Diritto alla pensione anticipata ed esercizio transnazionale della professione di avvocato alla luce della libertà di stabilimento e di circolazione

Milena Talarico
01 Agosto 2023

Con sentenza del 15 settembre 2022, C-58/21, la CGUE si è pronunciata su una controversia relativa al rigetto di una domanda di concessione di pensione anticipata di vecchiaia presentata in Austria da un libero professionista avvocato in Germania, Austria e Svizzera. In merito, la Corte ha affermato la non applicabilità delle norme di conflitto del caso di specie (art. 13, par. 2, del regolamento (CE) n. 883/2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale), nel caso in cui si dovesse stabilire se una persona residente in uno Stato membro in cui si trova anche il centro di interessi delle proprie attività, ma esercente al contempo un'attività in altri due Stati membri, sia direttamente titolare di diritti nei confronti delle istituzioni di uno di tali due Stati membri secondo i contributi versati nel corso di uno specifico periodo. Inoltre, secondo i giudici di Lussemburgo, la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei lavoratori ostano a una normativa nazionale che subordina la concessione di una prestazione di prepensionamento alla rinuncia dell'interessato a esercitare la professione forense, senza tenere in considerazione lo Stato membro in cui l'attività viene esercitata.
Massima

Le norme di conflitto previste dall'art. 13, par. 2, del regolamento (CE) n. 883/2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, non sono applicabili qualora si tratti di dover stabilire se una persona residente in uno Stato membro in cui si trova anche il centro di interessi delle proprie attività, ma esercente al contempo un'attività in altri due Stati membri, sia direttamente titolare di diritti nei confronti delle istituzioni di uno di tali due Stati membri sulla base di contributi versati nel corso di un dato periodo.

Gli artt. 45 e 49 TFUE devono esser interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che subordina la concessione di una prestazione di prepensionamento alla rinuncia dell'interessato a esercitare la professione forense, senza tener conto dello Stato membro in cui l'attività di cui trattasi viene esercitata.

Il caso

La sentenza della Corte trae origine da una domanda di pronuncia pregiudiziale sull'interpretazione dell'art. 13, par. 2, del regolamento (CE) 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio in tema di coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, con particolare riferimento ai criteri di collegamento tra soggetto agente e Stato membro al fine di individuare la disciplina statale applicabile al soggetto che eserciti, contemporaneamente, attività lavorativa autonoma nel territorio di due o più Stati membri.

In particolare, la questione viene presentata nell'ambito di una controversia relativa al rigetto di una domanda di concessione di pensione anticipata di vecchiaia presentata in Austria da un libero professionista esercente la professione di avvocato in Germania, Austria e Svizzera.

Il professionista in questione, cittadino polacco e tedesco, iscritto dal 1984 all'albo dell'Ordine degli avvocati di Colonia (Germania), nel 1996 avvia l'iscrizione all'Ordine degli avvocati di Vienna e ivi esercita la professione forense, a completamento dell'attività svolta in Germania, versando contributi al regimeprevidenziale austriaco.

Dal 2007, tuttavia, il domicilio e centro di interessi delle attività dell'avvocato si trasferisce in Svizzera, ove esercita la professione di avvocato grazie all'iscrizione nell'elenco degli avvocati cittadini di uno Stato membro dell'UE o dell'AELS, in forza dell'iscrizione all'albo dell'Ordine degli Avvocati di Colonia.

Da quel momento il tempo dedicato allo svolgimento della professione forense in Germania si riduce progressivamente a vantaggio di quello dedicato in Svizzera (70% del tempo complessivo dedicato alla professione forense), mentre il tempo dedicato alla professione in Austria non supera mai il 10% del totale.

Già percettore di una pensione anticipata di vecchiaia in Germania, l'avvocato presenta anche all'Ordine degli avvocati di Vienna una richiesta di pensione anticipata a decorrere dal novembre 2017 dichiarando di rinunciare all'esercizio della professione in Austria, pur mantenendo l'iscrizione all'albo degli avvocati dell'Ordine di Colonia e nell'elenco degli avvocati cittadini di uno Stato membro dell'UE o dell'AELS, in Svizzera.

L'Ordine degli avvocati austriaco rigetta la domanda in quanto il Regolamento sull'esercizio della professione forense (Rechtsanwaltsordnung, di seguito “RAO”) presuppone all'art. 50 la rinuncia dell'interessato all'esercizio della professione “in qualsiasi luogo”.

