D.l. n. 105/2023: ancora una volta, novità in tema di intercettazioni
11 Agosto 2023
Premessa
È destino che il tema delle intercettazioni sia destinato a costituire un costante variabile nell'ambito del sistema penale. Per differenti ragioni e in vari modi si tratta di un argomento che è sempre di attualità e in questo senso il d.l. n. 105/2023 (Rubricato «Disposizioni urgenti in materia di processo penale, processo civile, di contrasto agli incendi boschivi, di recupero dalle tossicodipendenze, nonché in materia di personale della magistratura, del ministero della giustizia e del ministero della cultura» in GU Serie Generale n. 186 del 10-08-2023, in vigore dal 11 agosto 2023) rappresenta l'ennesima tappa di un percorso a dire poco tormentato, che ha già suscitato reazioni vivaci. Due sono gli articoli nel d.lgs. che hanno per oggetto le intercettazioni, come vedremo, anche se quello sul quale si discute (e si discuterà a lungo) è l'art. 1 (Disposizioni in materia di intercettazioni), inserito alla luce della «straordinaria necessità e urgenza di introdurre disposizioni in materia di processo penale per consentire il suo efficace svolgimento rispetto ad alcune tipologie delittuose e per rendere efficiente e sicura l'attività di intercettazione». Questo il testo: «1- Le disposizioni di cui all'articolo 13 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, si applicano anche nei procedimenti per i delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 452-quaterdecies e 630 del codice penale, ovvero commessi con finalità di terrorismo o avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis c.p. o al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo. 2. La disposizione del comma 1 si applica anche nei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto». Come rilevabile dal comunicato del CdM del 8 agosto 2023 «Al fine di rafforzare gli strumenti di contrasto a reati di particolare gravità, si stabilisce espressamente che la disciplina speciale in materia di intercettazioni per lo svolgimento delle indagini in relazione ad un delitto di criminalità organizzata o di minaccia col mezzo del telefono, che prevede condizioni meno stringenti per l'autorizzazione e la proroga delle intercettazioni stesse, si applichi anche a fattispecie di reato che esprimono un'offensività omogenea rispetto a quelle di criminalità organizzata e, in particolare, ai delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 452-quaterdecies (attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti) e 630 c.p. (sequestro di persona a scopo di estorsione), o commessi con finalità di terrorismo o avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis c.p. (forza di intimidazione del vincolo associativo e condizione di assoggettamento e di omertà che ne derivano) o al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo (associazioni di tipo mafioso). Si stabilisce che le nuove disposizioni si applichino anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del decreto-legge». Come è noto, rispetto alla disciplina “ordinaria” della captazione di cui agli artt. 266 ss. c.p.p., l'art. 13 d.l. n. 152/1991, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 203/1991, ha delineato la disciplina stabilita per l'intercettazione per lo svolgimento delle indagini in relazione ad un delitto di criminalità organizzata o di minaccia col mezzo del telefono: «In deroga a quanto disposto dall'art. 267 c.p.p., l'autorizzazione a disporre le operazioni previste dall'art. 266 dello stesso codice è data, con decreto motivato, quando l'intercettazione è necessaria per lo svolgimento delle indagini in relazione ad un delitto di criminalità organizzata o di minaccia col mezzo del telefono in ordine ai quali sussistano sufficienti indizi. Quando si tratta di intercettazione di comunicazioni tra presenti disposta in un procedimento relativo a un delitto di criminalità organizzata e che avvenga nei luoghi indicati dall'articolo 614 c.p., l'intercettazione è consentita anche se non vi è motivo di ritenere che nei luoghi predetti si stia svolgendo l'attività criminosa». Si tratta di captazioni per le quali, in deroga a quanto disposto dall'art. 267 c.p.p. l'autorizzazione a disporre le operazioni previste dall'art. 266 dello stesso codice è data, con decreto motivato, quando l'intercettazione:
