Il concorso nel delitto di cui all'art. 73 d.P.R. n. 309/1990: è possibile riconoscere l'ipotesi lieve solo per alcuni correi?

08 Agosto 2023

È possibile che, in relazione alla medesima condotta di detenzione a fini di spaccio o di cessione di sostanze stupefacenti, posta in essere da una pluralità di correi, alcuni di essi rispondano del reato “ordinario”, incriminato (a seconda del tipo di droga) dal primo o dal quarto comma dell'art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, ed altri soggiacciano alle più miti pene del fatto “lieve”, previsto dal quinto comma del medesimo art. 73 del Testo unico?Il persistente contrasto, nella più recente giurisprudenza di legittimità, tra i due opposti orientamenti ha determinato la remissione della questione controversa alle sezioni unite.

In un procedimento a carico di numerosi imputati, tratti a giudizio per plurimi delitti in materia di stupefacenti commessi in un contesto associativo, tre di essi si dolevano, innanzi ai giudici di legittimità, della qualificazione giuridica di alcuni reati-fine, posto che il medesimo fatto per il quale loro avevano riportato condanna ai sensi del primo comma dell'art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, era stato riqualificato, nei confronti dei loro concorrenti, ai sensi del quinto comma del medesimo art. 73 del Testo unico.

I giudici di appello avevano, invero, ritenuto che «é ben possibile che in tema di concorso di persone nel reato di cessione di stupefacenti, il medesimo fatto storico possa essere ascritto ad un imputato ai sensi dell'art. 73, comma 1, e ad un altro imputato a norma dell'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990 qualora il contesto complessivo nel quale si collochi la condotta assuma caratteri differenziali per ciascun correo. In siffatta valutazione infatti non assume rilevanza solo il dato qualitativo o quantitativo della sostanza detenuto o ceduto bensì il disvalore complessivo del fatto di reato delineato dalle modalità dell'azione».

La Quarta sezione, con l'ordinanza in esame, ha constatato che il tema è caratterizzato da un persistente contrasto giurisprudenziale, ed ha, pertanto, rimesso la questione giuridica all'esame delle Sezioni unite.

Ed invero, secondo una prima opzione interpretativa, qualificata dalla dottrina come “teoria della fattispecie plurisoggettiva eventuale”, la combinazione tra le norme sul concorso di persone nel reato e quelle di parte speciale genera “tante fattispecie plurisoggettive differenziate quanti sono i concorrenti”: dette fattispecie, pur avendo in comune “il medesimo nucleo di accadimento materiale”, «si distinguerebbero tra loro per l'atteggiamento psichico (che è, per ciascuna di esse, quello proprio del compartecipe che si considera) e per taluni aspetti esteriori (che ineriscono soltanto alla condotta, dell'uno o dell'altro compartecipe); di conseguenza, sarebbe ammissibile anche l'affermazione di responsabilità a diverso titolo per due o più dei diversi concorrenti».

Se, dunque, le condotte dei diversi partecipi sono apprezzabili in termini differenti, il medesimo fatto di spaccio o di detenzione può essere qualificato diversamente per ciascun concorrente: «in tal caso l'art. 110 c.p. avrebbe la funzione di disciplina del fenomeno concorsuale rendendo applicabile ai concorrenti il regime delle circostanze del concorso e quello dell'estensione delle cause di giustificazione, essendo le condotte di alcuni partecipi già di per sé tipiche».

Questo orientamento, calibrato sulla persona del colpevole piuttosto che sul fatto tipico di concorso, troverebbe conferma nel teso dell'art. 112, ultimo comma,c.p., che, «non specificando le ragioni per cui taluno dei concorrenti non sia imputabile o punibile, sembrerebbe ammettere la configurabilità del concorso di persone anche nel caso della non punibilità relativa, non quindi nel senso di una carenza assoluta di punibilità ma di una punibilità per un titolo diverso di reato che, unendosi a quello degli altri concorrenti, contribuisca alla produzione della medesima offesa tipica».

