Competenza del giudice amministrativo in materia di referendum consultivo deliberato dal consiglio regionale

29 Agosto 2023

Le delibere degli enti territoriali con cui si indicono i referendum consultivi sulla modifica dei confini del comune, in quanto atti amministrativi e non politici, sono sindacabili dal giudice amministrativo con gli ordinari mezzi di gravame.
Massima

Le delibere degli enti regionali di indizione di referendum consultivi su proposte di legge relative alla modifica dei confini territoriali dei Comuni, secondo la procedura prevista dall'art. 133, comma 2, Cost., sono atti amministrativi e non politici e, come tali, impugnabili con gli ordinari mezzi di gravame davanti al giudice amministrativo.

In particolare, è sindacabile da parte del giudice amministrativo l'individuazione delle “popolazioni interessate” alla consultazione referendaria nei comuni coinvolti dalla variazione territoriale alla luce dei criteri fissati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e di eventuali parametri fissati dalle leggi regionali.

Nel caso in esame, il TAR per la Calabria- Catanzaro ha annullato la delibera del Consiglio regionale che aveva escluso dalla consultazione referendaria per la modifica dei confini territoriali di Serra D'Aiello la popolazione del Comune di Amantea per difetto di istruttoria in relazione ai parametri indicati nella disposizione di legge regionale che consente l'esclusione delle popolazioni non interessate.

Il caso

La sentenza del TAR Calabria in commento si occupa dell'impugnazione da parte del Comune di Amantea della deliberazione del Consiglio regionale della Calabria n. 82 del 6 giugno 2022, avente ad oggetto “Effettuazione referendum consultivo obbligatorio sulla proposta di legge n. 54/12a di iniziativa del Consigliere regionale Graziano, recante modifica dei confini territoriali dei comuni di Serra d'Aiello e Amantea della provincia di Cosenza”, nonché, con ricorso per motivi aggiunti, dei successivi e conseguenziali atti di delibera della Giunta regionale n. 568 del 3 novembre 2022, concernente “Indizione referendum consultivo obbligatorio - modifica dei confini territoriali dei comuni di Serra d'Aiello e Amantea della Provincia di Cosenza” e del decreto del Presidente della Regione n. 109 del 9 novembre 2022, avente ad oggetto «indizione referendum consultivo obbligatorio “Modifica dei confini territoriali dei comuni di Serra d'Aiello e Amantea della provincia di Cosenza”.

Il Comune ricorrente deduce l'illegittimità dei provvedimenti gravati sotto diversi profili.

La prima censura di illegittimità per violazione del d.lgs. n. 267/2000 e dell'art. 5 L.r. n. 15/2006, stante la mancata acquisizione della propria deliberazione consiliare, necessaria ai fini dell'istituzione del “nuovo comune” - Temesa - viene disattesa dal TAR, in quanto la scelta operata dalla Regione di modifica dei confini territoriali di Serra d'Aiello - con l'aggregazione della sola frazione di Campora San Giovanni e non dell'intero Comune di Amantea - viene qualificata come una modifica delle circoscrizioni territoriali ex artt. 15, comma 1, d.lgs. n. 267/2000, 40, comma 4, lett. c) L.r. n. 13/1983, così da escludere la necessità della previa deliberazione consiliare del Comune di Amantea.

Da tale qualificazione ne è disceso il rigetto anche del secondo motivo di ricorso, per non essere applicabile l'art. 15, comma 1, d.lgs. n. 267/2000, che vieta l'istituzione di nuovi comuni con popolazione inferiore a 10.000 abitanti.

Il Tribunale ha, invece, accolto il terzo motivo del ricorso nella parte in cui il ricorrente Comune ha censurato la deliberazione del Consiglio regionale per difetto di istruttoria rispetto all'interesse del corpo elettorale del Comune di Amantea escluso dalla consultazione referendaria.