L'avvocato propone ricorso avverso tale decisione dinanzi al Tribunale amministrativo di Vienna, giudice del rinvio, che conferma la decisione. Fa seguito un ricorso straordinario alla Corte Amministrativa di Vienna che annulla la decisione sostenendo che il Tribunale amministrativo di Vienna avesse omesso di accertare i fatti rientranti nell'ambito di applicazione del diritto dell'Unione.

Investito della controversia di cui al procedimento principale, il giudice del rinvio pur ritenendo che l'art. 13 par. 2 del citato regolamento (CE) 883/2004 consenta di individuare la legislazione applicabile a chi eserciti un'attività autonoma in due o più Stati membri, si interroga sull'interpretazione da dare alla disposizione citata nell'ipotesi in cui né la residenza, né il centro di interessi dell'attività della persona si trovino in uno Stato membro, ossia in Svizzera.

Ancora, nell'ipotesi in cui nel caso di specie dovesse ritenersi correttamente applicabile la legislazione austriaca, il giudice del rinvio si chiede se la RAO sia conforme al diritto dell'Unione, in particolare ai principi di parità di trattamento e di non discriminazione, al diritto di proprietà e alla libera circolazione delle persone, o anche alla libertà di stabilimento e, in caso di risposta negativa, se sia necessario disapplicare la normativa austriaca in forza del principio del primato del diritto dell'Unione.

Vengono così sottoposte alla Corte due questioni pregiudiziali.

La prima questione pregiudiziale: l'applicazione delle norme di conflitto di cui al regolamento (CE) n. 883/2004

Prima di affrontare nel merito la prima questione pregiudiziale, la Corte osserva che, contrariamente a quanto affermato dal Giudice del rinvio, la Confederazione svizzera non debba esser considerata nel caso di specie uno Stato terzo, bensì uno Stato membro dell'Unione Europea.

Ciò in ragione del fatto che l'Accordo CE-Svizzera nella sezione A dell'allegato II prevede che il termine “Stato membro” debba riferirsi anche alla Svizzera in tutti i regolamenti richiamati nella sezione stessa, tra cui il regolamento (CEE) 1408/71 e il regolamento (CE) 883/2004.

Tanto premesso, la Corte si trova a dover riformulare la prima domanda posta dal Giudice del rinvio. Questi, infatti, in base a quanto sopra detto sulla natura di Stato membro da riconoscersi alla Svizzera, ha erroneamente legato la sua domanda all'interpretazione dell'art. 13, par. 2, lett b) del regolamento (CE) 883/2004, anziché all'art. 13 par. 2 lett. a) che, nel caso di esercizio abituale di attività lavorativa in due o più Stati membri, prevede invece l'applicabilità della legislazione dello Stato membro di residenza ove si eserciti parte sostanziale della propria attività (nel caso di specie la Svizzera).

La Corte, pertanto, avvalendosi di una prerogativa propria del suo ruolo di cooperazione con i giudici nazionali riformula la prima questione pregiudiziale, interpretando una diversa disposizione del diritto dell'Unione (ossia l'art. 13, par. 2, lett. a) del regolamento (CE) 883/2004).

Spetta infatti alla Corte riformulare le questioni che le sono sottoposte e interpretare tutte le disposizioni del diritto dell'Unione che possano essere utili ai giudici nazionali per dirimere la controversia per cui sono stati aditi, anche qualora tali disposizioni non siano espressamente richiamate nelle questioni a essa sottoposte.

Per giurisprudenza costante della Corte, la stessa è abilitata a trarre dalla motivazione della domanda pregiudiziale e dall'oggetto della controversia gli elementi utili a individuare le disposizioni del diritto dell'Unione che richiedono realmente un'interpretazione (si v. CGUE, 19 ottobre 2017, C-531/15; CGUE 19 settembre 2018, C-41/17).

Tanto premesso, la Corte si sofferma sulla vera questione che il giudice a quo avrebbe dovuto affrontare, ossia la funzione stessa delle norme di conflitto di cui al Regolamento (CE) 883/2004 e la loro utile applicazione rispetto al caso di specie.

Tali disposizioni istituiscono un sistema di coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale che disciplina la determinazione della legislazione applicabile a lavoratori autonomi o subordinati che esercitino il proprio diritto alla libera circolazione (si v. CGUE, 26 ottobre 2016, C-269/15, punto 33; CGUE 16 luglio 2020, C-610/18, punto 40).