Ulteriore, implicita, conferma si ricaverebbe dagli artt. 116 e 117 c.p.: ed invero, la “parificazione” prevista dall'art.117 c.p. - applicabile solo quando il concorrente cd. extraneus non abbia consapevolezza delle condizioni o delle qualità personali del concorrente cd. intraneus, o dei rapporti fra questi e l'offeso, in presenza delle quali o dei quali muta il titolo di reato - «trova fondamento nella necessità di evitare che alcuni concorrenti siano puniti per un reato e altri per un diverso titolo unicamente perché abbiano interferito particolari qualità di uno di essi o particolari rapporti di costui con la persona offesa. Di conseguenza, quando il mutamento del reato è determinato da circostanze diverse da quelle costituite dalle condizioni o dalle qualità personali del colpevole, o dai rapporti fra il colpevole e l'offeso, e il soggetto a carico del quale è configurabile la responsabilità per la fattispecie meno grave non ha consapevolezza degli elementi qualificanti la vicenda in modo deteriore per l'altro concorrente, la “parificazione” del titolo di responsabilità non può verificarsi a norma dell'art. 110c.p., né ex art. 117 c.p.; sarà semmai applicabile la disciplina di cui all'art. 116 c.p., sempre che ne sussistano i necessari presupposti, anche con riferimento al profilo soggettivo. Ora, l'inapplicabilità della disciplina di cui agli artt. 116 e 117 c.p., che ha la funzione di «aggravare» la responsabilità per uno o più dei concorrenti anche in deroga agli ordinari principi in tema di colpevolezza, non potrebbe, salvo l'ipotesi di diversa indicazione normativa, comportare addirittura una “parificazione” in mitius a vantaggio di uno o più di essi: le due disposizioni appena citate risultano escludere, in linea generale, che l'istituto del concorso di persone nel reato possa dare luogo ad una mitigazione della responsabilità penale, e rendono quindi ragionevole, in caso di loro inapplicabilità, correlare il titolo della stessa, per ciascun agente, al fatto al medesimo riferibile oggettivamente e soggettivamente, nel rispetto del principio di cui all'art. 27, comma 1, Cost.».

Il principio ha trovato applicazione, ad esempio, in tema di riciclaggio (essendosi affermato che il soggetto non concorrente nel reato presupposto, il quale contribuisca alla realizzazione, da parte dell'autore di quest'ultimo, di condotte di autoriciclaggio, risponde di riciclaggio e non di concorso nel delitto di autoriciclaggio: cfr. Cass. pen., sez. II, 17 gennaio 2018, n. 17245), e, più volte, proprio in materia di stupefacenti, essendosi statuito che il medesimo episodio di cessione (o detenzione) di sostanza stupefacente può essere ascritto a un imputato a norma dell'art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309/1990, e ad un altro imputato a norma dell'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, quando, ai fini della qualificazione del fatto, rilevi il contesto complessivo nel quale si colloca la condotta, e di questo contesto sia oggettivamente e soggettivamente partecipe il primo soggetto, ma non anche il secondo (cfr. Cass. pen., sez. III, 4 febbraio 2022, n. 20234; Cass. pen., sez.III, 20 febbraio 2020, n. 16598; Cass. pen., sez.VI, 9 novembre 2018, n. 2157).

Secondo l'opposto orientamento, invece, l'art. 110 c.p. non consentirebbe di differenziare il titolo di responsabilità dei diversi concorrenti nel medesimo fatto: “a favore di detta opzione interpretativa milita l'interpretazione sistematica delle regole sulla compartecipazione criminosa, dalle quali si desume la necessaria parificazione della responsabilità dei concorrenti come comprovato dagli artt. 116 e 117 c.p. che, in quanto eccezioni, confermerebbero plasticamente che la regola è proprio quella della pari responsabilità dei concorrenti”.

Per questo si è ripetutamente affermato che, in tema di concorso di persone nel reato di detenzione o cessione di sostanze stupefacenti, il medesimo fatto storico non può essere qualificato ai sensi dell'art. 73, comma 1 o 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, nei confronti di alcuni concorrenti e contemporaneamente ricondotto nell'ambito dell'art. 73, comma 5, nei confronti di altri, stante l'unicità del reato nel quale si concorre, che non può, quindi, atteggiarsi in modo diverso rispetto ai singoli concorrenti (cfr. Cass. pen., sez. IV, 5 maggio 2022, n.37732; Cass. pen., sez. IV, 27 gennaio 2022, n.7098; Cass. pen., sez.IV, 7 luglio 2021, n. 30233; Cass. pen., sez.IV, 24 aprile 2020, n. 13898).

Peraltro, rilevano i sostenitori di questo orientamento, «la lieve entità caratterizza in modo oggettivo e globale la fattispecie, sicché tale qualifica non può dipendere da peculiarità soggettive di uno dei concorrenti, né configurarsi in modo frammentario rispetto soltanto ad alcuni di essi, salva la diversa determinazione del trattamento sanzionatorio per il singolo sulla base dei criteri dettati dall'art.133 c.p., dall'art. 114 c.p. o dalle disposizioni in materia di recidiva» (cfr. Cass. pen., sez. IV, 18 giugno 2019, n. 34413).

La decisione dei ricorsi è stata, pertanto, rimessa alle Sezioni Unite, ai fini della soluzione della seguente questione giuridica controversa: «Se, in tema di concorso di persone nel reato di detenzione o cessione di sostanze stupefacenti, il medesimo fatto storico possa essere o meno qualificato ai sensi dell'art. 73, comma 1 o 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, nei confronti di alcuni concorrenti e contemporaneamente ricondotto nell'ambito dell'art. 73, comma 5, nei confronti di altri».

Il massimo consesso nomofilattico esaminerà la questione all'udienza del 14 dicembre 2023.

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