Richiamando la normativa di riferimento, costituzionale (art. 133, comma 2, Cost.) e regionale (art. 40, comma 4, lett. c) L.r. n. 13/1983), così come interpretata dalla Consulta e dalla giurisprudenza amministrativa, il Collegio ha censurato l'esercizio del potere discrezionale da parte del Consiglio regionale, non avendo svolto una compiuta istruttoria in riferimento all'attuale “dotazione infrastrutturale” del Comune di Amantea, tale da giustificarne l'esclusione dalla consultazione referendaria della sua popolazione.

L'annullamento della delibera consiliare ha, infine, condotto, all'accoglimento dei motivi aggiunti riguardanti i provvedimenti attuativi della Giunta regionale e del Presidente della Regione, per invalidità derivata.

La questione

La questione giuridica sottesa alla decisione in commento riguarda la sindacabilità delle delibere di indizione dei referendum consultivi da parte del giudice amministrativo e, in definitiva, la loro qualificazione quali atti amministrativi e non quali atti politici.

Si tratta di una questione che richiede l'esame della particolare procedura referendaria prevista dall'art. 133, comma 2, Cost., finalizzata all'adozione di una legge-provvedimento per l'istituzione di nuovi Comuni o la modifica delle loro circoscrizioni e denominazioni.

Per costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, l'art. 133, comma 2, Cost. comporta, per le Regioni a statuto ordinario, l'obbligo di sentire le popolazioni interessate mediante referendum e non attraverso altre modalità di coinvolgimento (Corte Cost., 17 giugno 2010, n. 214); Corte Cost. n. 237/2004; Corte Cost. n. 94/2000; Corte Cost. n. 279/1994; Corte Cost. n. 107/1983 e n. 204/1981). Tale aggravamento procedurale è regolato, quanto al suo ambito applicativo e alle sue modalità attuative, con legge regionale che può individuare anche i criteri per la selezione delle popolazioni interessate al procedimento referendario (Corte Cost., 9 febbraio 2011, n. 36) e spetta, poi, all'organo regionale che delibera l'indizione del referendum la verifica in concreto delle condizioni sulla base delle quali sono individuate le popolazioni da consultare, con decisione motivata e suscettibile di essere sindacata in sede giurisdizionale (così, Corte Cost., 13 febbraio 2003, n. 47).

La giurisprudenza costituzionale ed amministrativa si è, quindi, posta il problema della tutela delle popolazioni escluse dalla consultazione referendaria con delibera degli organi regionali prima ancora della conclusione del procedimento legislativo aggravato, coincidente con l'adozione della legge di variazione circoscrizionale.

La questione risulta complessa per due ordini di considerazioni strettamente connesse tra loro.

La prima riguarda il rapporto effettivo tra referendum consultivo e legge regionale di variazione delle circoscrizioni comunali, mentre la seconda riguarda il riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice della costituzionalità delle leggi.

In linea generale vale il principio dell'esclusione del sindacato del giudice amministrativo sugli atti interni del procedimento legislativo, in quanto ritenuti atti che hanno la stessa sorte della legge alla quale sono finalizzati. Tuttavia, gli atti di indizione dei referendum consultivi presentano la peculiarità di non vincolare la discrezionalità del legislatore regionale, che dovrà disporre con legge-provvedimento la concreta e puntuale variazione circoscrizionale, tenendo sì conto degli esiti del referendum, ma contestualmente bilanciando i diversi interessi coinvolti.

Ne discende che, stante l'autonomia delle delibere di indizione del referendum, che entrano a far parte del procedimento descritto dall'art. 133, comma 2, Cost. insieme ad altri elementi, la giurisprudenza non ha mai negato la loro immediata impugnabilità davanti al giudice amministrativo e la loro natura di atti amministrativi.

La soluzione si è imposta per soddisfare l'esigenza di tutela giurisdizionale di situazioni soggettive giuridicamente rilevanti, riconosciuta a livello costituzionale dagli artt. 24 e 113 Cost., soprattutto in considerazione del dato della scarsa efficacia del sindacato della Corte Costituzionale sulle illegittimità derivate delle leggi per vizi di atti endoprocedimentali.

