Immobile abusivo: quando il promissario acquirente rimane vincolato?
29 Agosto 2023
La vicenda oggetto della pronuncia in discorso ruota attorno alla stipulazione di un contratto preliminare di compravendita di immobile abusivo in quanto privo del certificato di abitabilità. In specie, le parti stipulavano detto preliminare prevedendo, tra l'altro, l'onere per il promittente venditore di presentare domanda per la concessione in sanatoria, così come tutte le somme dovute a saldo della oblazione e dei contributi urbanistici ai fini del rilascio della concessione in sanatoria e certificato di agibilità. Di fronte al rifiuto del promissario acquirente di stipulare il contratto definitivo a causa della mancata consegna del certificato di abitabilità dell'immobile, il promittente venditore chiedeva la risoluzione del contratto per inadempimento. Accolta domanda di risoluzione dal giudice di prime cure, in grado d'appello la decisione veniva riformata – con il rigetto della domanda di risoluzione – ritenendo, i giudici del gravame, che il rifiuto del promissario acquirente fosse ben giustificato dalla mancata consegna del certificato di abitabilità, essendo specifico obbligo del venditore, ai sensi dell'art. 1477 c.c., consegnare tale documento all'acquirente, quale requisito della fruibilità e commerciabilità dell'immobile stesso. Con il primo motivo di ricorso per la cassazione della pronuncia d'appello, il promittente venditore censurava proprio questo percorso argomentativo, sostenendone l'erroneità. In sostanza, la parte sosteneva che, visto l'art. 40 L. 47/1985, il trasferimento dell'immobile abusivo non implica anche la consegna del certificato di abitabilità o agibilità in sanatoria, bensì della mera domanda in sanatoria e degli estremi del pagamento delle prime due rate dell'oblazione. Con il secondo motivo si lamentava che la Corte, nell'interpretare il contratto preliminare, non si fosse attenuta al dato testuale, dal quale risultava che le parti, avendo convenuto esclusivamente la presentazione della domanda, e non l'ottenimento della concessione in sanatoria, non avrebbero attribuito alcuna rilevanza a quest'ultima, ai fini della stipulazione del definitivo. La Corte di cassazione ha ritenuto i due motivi ammissibili e fondati. In particolare, i giudici di legittimità segnalano che in sede di contratto preliminare le parti, evidentemente entrambe a conoscenza delle difformità sull'immobile, avevano previsto la necessità di attivare il procedimento in sanatoria, ponendo a carico del promittente venditore il relativo onere. Non risulta, invece, che le parti avessero stabilito che la stipulazione del contratto definitivo sarebbe stata rimandata alla definizione del procedimento di sanatoria. Da ciò, si ricava che il promissario acquirente si era reso disponibile a stipulare l'atto definitivo solo una volta presentata la semplice domanda di sanatoria ed assolti gli oneri di spesa, senza attendere la definizione del procedimento amministrativo. La Corte, pertanto, richiama il principio, più volte ribadito, secondo cui “il venditore ha, in generale, l'obbligo di reperire e consegnare il certificato di agibilità, quale requisito per la usufruibilità e commercializzazione futura del bene, non potendo altrimenti considerarsi adempiente rispetto alle obbligazioni nascenti dal contratto. Proprio la riconducibilità di tale omissione nella categoria dell'inadempimento porta a ritenere che l'oggetto sia disponibile e che quindi l'acquirente possa rinunciarvi ovvero non possa contestare la sua mancanza tutte le volte in cui abbia manifestato l'intenzione di non considerare la sua consegna decisiva per l'acquisto dell'immobile (Cass. 5 giugno 2020 n. 10665)”. |