Secondo il citato sistema di coordinamento, alle persone che lavorano spostandosi tra più Stati dell'Unione si applica la legislazione di un solo Stato membro, in modo da evitare le complicazioni ed eventuali disparità di trattamento che potrebbero derivare dal cumulo totale o parziale di più legislazioni astrattamente applicabili (in tal senso: CGUE, 26 febbraio 2015, C-623/13; CGUE, 16 luglio 2020, C-610/18, punto 40).

L'art. 13 del regolamento (CE) 883/2004 sancisce il principio dell'unicità della legislazione applicabile, stabilendo in primis l'applicazione del criterio di residenza (come già indicato nella previgente normativa di cui all'art. 14- bis, par. 2 del regolamento (CEE) 1408/71) e aggiungendo il criterio del luogo di esercizio della parte sostanziale della attività (da intendersi in senso quantitativo), operante anche qualora il centro di interessi delle attività stesse si trovi in uno Stato membro non coincidente con quello di residenza.

Ciò detto, la Corte evidenzia che il sistema delle norme di conflitto istituito dal regolamento (CE) 883/2004 ha quale precipua finalità quella di privare il legislatore di uno Stato membro del potere di determinare le condizioni di applicabilità della propria normativa nazionale con riferimento alle persone alla stessa assoggettate e al territorio all'interno del quale le disposizioni stesse producono effetti (in tal senso i precedenti giurisprudenziali: CGUE, 26 febbraio 2015, C-623/13; CGUE, 19 settembre 2019, C-95/18 e C-96/18).

Pur tuttavia, prosegue la Corte sul punto, il principio di unicità della legislazione applicabile non può privare uno Stato membro della facoltà di concedere, in applicazione del proprio diritto nazionale, prestazioni familiari o una pensione di vecchiaiaa un lavoratore migrante che sia assoggettato alla legislazione di altro Stato membro ai sensi del più volte citato art. 13 del Regolamento (così anche CGUE, 23 aprile 2015, C-382/13; CGUE, 19 settembre 2019, C-95/18 e C-96/18).

Il regolamento (CE) 883/2004, del resto, non organizza un regime previdenziale comune, ma lascia sussistere regimi nazionali distinti che danno luogo a crediti distinti nei confronti di istituzioni nazionali distinte, limitandosi a un mero coordinamento degli stessi (in tal senso si v. la pronuncia CGUE, 21 febbraio 2013, C-619/11, punto 39).

Le norme di conflitto di cui al regolamento (CE) 883/2004 non disciplinano infatti la questione se un lavoratore abbia o meno diritto a una prestazione acquisita sulla base di contributi versati nel corso di un certo periodo al regime previdenziale di uno Stato membro.

Alla luce di tali osservazioni, la Corte sottolinea come nel caso di specie la questione da sottoporre avrebbe dovuto riguardare non già l'applicabilità degli artt. 11 e 13 del regolamento (CE) 883/2004, bensì l'applicabilità del regime previsto dalla normativa austriaca a cui il lavoratore aveva versato dei contributi.

In particolare, a detta della Corte il lavoratore in questione può essere ammesso a beneficiare dell'assicurazione facoltativa continuata in Austria, ancorché questi sia obbligatoriamente soggetto alla legislazione di un altro Stato membro (la Svizzera), avendo peraltro iniziato a versare contributi al regime speciale di assicurazione delle persone che esercitano la professione forense in Austria già da quanto tale regime non rientrava nell'ambito di applicazione del regolamento (CEE) 1408/71, sostituito dal regolamento (CE) 883/2004, e poi anche successivamente.

La seconda questione pregiudiziale: sistema previdenziale nazionale e tutela delle libertà di cui agli artt. 45 e 49 TFUE

La seconda questione pregiudiziale riguarda invece la compatibilità rispetto al diritto dell'Unione di una normativa nazionale che subordini la concessione di una prestazione di prepensionamento alla rinuncia all'esercizio della professione forense non solo nel territorio dello Stato membro di cui si tratta ma anche all'estero.

Prima di entrare nel merito di tale questione, la Corte ricorda che ciascun soggetto titolare della cittadinanza di uno Stato membro che eserciti la professione forense e si sposti in un altro Stato membro per esercitarla può rientrare sia nell'ambito dell'art. 49 TFUE relativo alla libertà di stabilimento (qualora il professionista riceva compensi dai clienti), sia nell'ambito dell'art. 45 TFUE sulla libera circolazione dei lavoratori (qualora la retribuzione assuma la forma di un salario).

