Istanza di revoca del sequestro preventivo al Pubblico Ministero (art. 321, comma 3)

Costantino De Robbio

Inquadramento

Qualora risulti, anche per fatti sopravvenuti, la insussistenza delle esigenze cautelari poste a fondamento del sequestro preventivo già disposto e, deve ritenersi, anche della fondatezza dell'ipotesi accusatoria, durante le indagini preliminari il Pubblico Ministero provvede direttamente a revocare la misura reale, di ufficio o su istanza di parte. Quando invece, nonostante una espressa sollecitazione in tal senso dell'interessato, ritenga che il vincolo, anche solo su alcuni dei beni sequestrati, debba permanere, il magistrato inquirente investe della questione il Giudice per le indagini preliminari, con le proprie argomentate richieste (evidentemente concludendo per il rigetto dell'istanza). Durante la fase processuale, provvede invece direttamente il Giudice che procede, sempre su istanza di parte.

Formula

ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA

PRESSO IL TRIBUNALE DI ... [1]

Istanza di revoca del sequestro preventivo [2]

***

Il sottoscritto Avv. ..., con studio in ..., via ..., difensore di fiducia di

1. ..., nato a ... il ...;

2. ..., nata a ... il ...;

indagato/imputato [3] nel procedimento penale n. ... / ... R.G.N.R.,

per il reato previsto e punito dall'art. (dagli artt.) ...,

per i reati previsti e puniti dagli artt.

a) ... c.p.

b) ..., l. ... / ...

c) ..., d.P.R. ...

d) ..., d.lgs. ...

PREMESSO

che, in data ..., è stato eseguito da (specificare l'articolazione di polizia giudiziaria che ha operato) il sequestro preventivo disposto con decreto del Giudice per le indagini preliminari in data ..., a carico di ... ed avente ad oggetto i seguenti beni mobili/immobili [4];

che il suddetto sequestro appare illegittimo, in quanto risultano mancanti, anche per fatti sopravvenuti, le condizioni di applicabilità previste dall'art. 321, comma 1, c.p.p.[5];

che, in particolare, non sembra ravvisabile il fumus commissi delicti, in quanto (illustrare le circostanze e le riflessioni che conducono a una prognosi di insussistenza del reato ipotizzato);

che, d'altronde, può fondatamente dubitarsi del rapporto di pertinenzialità rispetto al reato delle cose sottoposte a sequestro, potendosi ravvisare, al massimo, una mera e marginale occasionalità di rapporto, dal momento che (illustrare le ragioni che escludono tale stretta relazione tra la res e la condotta delittuosa) [6];

che, in ogni caso, non esiste in concreto il pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati (illustrare le circostanze e le riflessioni che conducono a una prognosi di insussistenza del cosiddetto periculum libertatis);

(ovvero)

che, in ogni caso, i beni sequestrati non appaiono suscettibili di confisca obbligatoria (ovvero facoltativa) ai sensi dell'art. 240 c.p., poiché (specificare le ragioni ostative a una futura eventuale statuizione di confisca);

che non sussistono dubbi sull'appartenenza del bene, di proprietà del Sig. ... [7].

CHIEDE

che siano restituiti all'avente diritto, Sig. ..., i beni oggetto di sequestro [8], come da verbale in data ... del/della (indicare l'articolazione di polizia giudiziaria che ha proceduto al sequestro).

Si allegano i seguenti documenti.

1) ...;

2) ....

Luogo e data ...

Firma ...

1. Nel corso delle indagini preliminari, sulla richiesta di revoca provvede il Pubblico Ministero. Qualora quest'ultimo ritenga che essa vada anche in parte respinta, la trasmette al Giudice, con le proprie richieste, allegando gli elementi sui quali fonda le sue valutazioni, non oltre il giorno successivo a quello del deposito nella segreteria (termine ordinatorio). Dopo l'esercizio dell'azione penale, provvede il Giudice competente a pronunciarsi nel merito, a richiesta del Pubblico Ministero o dell'interessato (art. 321, commi 1 e 3, c.p.p.).

2. L'istanza di restituzione dei beni sequestrati è esente da bollo (art. 150, d.lgs. n. 115/2002).

3. L'istanza di revoca può essere presentata ritualmente anche dal terzo proprietario/possessore del bene assoggettato al vincolo.

4. Specificare nel dettaglio la consistenza di quanto oggetto di sequestro (con coordinate catastali in caso di immobili).

5. La legittimità del provvedimento genetico del vincolo può essere oggetto di scrutinio da parte del tribunale del riesame (art. 324 c.p.p.), ma nulla impedisce che, in pendenza dei termini per impugnare ovvero anche a termini scaduti, la parte istante si rivolga direttamente al Pubblico Ministero prospettando una diversa ricostruzione in fatto e in diritto della vicenda procedimentale.