È di tutta evidenza come si tratta di una di regime più favorevole sotto vari profili per l'utilizzo di tale strumento investigativo. La volontà del provvedimento in oggetto riguarda la necessità di evitare- sulla base di una interpretazione giurisprudenziale minoritaria- una significativa limitazione della possibilità di applicare la disciplina di cui al menzionato articolo 13. Tutto nasce da una nota decisione delle S.U. della S.C. (Cass pen., sez. un., 28 aprile 2016, n. 26889, Scurato, Rv. 266905 – 01) che aveva enucleato il seguente principio di diritto "Per reati di criminalità organizzata devono intendersi non solo quelli elencati nell'art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p., ma anche quelli comunque facenti capo a un'associazione per delinquere, ex art. 416 c.p., correlata alle attività criminose più diverse, con esclusione del mero concorso di persone nel reato». Tale principio, per molti aspetti sedimentatosi nel sistema, sarebbe stato messo in discussione da una decisione della sezione I della S.C. (Cass. pen., sez. I, 30 marzo 2022, 34895, Rv. Rv. 283499 – 01), per la quale in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, per delitti di "criminalità organizzata", di cui all'art. 13 d.l. 13 maggio 1991 n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, devono intendersi tutti i reati di tipo associativo, anche comuni, correlati ad attività criminose più diverse, ai quali è riferito il richiamo ai delitti elencati nell'art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p., con esclusione delle ipotesi di mero concorso nei delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all'art. 416-bis c.p. ovvero al fine di agevolarne l'attività. La S.C. ha precisato che «indefettibile … per integrare la nozione di delitti di "criminalità organizzata", è la contestazione di una fattispecie associativa, anche comune, con la sola esclusione del concorso di persone nel reato. Solo tenendo conto di tutto l'impianto argomentativo di sezioni unite, Scurato, dunque, può correttamente interpretarsi il riferimento, contenuto nella parte enunciativa del principio di diritto, ai delitti "elencati nell'art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p., che la Corte di merito ha interpretato, erroneamente, nel suo significato "letterale", senza correlarlo al più ampio contesto argomentativo della decisione. Ed invero, potendo farsi rientrare nella nozione di delitti di "criminalità organizzata" solo fattispecie criminose associative, comuni e non, è evidente che il richiamo ai delitti elencati nell'art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p. non può che intendersi riferito ai delitti associativi annoverati in quell'elenco, e non, anche, ai delitti non associativi, per quanto commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416-bis c.p. ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dal suddetto articolo.” In particolare, inoltre si deve riferire il concetto di "criminalità organizzata" “a ogni delitto associativo, correlato alle attività criminose più diverse, ideate da una pluralità di soggetti che, a tal fine, abbiano costituito un apparato organizzativo”, così che “un reato che non presenti elementi strutturali di tal fatta (ovvero una stabile organizzazione programrnaticamente ispirata alla commissione di più reati), pur se caratterizzato da un "metodo" idoneo a evocare dati comportamentali propri della criminalità mafiosa o pur se realizzato da un soggetto mosso dalla finalità di agevolazione di organismi mafiosi, non è, di per sé, un reato "di criminalità organizzata». Interpretazione che porterebbe a una riduzione in termini consistenti l'ambito di applicazione della disciplina di cui all'art. 13 citato, potendo l'applicazione generalizzata dei principi affermati in una sentenza della Prima Sezione della Cassazione , nella valutazione operata dal Governo, comportare il rischio della «l'inutilizzabilità del materiale probatorio acquisito sulla base dell'interpretazione precedente, che consentiva l'utilizzo degli strumenti previsti per la lotta alla criminalità organizzata anche in assenza della contestazione del reato associativo» e che il d.l. n. 105/2023 intende al contrario mantenere, prevedendo l'espressa applicazione «anche nei procedimenti per i delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 452-quaterdecies e 630 c.p., ovvero commessi con finalità di terrorismo o avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis del codice penale o al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo».. In realtà la sentenza della prima sezione evidenzia una continuità ermeneutica tra la sentenza Scurato e le S.U. Petrarca (Cass. pen., sez. un. 22 marzo 2005, n. 17706, Rv. 230895 – 01) e Donadio (Cass. pen., sez. un. 15 luglio 2010, n. 37501, Rv. 247994 – 01), di modo che la portata “innovativa” della stessa non pare facilmente ravvisabile. Il problema riguarda, casomai, l'applicazione del principio enucleato dalle S.U. in relazione alle due differente aggravanti ad effetto speciale previste dall'art. 416-bis.1 c.p., quella del c.d. metodo mafioso e quella della c.d. finalità mafiosa. Può essere ragionevole