Libertà di espressione dei magistrati: è sproporzionata la revoca dalle funzioni del giudice che comunica alla stampa la propria opinione dissenziente

La Redazione
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28 Agosto 2023

Con sentenza del 18 luglio 2023 (n. 26369/19), la Corte EDU ha chiarito che i giudici hanno un obbligo di riservatezza, ma anche il diritto alla libertà di espressione. Di conseguenza, qualora comunicassero alla stampa la propria opinione dissenziente su una sentenza, prima della sua pubblicazione, non sarebbero oggetto di sanzioni sproporzionate come la revoca dalle funzioni giudiziarie, circostanza avvenuta nel caso di specie. I principi derivanti da tale pronuncia si estendono a tutti i casi di interpretazione del diritto alla libertà di espressione inerenti alla magistratura.

Con sentenza del 18 luglio 2023, la Corte EDU si è pronunciata sul tema dell'obbligo di riservatezza in capo ai giudici e del loro diritto alla libertà di espressione. Nel caso di specie, il ricorso riguarda la destituzione della ricorrente dal posto di giudice in quanto aveva diffuso alla stampa la sua opinione dissenziente su un caso di diffamazione.

In seguito, il magistrato, contattato da un giornalista, aveva scambiato con quest'ultimo sommariamente le ragioni della propria opinione dissenziente rispetto alla sentenza, messaggio espresso dopo la pronuncia del dispositivo della decisione resa nella causa, ma prima della pubblicazione del testo integrale della decisione e dell'opinione dissenziente. Successivamente, il contenuto di questo messaggio è stato rivelato dal giornalista in un articolo. L'atto controverso veniva così esaminato dal Consiglio superiore della magistratura moldavo («CSM») in assenza di qualsiasi procedura disciplinare preliminare. Inoltre, il CSM aveva convocato la ricorrente a causa dei pareri negativi espressi nei suoi confronti dal Servizio d'informazione e di sicurezza e non era a conoscenza del fatto che le veniva rimproverata una comunicazione vietata solo dopo la pronuncia della decisione da parte del CSM.

Mentre la Corte costituzionale aveva dichiarato incostituzionale la procedura di verifica dei giudici da parte del Servizio d'informazione e di sicurezza di cui la ricorrente era oggetto, la Corte suprema di giustizia («CSJ»), adita con l'impugnazione della ricorrente, mantenne la decisione del CSM che riteneva che la comunicazione della ricorrente con il giornalista fosse sufficiente per dichiararla incompatibile con la funzione di magistrato. Nella formazione giudiziaria investita del ricorso della ricorrente sedeva il presidente della CSJ, che era anche membro del CSM oltre che magistrato, il cui mandato era terminato prima dell'adozione della decisione riguardante la ricorrente.

Invocando l'art. 10 della Convenzione EDU in combinato disposto con l'art. 18, la ricorrente ha sostenuto che la dichiarazione della sua incompatibilità con lo status di magistrato per aver comunicato a un giornalista i motivi della sua opinione dissenziente costituisce una violazione del suo diritto alla libertà di espressione. Essa ha ritenuto che la procedura avviata contro di essa manchi di fondamento giuridico e che, comunque, non fosse necessaria in una società democratica. Nello specifico, la ricorrente ritiene che la misura in esame sia stata applicata in violazione dell'art.18 della Convenzione EDU, in quanto aveva denunciato pubblicamente i problemi del sistema giudiziario.

Invocando inoltre l'art. 8 della Convenzione EDU, la ricorrente qualifica le sue dimissioni come «compromettenti» e che hanno gravemente pregiudicato la sua vita professionale.

In aggiunta, sulla base dell'art. 6 § 1 della Convenzione EDU, la ricorrente lamenta l'assenza di imparzialità del presidente della CSJ, che era inoltre il presidente del CSM, oltre ad evidenziare la circostanza tale per cui uno dei giudici della CSJ alla data dell'adozione della decisione non disponeva più di un mandato valido.

I giudici di Strasburgo hanno chiarito che il dovere di discrezionalità dei giudici impone loro di non rivelare i motivi di una decisione prima che questi siano disponibili al pubblico. Tuttavia, hanno ricordato che per valutare la proporzionalità di un'ingerenza nell'esercizio della libertà di espressione come tutelato dall'art. 10 della Convenzione EDU, è necessario ritenere ulteriori elementi, quali le garanzie procedurali, la natura e la severità della sanzione inflitta.

La Corte EDU ha ritenuto nel caso di specie la violazione della libertà di espressione ex art. 10 CEDU della ricorrente, ancor più che all'epoca dei fatti la revoca costituiva una sanzione estremamente severa ben potendosi applicare altre sanzioni meno rigide. In particolare, il CSM ha rigettato l'appello della ricorrente che richiamava una legge interna del 1996 la quale prevedeva che la procedura amministrativa circa l'interdizione di non comunicare con la stampa rinviava ad una procedura disciplinare accompagnata da garanzie, carenti nella fattispecie.

Una legge del 1995 sullo status dei giudici prevedeva tre sanzioni severe, tra cui il licenziamento al giudice con 18 anni di carriera e l'interdizione di comunicare con la stampa non era più sanzionata dalla stessa, non avendo, dunque, base legale. Inoltre, la legge applicabile, ratione temporis, al caso di specie era la legge sulla responsabilità disciplinare dei giudici, che la ricorrente riteneva da applicare al suo caso. Detta legge aveva modificato completamente la precedente del 1995, prevedendo varie sanzioni per la deroga al divieto di comunicazione con la stampa. Ragion per cui, il licenziamento rappresentava una sanzione eccessivamente severa e carente di una base legale, risultando non necessaria in uno stato democratico.

Pertanto, a parere della Corte EDU, alla luce delle modifiche legislative intervenute sul tema in esame, appare chiara l'intenzione del legislatore: egli aveva infatti ritenuto che le violazioni del divieto di divulgazione di informazioni da parte dei giudici dovessero essere esaminate sulla base dell'intera gamma di sanzioni previste in materia di responsabilità disciplinare dei giudici.

Conseguentemente, la Corte EDU ha ritenuto che le autorità nazionali non avessero applicato gli standards dalla giurisprudenza della Corte sull'art.10 dellaConvenzione EDU e che, la sanzione imposta alla ricorrente non era necessaria in una società democratica.