Tanto premesso, la Corte ricorda che se è vero che il regolamento (CE) 883/2004 non istituisce un regime comune di previdenza sociale, cionondimeno gli Stati membri, conservando la propria competenza a disciplinare i sistemi di previdenza sociale e le condizioni cui è subordinato il diritto alle singole prestazioni sociali, devono rispettare il diritto dell'Unione e, in particolare, le disposizioni del TFUE in materia di libertà di circolazione e soggiorno sul territorio degli Stati membri e di libertà di stabilimento (in proposito CGUE, 21 febbraio 2013, C-282/11; CGUE, 5 novembre 2014, C-103/13; CGUE, 21 ottobre 2021, C-866/19).

Nel caso di specie, la legislazione austriaca che richiede la rinuncia all'esercizio della professione forense sia a livello nazionale che all'estero, appare idonea a dissuadere gli aventi diritto alla citata pensione dall'esercizio della propria libertà di circolazione o di stabilimento.

La Corte osserva che una tale limitazione delle libertà di cui agli artt. 45 e 49 del TFUE è ammissibile sono ove persegua uno scopo compatibile con i principi del TFUE e sia giustificata da motivi imperativi di interesse generale (si v. in particolare CGUE, 17 dicembre 2020, C-218/19, punto 32; CGUE, 5 novembre 2014, C-103/13, punto 46).

In proposito il governo austriaco, nell'ambito del procedimento principale, riconduce la richiesta di rinuncia all'esercizio della professione forense a motivi imperativi di interesse generale: la sostituzione della pensione a un reddito precedente, con l'obiettivo non solo di tutelare le persone che esercitano la professione forense dalla concorrenza di quelle già in pensione, ma anche di garantire la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico di vecchiaia, peraltro non rientrante nel sistema pensionistico di diritto comune.

La Corte, già in altre occasioni, ha riconosciuto la legittimità di obiettivi di politica occupazionale quale quello di stabilire limiti di età per la cessazione obbligatoria dell'attività al fine di agevolare una più equilibrata ripartizione tra le varie fasce di età (in tal senso CGUE, 21 luglio 2011, C-150/10 e C-160/10, punto 50), evidenziandone la compatibilità con la finalità della promozione di elevati livelli di occupazione prevista dall'art. 3, par. 3 del TUE (CGUE, 2 aprile 2020, C-670-18, punto 36).

Nel solco di tali precedenti giurisprudenziali, la Corte ritiene che una legislazione nazionale che disciplini il mercato del lavoro al fine di liberare posti di lavoro occupati da persone prossime all'età pensionabile e di porre in atto una benefica apertura alla concorrenza tra professionisti, persegua legittimi obiettivi di politica occupazionale finalizzati al raggiungimento di elevati livelli di occupazione.

Tuttavia, ciò che la Corte sottolinea è la sproporzione della richiesta di rinuncia all'esercizio della professione forense, sia nel territorio dello Stato membro di cui trattasi sia all'estero, rispetto a quanto necessario per il perseguimento dei citati obiettivi.

Per quanto concerne poi l'obiettivo di sostenibilità finanziaria, se è pur vero che un rischio di grave alterazione dell'equilibrio finanziario del sistema previdenziale può costituire motivo di interesse generale (in tal senso CGUE, 11 gennaio 2007, C-208/05), tuttavia la Corte non ritiene sufficientemente chiare le spiegazioni fornite dal governo austriaco sui rischi di grave alterazione cui sarebbe esposto il sistema di finanziamento del regime in questione per effetto di eventuali beneficiari di prestazioni di prepensionamento che continuino a esercitare la professione forense in altri Stati membri.

Alla luce delle suesposte considerazioni la Corte risponde alla seconda questione pregiudiziale dichiarando che gli artt. 45 e 49 TFUE devono esser interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che subordini la concessione di un prestazione di prepensionamento a una rinuncia generalizzata dell'esercizio della professione forense, senza tener conto del particolare Stato membro in cui tale attività venga esercitata.

La Corte di Cassazione in tema di esercizio della professione di avvocato e applicazione dei principi di coordinamento di cui al regolamento (CE) 883/2004

La tematica del rapporto tra norme di coordinamento dei sistemi di protezione sociale ed esercizio della professione di avvocato si ritrova anche nella pronuncia della Cass., 19 marzo 2018, n. 6776.