un'interpretazione del concetto di reati di criminalità organizzata tale da includere quelli aggravati dalla finalità mafiosa, atteso che, come precisato dalla S.C. (Cass. pen., sez. II, 19 gennaio 2023, n. 2137) si deve ritenere che, ai fini della configurabilità in capo a un non affiliato della aggravante mafiosa soggettiva della finalità di agevolazione delle attività di un gruppo criminale effettivamente esistente, richiede l'effettiva esistenza di quest'ultimo, anche se prescinde (a differenza del concorso esterno) dalla verifica dell'efficacia causale sul suo mantenimento in vita o rafforzamento. Al contrario, un delitto aggravato dal metodo mafioso posto in essere anche da più soggetti in concorso, non necessariamente presuppone l'effettiva esistenza di gruppo, anche perché- sul piano logico- a fronte della sussistenza di tale gruppo, dovrebbe essere ravvisata il delitto di partecipazione associativa mafiosa ai sensi dell'art. 416-bis, comma 2, c.p., tale da giustificare di per sé l'applicazione della disciplina del menzionato art. 13. Le critiche al provvedimento in oggetto non sono rivolte in particolare sulla finalità espressa indirettamente (ossia di non limitare l'uso di uno strumento di ricerca della prova di grande efficacia rispetto a fattispecie di notevole impatto criminale) quando sulle modalità dell'intervento. In primo luogo, anche non volendo accedere alla interpretazione sopra riportata sul limitato impatto innovativo della sentenza della prima sezione, si tratterebbe comunque di una singola sezione, rispetto alla quale si può (o almeno si dovrebbe) ritenere prevalente l'indicazione fornita dalla S.U.; ci si è domandato pertanto la necessità di intervenire su un quadro ermeneutico che, globalmente inteso, non avrebbe potuto ritenersi modificato. In estrema sintesi, si può ritenere che il messaggio sia “lasciate fare alla giurisprudenza…”. In secondo luogo, non paiono facilmente ravvisabili i presupposti applicativi della necessità ed urgenza tali da giustificare l'utilizzo dello strumento del decreto legislativo. Al di là di tale aspetto- che potrebbe indubbiamente portare a una valutazione da parte della Corte costituzionale di illegittimità costituzionale per contrasto con l'art. 77 Cost. - resta da valutare se il decreto possa assumere- nella sostanza- la natura di legge di interpretazione autentica. Una definizione che potrebbe essere applicata nel solo caso nel quale la norma fosse tale da assumere una portata meramente ricognitiva di un significato incluso nell'enunciato normativo, come tale per sua natura retroattiva (soluzione che comunque non escluderebbe la possibilità di un vaglio di costituzionalità, a fronte del potenziale superamento del principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost.). In concreto non è così, in quanto in concreto la disposizione in oggetto va a modificare verosimilmente la disciplina esistente dei “reati di criminalità organizzata” non limitandosi quindi a “precisare” il testo pregresso, ma ampliandone la portata. Ampliamento che, evidentemente, non può essere considerato atto meramente ricognitivo. Il vero problema- se esiste, e pare proprio che esista- nasce paradossalmente dal secondo comma dell'articolo 1, quello che, nelle intenzioni di chi ha scritto il provvedimento, avrebbe dovuto garantire la “continuità interpretativa” dell'indicazione delle S.U. Scurato: «La disposizione del comma 1 si applica anche nei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto». Ora: la norma in oggetto non è stata espressamente definita di interpretazione autentica, formula non gradita a molti ma indubbiamente efficace, in quanto tale da assicurare una uniformità ermeneutica anche rispetto al passato (oltre che la garanzia di una analoga interpretazione per il futuro). Così non è stato, così che si può ipotizzare che proprio la previsione di una norma transitoria – quale appare quella in oggetto - lungi dall'avvalorare il principio espresso dalla S.U., dimostrerebbe come corretta l'indicazione contenuta nella sentenza della prima sezione della S.C. Una norma di interpretazione autentica non dovrebbe essere corredata da una disposizione di diritto transitorio, perché dovrebbe essere (di per sé) retroattiva. Se in concreto- come nel caso di specie- non lo è dobbiamo, porci il problema della ricaduta penale sostanziale della modifica e quindi, il dubbio sulla possibilità di far retroagire le sue statuizioni, in forza del principio di irretroattività della legge penale in malam partem di cui all'art. 25, comma 2, Cost. Non solo «…analoghe incertezze potrebbero sussistere anche se la si considerasse come una riforma schiettamente processuale, dal momento che le nuove disposizioni relative al rito possono applicarsi a fatti pregressi