6. Ad esempio, perché il trasporto di una quantità non ingente di sostanza stupefacente è avvenuto a bordo dell'autoveicolo sequestrato, ma senza alcun particolare accorgimento diretto a modificare il mezzo per renderne più sicuro l'occultamento.

7. Ovvero di una società commerciale o di un altro soggetto collettivo.

8. La richiesta può essere anche parziale e riguardare alcuni beni soltanto, prestando temporanea acquiescenza all'imposizione del vincolo per il resto del compendio.

Commento

Le misure cautelari reali

Accanto alle misure personali, l'architettura del codice prevede anche un sistema di cautele reali, dirette, secondo il tradizionale insegnamento, a far sì che il decorso del tempo non impedisca che la sequenza procedimentale possa infine conseguire le proprie finalità, una volta definita con pronuncia non più revocabile: il decorso del tempo non deve andare a detrimento di chi agisce per tutelare i propri diritti.

Il legislatore ha stabilito un'unica forma di cautela reale (il sequestro), enucleandone due distinti istituti: il sequestro conservativo e il sequestro preventivo (a sua volta declinato in due diverse ipotesi: impeditivo e finalizzato alla confisca), previsti rispettivamente dagli artt. 316 e 321 c.p.p.

In entrambi i casi, la coercizione reale si sostanzia nell'apposizione di un vincolo giuridico su una o più res, non necessariamente allontanate dalla fisica disponibilità del detentore, da cui consegue la (tendenzialmente assoluta) indisponibilità da parte di quest'ultimo e di ogni altro soggetto.

Dunque, accanto al sequestro probatorio, una delle attività “classiche” delle indagini preliminari, diretta a ricercare la prova oggettiva di un fatto che si deve accertare, il codice di rito annovera altre tipologie di sequestro, destinate invece a tutelare esigenze cautelari di vario tipo, legati agli obiettivi di

- conservare le garanzie su determinate tipologie di crediti;

- prevenire effetti lesivi provenienti da un bene fisicamente individuato;

- assicurare la praticabilità di provvedimenti ablatori, esecutivi solo al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna.

La legislazione speciale prevede poi altre ipotesi particolari.

Laddove le misure cautelari personali possono modulare con estrema versatilità i limiti posti alla sfera di libertà del destinatario, la “coercizione reale” invece utilizza sempre il medesimo strumento, il sequestro, talora materialmente sottraendo la cosa alla disponibilità del possessore, talora semplicemente apponendovi solo un formale vincolo giuridico (cfr. Cordero, Procedura Penale, Milano, 2012).

Nella prassi, la distinzione tra sequestro probatorio e sequestro cautelare, chiara in teoria, può essere talora non nettissima. In ogni caso, la qualificazione del sequestro operato in via d'urgenza dalla polizia giudiziaria, e quindi l'individuazione della disciplina applicabile, rientra tra i poteri del Pubblico Ministero, a prescindere dalle formule apposte dagli operanti e persino dalla loro intenzione personale (Cass. IV, n. 21000/2016). Su questa potestà non può incidere neppure il Giudice per le indagini preliminari, chiamato a decidere sulla richiesta di convalida (Cass. I, n. 16906/2010, in tema di riqualificazione ad opera del Giudice come probatorio di un sequestro di cui il Pubblico Ministero chiedeva la convalida avendolo qualificato come misura cautelare reale di iniziativa).

D'altronde, una parte, a volte tutt'altro che indifferente, dell'attività di indagine, è riservata all'individuazione e alla ricognizione dei beni da sottoporre a sequestro, per necessità di cautela o per la futura irrogazione di una misura dal contenuto intrinsecamente sanzionatorio.

Anzi, tenuto conto del carico di molti uffici giudiziari, che lascia sin dai primi momenti delle indagini prevedere l'impossibilità o l'estrema difficoltà di arrivare ad una pronuncia di condanna definitiva dopo i tre gradi di giudizio per molti titoli di reato, non solo contravvenzionali, la fase cautelare reale è curata con particolare attenzione in quanto rappresenta di fatto, oltre alla sottoposizione al procedimento penale, l'unica concreta risposta istituzionale in termini retributivi (e, in effetti, anche di prevenzione generale e speciale) alla commissione dell'illecito.

In ogni caso, il Pubblico Ministero può fondare la propria richiesta cautelare al Giudice sulla base di plurime finalità e non incorre nel vizio di ultrapetizione il provvedimento che dispone il sequestro solo per una di queste finalità (Cass. I, n. 1313/2015).