La questione del riparto di giurisdizione, però, si pone una volta che risulti approvata ed entri in vigore la legge regionale di variazione circoscrizionale, perché è noto che il giudice naturale delle leggi è, nel nostro sistema ordinamentale, la Corte Costituzionale, dovendosi, quindi, arrestare la giurisdizione del giudice amministrativo.

Le soluzioni giuridiche

Il TAR Calabria, Catanzaro, risolve la questione preliminare di giurisdizione richiamando una pronuncia della Corte di Cassazione che si è, invero, dovuta limitare a dichiarare la cessazione della materia del contendere, in quanto la sentenza del Consiglio di Stato oggetto del giudizio era stata nelle more annullata dalla Corte Costituzionale, in sede di ricorso per conflitto di attribuzione proposto dalla Regione Marche (Cass., sez. un., 2 maggio 2018, n. 10441).

Nella motivazione della sentenza, tuttavia, la Corte di Cassazione fa proprio l'orientamento della Consulta in ordine alla sindacabilità delle delibere di indizione del referendum da parte del giudice amministrativo, ma solo sino a quando la legge di variazione circoscrizionale non sia entrata in vigore. Dopo tale momento, infatti, «i vizi della delibera di indizione del referendum consultivo si traducono in un vizio formale della legge; e il sindacato giurisdizionale non risulta escluso, ma muta di segno, giacché al giudice amministrativo spetta sollevare questione di legittimità costituzionale, chiedendo a questa Corte di verificare se i vizi della delibera referendaria si configurino, a quel punto, quali vizi del procedimento di formazione della legge, in lesione dell'art. 133 Cost., comma 2». E solo «all'esito del giudizio di legittimità costituzionale, il giudice amministrativo potrà concludere il proprio esame, accogliendo o rigettando il ricorso» (Corte Cost., 17 gennaio 2018, n. 2).

L'attrazione della tutela relativa al procedimento referendario in quella riguardante la legge-provvedimento di variazione circoscrizionale vale, poi, sia nel caso «in cui la legge [regionale] definisca in via generale e preventiva i criteri per l'individuazione delle popolazioni interessate ... sia nel caso in cui una tale legge manchi o si limiti a riprodurre l'art. 133, comma 2, Cost.» (così, ancora, Corte Cost., n. 2/2018, cit.).

In definitiva, il TAR Calabria, ritenendo l'atto di indizione del referendum consultivo un atto amministrativo, procede al sindacato della delibera impugnata sotto tutti i profili rappresentati in ricorso, accogliendo, in particolare, la censura di illegittimità per difetto di istruttoria in ordine all'individuazione delle “popolazioni interessate” dalla procedura referendaria indetta ai sensi dell'art. 133, comma 2, Cost. Tale giudizio di illegittimità si appunta proprio sull'esame della legge regionale che ha indicato in modo puntuale una serie di parametri atti a consentire l'esclusione dalla consultazione referendaria delle

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popolazioni che non presentano un interesse qualificato alla variazione territoriale

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Il sindacato di legittimità da parte del giudice amministrativo è, infine, stato possibile perché erano state adottate durante il giudizio solo la delibera della Giunta regionale e il decreto del Presidente della Regione di indizione del referendum consultivo, debitamente impugnati con i motivi aggiunti, ma non si era ancora chiusa la procedura referendaria con l'approvazione e l'entrata in vigore della legge di variazione circoscrizionale.

Osservazioni

La sentenza in commento consente di affrontare la questione dell'ampiezza e del livello di tutela giurisdizionale di situazioni soggettive giuridicamente rilevanti rispetto ad atti che si collocano all'interno del procedimento referendario previsto dall'art. 133, comma 2, Cost. destinato a sfociare in una legge-provvedimento.

Si tratta, invero, degli interessi della popolazione residente nei comuni interessati dalla variazione circoscrizionale, la valutazione dei quali è particolarmente rilevante sotto il profilo non solo ideale, ma anche sociale ed economico.