purché riferite ad atti processuali non già conclusi» (Così G. Amarelli, Reati di criminalità organizzata” ed intercettazioni: è davvero utile un decreto-legge di interpretazione autentica? www.sistemapenale.it). In definitiva, a fronte della difficoltà a ravvisare effettive ragioni di urgenza e ove non si voglia rimettere la funzione interpretativa – come parrebbe ragionevole- alla S.C., vista anche la rilevanza del tema potrebbe essere auspicabile la “riscrittura” con legge ordinaria della disposizione di cui all'art. 13 d.l. n. 152/1991, di modo da precisare il concetto di “reati di criminalità organizzata. Una soluzione certamente meno rapida, che necessiterebbe comunque di essere corredata da disposizioni transitorie ma tale da conciliare il diritto di difesa con l'interesse a mantenere strumenti di accertamento della responsabilità di efficacia proporzionata alla gravità dei reati per i quali gli stesi possono essere utilizzati. Ancora nel menzionato comunicato del CdM del 8 agosto 2023, si segnala «l'istituzione di apposite infrastrutture digitali interdistrettuali, dirette a realizzare, per le attività d'intercettazione, più elevati ed uniformi livelli di sicurezza, un aggiornamento tecnologico adeguato alla delicatezza della materia, una maggiore efficienza, economicità e capacità di risparmio energetico dei sistemi informativi. Si disciplina un progressivo percorso al fine di consentire di localizzare presso le nuove infrastrutture digitali l'archivio digitale previsto dalle norme vigenti e, successivamente, di effettuare le stesse intercettazioni mediante tali infrastrutture. È espressamente ribadito che il Ministero della giustizia, pur nell'ambito delle suddette attività, non può avere accesso ai dati in chiaro, che restano coperti dal segreto investigativo». Nel testo del d.lgs. si richiamano le esigenze – emerse nella più recente esperienza giudiziaria e segnalate anche dalla procura nazionale antimafia e antiterrorismo e da numerose procure della Repubblica – di garantire i più alti standard di capacità investigativa rispetto a fattispecie di reato di particolare gravità e, nel contempo, di assicurare elevati ed uniformi livelli di sicurezza, aggiornamento tecnologico, efficienza, economicità e capacità di risparmio energetico dei sistemi informativi funzionali alle attività di intercettazione eseguite dagli uffici del pubblico ministero. Una norma – corretta e condivisibile - che nasce per l'esigenza di adeguare gli standard tecnologici organizzativi in materia di intercettazioni su tutto il territorio nazionale, a fronte di un quadro globale che al momento non si presenta come omogeneo e che ha portato alla sussistenza di non poche criticità. Criticità che ovviamente possono essere comprensibili alla luce di una modifica organizzativa profonda quale quella determinata dalla riforma del 2020, ma che in prospettiva devono essere superata attraverso un approccio globale omogenea al settore. Si tratta di una soluzione che esprime una volontà di centralizzare la gestione dei file relativi alle intercettazioni, di modo da poter garantire uniformi standard di sicurezza, profili di economicità e sgravare le singole procure dagli incombenti di varia natura derivanti dalla gestione autonoma di tali aspetti. Al riguardo l'art. 2 (Istituzione delle infrastrutture digitali centralizzate per le intercettazioni) stabilisce:
Con successivo decreto del Ministro della giustizia, da adottare entro il 1° marzo 2024, sarà disposta l'attivazione presso le infrastrutture di cui al comma 1, previo accertamento della loro piena funzionalità, dell'archivio digitale di cui agli articoli 269, comma 1, c.p.p. e 89-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale; dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 5, è autorizzata la migrazione dei dati dalle singole procure della Repubblica e il conferimento dei nuovi dati. I tempi, le modalità e i requisiti di sicurezza della migrazione e del conferimento sono definiti con decreto del Ministro della giustizia. Le operazioni sono effettuate dalla direzione generale per i sistemi informativi automatizzati, di intesa con i singoli procuratori della Repubblica. È previsto che le attività di cui all'articolo 89-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale saranno effettuate presso la procura della Repubblica che ha disposto le operazioni di intercettazione. I requisiti tecnici delle infrastrutture dovranno garantire l'autonomia delle funzioni del procuratore della Repubblica di direzione, organizzazione e sorveglianza sulle attività di intercettazione e sui relativi dati, nonché sugli accessi e sulle operazioni compiute sui dati stessi. In conclusione
Riferimenti
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