In particolare, la Corte di Cassazione affronta la specifica questione dell'obbligo di iscrizione alla Cassa forense italiana con relativa obbligazione contributiva e di comunicazione dei redditi professionali con riferimento ad un avvocato cittadino di un paese dell'UE, già iscritto all'albo di tale Stato membro (nel caso di specie, la Germania), che eserciti attività professionale in prevalenza in Italia.

La decisione parte dall'assunto dell'indisponibilità e inderogabilità della materia previdenziale, con conseguente impossibilità per il soggetto interessato alla tutela previdenziale sia di scegliere la legislazione di sicurezza sociale dello Stato in cui desidera che venga attuata la propria protezione sociale, sia di decidere se conformarsi o meno alle prescrizioni dell'ente previdenziale deputato a presidiare le regole di sicurezza sociale.

Nel caso in esame, la Corte di Cassazione ritiene che il professionista sia assoggettabile alla legislazione italiana in materia di sicurezza sociale e, di conseguenza, agli obblighi di iscrizione alla Cassa forense con relativa obbligazione contributiva e di dichiarazione reddituale.

Ciò in ragione della continuità di esercizio della professione, della produzione di redditi e assolvimento delle obbligazioni tributarie in Italia, luogo di residenza oltre che centro di interessi del professionista stesso.

A detta della Corte di Cassazione trova dunque applicazione ratione temporis, ratione personae e ratione materie la normativa di cui al regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, n. 883 e in particolare l'art. 13.

La citata disposizione normativa individua il principale criterio di collegamento ai fini dell'individuazione della legislazione applicabile nello Stato di residenza ove si eserciti una parte sostanziale dell'attività, intendendosi come tale l'attività quantitativamente più rilevante di tutto il complesso delle attività esercitate. Il che, con riferimento ai lavoratori autonomi, implica una valutazione in termini di fatturato, orario di lavoro, numero di servizi prestati e/o di reddito prodotto (si v. in proposito il regolamento (CE) 987/2009 esplicativo delle modalità applicative del regolamento (CE) 883/2004).

Riferimenti giurisprudenziali

Giurisprudenza della CGUE:

  • Sul potere della Corte di riformulare le questioni che le sono sottoposte e interpretare tutte le disposizioni del diritto dell'Unione che possano essere utili ai giudici nazionali per dirimere la controversia per cui sono stati aditi, anche qualora tali disposizioni non siano espressamente richiamate nelle questioni a essa sottoposte: CGUE,19 ottobre 2017, C-531/15; CGUE, 19 settembre 2018, C-41/17.

  • Sul sistema di coordinamento di cui al regolamento (CE) 883/2004 e applicazione della legislazione di un solo Stato membro, in modo da evitare le complicazioni ed eventuali disparità di trattamento che potrebbero derivare dal cumulo totale o parziale di più legislazioni astrattamente applicabili: CGUE, 26 febbraio 2015, C-623/13; CGUE, 16 luglio 2020, C-610/18, punto 40.

  • Sul principio di unicità della legislazione applicabile ai sensi del regolamento (CE) 883/2004 e i suoi limiti: CGUE, 23 aprile 2015, C-382/13; CGUE, 19 settembre 2019, C-95/18 e C-96/18.

  • Sull'ammissibilità di limitazioni alle libertà di cui agli artt. 45 e 49 del TFUE per scopi compatibili con il TFUE o per motivi imperativi di interesse generale: CGUE, 17 dicembre 2020, C-218/19, punto 32; CGUE, 5 novembre 2014, C-103/13, punto 46.

  • Sull'obbligo per gli Stati membri di rispettare il diritto dell'Unione e, in particolare, le disposizioni del TFUE in materia di libertà di circolazione e soggiorno sul territorio degli Stati membri e di libertà di stabilimento, pur conservando la propria competenza a disciplinare i sistemi di previdenza sociale: CGUE, 21 febbraio 2013, C-282/11; CGUE, 5 novembre 2014, C-103/13; CGUE,21 ottobre 2021, C-866/19.

  • Sulla legittimità di obiettivi di politica occupazionale e relativa compatibilità con la finalità della promozione di elevati livelli di occupazione prevista dall'art. 3, par. 3 TUE: CGUE, 21 luglio 2011, C-150/10 e C-160/10, punto 50; CGUE, 2 aprile 2020, C-670-18, punto 36.

Giurisprudenza della Corte di Cassazione:

  • Cass., sez. lav., 19 marzo 2018, n. 6776.