La scelta di qualificare le delibere degli organi regionali quali atti amministrativi nasce proprio dall'esigenza di tutela di tali interessi, esigenza che verrebbe, altrimenti, frustrata, perché, se qualificati come “atti politici” sarebbero insindacabili, come previsto dall' art. 7, comma 1, c.p.a.

D'altronde, è stato evidenziato dalla dottrina che il progressivo fenomeno di erosione della categoria degli atti politici è dipeso proprio dal trionfo del principio di legalità e dei corollari della tutela piena ed effettiva sul principio di separazione dei poteri.

Non a caso tra i requisiti oggettivi che gli interpreti hanno individuato come elementi distintivi degli atti politici rispetto agli atti amministrativi vi rientra proprio l'individuazione di situazioni differenziate e qualificate direttamente incise da tali provvedimenti, per i quali non si potrebbe predicare l'insindacabilità, pena, altrimenti, la violazione degli artt. 24 e 113 Cost.

Le delibere di indizione dei referendum consultivi sono, poi, assoggettate alla disciplina costituzionale e regionale e, quindi, la presenza di un riferimento normativo che regola – delimitandolo - il potere degli organi regionali ne determina senz'altro la giustiziabilità.

Infine, se non si consentisse l'impugnativa davanti al giudice amministrativo degli atti di indizione del referendum consultivo, residuerebbe ai soggetti incisi il solo strumento del giudizio di costituzionalità sulla legge-provvedimento adottata a valle del procedimento.

Il giudizio di costituzionalità non risponde, però, in maniera efficace alle esigenze di tutela individuale, non solo per l'impossibilità di accedervi in via diretta, ma anche per i limiti propri del sindacato della Corte Costituzionale. Il sindacato costituzionale non può, infatti, avere la medesima efficacia del sindacato del giudice amministrativo, poiché l'intensità del vaglio costituzionale di stretta ragionevolezza è sicuramente inferiore rispetto al controllo sull'eccesso di potere amministrativo, stante peraltro la maggiore difficoltà di individuare tale vizio in atti non necessariamente motivati, quali appunto sono le leggi.

Tuttavia, una volta approvata la legge di variazione circoscrizionale la tutela dei soggetti lesi dalla stessa si trasferisce comunque sul piano della giustizia costituzionale, rimanendo isolate, per stessa ammissione della Corte Costituzionale, quelle decisioni, che «ebbero ad affermare il principio della perdurante sindacabilità di un atto amministrativo, nonostante la sua avvenuta approvazione con legge regionale» (così, Corte Cost., 2 luglio 2008, n. 241).

In tal modo, però, oltre ad essere garantita astrattamente una doppia tutela, davanti al giudice amministrativo e, poi, davanti alla Corte Costituzionale, dovrebbe anche attribuirsi in concreto alla Consulta un potere di sindacato più intenso sul corretto esercizio della discrezionalità regionale nell'individuazione delle popolazioni interessate da coinvolgere nella consultazione popolare. Solo così, infine, verrebbe dato anche adeguato rilievo al peculiare rapporto sussistente tra gli atti di indizione del referendum e la successiva legge-provvedimento di variazione circoscrizionale, caratterizzato da un'autonomia che non lo rende paragonabile alle altre ipotesi di leggi-provvedimento che recepiscono in toto atti amministrativi.

Guida all'approfondimento

In dottrina si segnala Sorrentino, A proposito del principio di legalità nell'individuazione delle popolazioni interessate alla variazione delle circoscrizioni comunali (art. 133 Cost.), in Giur. cost., 2019, n. 5, p. 2534C; Giomi, L'atto politico nella prospettiva del giudice amministrativo: riflessioni su vecchi limiti e auspici di nuove aperture al sindacato sul pubblico potere, in Dir. proc. amm., 1 marzo 2022, n. 1, p. 21; Nocilla, Il Consiglio di Stato sbaglia strada e la Corte costituzionale puntualizza, in Giur. cost., 2018, n. 1, p. 0026D.

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