sociale, dunque, potrà assumere un ruolo di particolare rilievo nell'attuazione di tutte quelle disposizioni del giudice (si pensi agli allontanamenti familiari o alle sottrazioni) nelle quali potrebbe doversi ricorrere ad azioni coattive, che dovranno necessariamente contemperare la tutela del diritto ad agire con l'interesse del minore a vedere salvaguardata la propria salute psicofisica. Un accenno merita, infine, l'art. 473-bis.44 c.p.c., inserito nel nuovo capo III del titolo IV bis introdotto con la riforma e relativo alle misure di contrasto della violenza domestica o di genere. La norma citata, nell'ambito dell'attività istruttoria intrapresa dal giudice, prevede come lo stesso possa incaricare il servizio sociale di compiere accertamenti diretti a tutelare la vittima delle violenze o degli abusi, conferendo dunque al servizio un ruolo di primo piano nel contrasto al fenomeno e dotandolo di poteri di intervento più incisivi.
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