L'autonoma valutazione del Giudice

Il Giudice che accolga la richiesta di misura cautelare reale è tenuto a corredare il proprio provvedimento di adeguata motivazione, che deve contenere un'autonoma valutazione degli elementi che ne costituiscono il necessario fondamento, nonché degli elementi forniti dalla difesa, ai sensi del rinvio operato dall'art. 324, comma 7, c.p.p. alle disposizioni concernenti il potere di annullamento del tribunale del riesame, introdotte dalla l. n. 47/2015 al comma 9 dell'art. 309 dello stesso codice.

Si impone pertanto al Giudice di esplicitare, anche eventualmente per relationem, le ragioni per le quali egli ritiene di poter attribuire al compendio indiziario un significato coerente rispetto alla integrazione dei presupposti normativi per l'adozione della misura. Di conseguenza, la mancanza di un apprezzamento indipendente rispetto agli atti valutativi espressi dai diversi attori processuali è equiparata alla omessa motivazione e integra, pertanto, il vizio di violazione di legge (Cass. III, n. 2257/2016, che ha ritenuto illegittimo un decreto di sequestro preventivo esclusivamente costituito, sul piano motivazionale, da una sintesi astratta del contenuto delle imputazioni cautelari e da un richiamo integrale, privo di analisi, all'informativa di polizia giudiziaria, osservando che una precisa perimetrazione della domanda cautelare da parte del Pubblico Ministero agevola il Giudice nel giustificare la coercizione mediante l'enunciazione degli elementi che la sorreggono, ma non lo esonera dal dovere di indicare il collegamento fra i fatti da provare, enucleabili dalle imputazioni provvisorie, e le singole posizioni soggettive). Nondimeno, tale requisito deve riferirsi alla motivazione del provvedimento nel suo complesso e non a ciascuna contestazione e ad ogni singolo indagato, poiché con esso si esprime l'esito finale della verifica compiuta dal Giudice sulla richiesta cautelare (Cass. V, n. 11985/2017, che ha rilevato come il Giudice delle indagini preliminari si fosse discostato dalle richieste della procura della Repubblica per tre significativi aspetti, dei quali aveva dato adeguatamente ragione, condividendo nel resto le richieste).

Il sequestro preventivo impeditivo

Il sequestro preventivo, ai sensi dell'art. 321, comma 1, c.p.p., ha per oggetto una cosa pertinente a un delitto o a una contravvenzione, quando sussiste il fondato pericolo che la sua libera disponibilità possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato ovvero agevolarne la commissione di ulteriori.

Il requisito del pericolo (periculum libertatis) consiste dunque nella probabilità, concreta ed attuale, di un danno futuro in conseguenza della disponibilità giuridica o materiale della cosa.

A mero titolo di esempio, la misura cautelare potrà ricadere su:

- armi da fuoco o da taglio, sequestrate a soggetto autore di aggressioni fisiche o verbali, così da sottrarle al possibile uso futuro contra alios;

- opere edilizie abusive, laddove la libera disponibilità degli immobili, nella loro interezza o limitatamente ad alcune porzioni soltanto, potrebbe consentire l'ultimazione dei lavori e comunque l'utilizzazione di quanto edificato, così da vulnerare l'ordinato assetto e sviluppo del territorio;

- un autoveicolo concesso in leasing e oggetto di appropriazione indebita, così da impedire la protrazione della disponibilità in capo a soggetto privo di titolo legittimante;

- un'area adibita a discarica non autorizzata, per porre fine agli ulteriori depositi di rifiuti, anche da parte di una collettività indeterminata;

- indumenti o accessori recanti marchio contraffatto (ovvero giocattoli privi della marcatura CE ovvero artifici pirotecnici potenzialmente pericolosi), onde bloccarne l'immissione nel mercato all'ingrosso o al dettaglio e comunque l'ulteriore circolazione.

È quindi possibile che il sequestro sia disposto anche mentre le indagini pendono ancora contro ignoti, non essendo stati identificati gli autori del reato. Non può altresì escludersi che il vincolo ricada su beni appartenenti a terzi estranei al reato (ad esempio, un terreno di proprietà altrui su cui gli autori del fatto, noti o ignoti che siano, abbiano realizzato il deposito e lo stoccaggio non autorizzato di rifiuti speciali pericolosi). In tal caso, il Giudice ha un dovere specifico di motivazione sul requisito del periculum, sia pure in termini di semplice probabilità del collegamento di tali beni con le attività delittuose per cui si procede, sulla base di elementi che appaiano concretamente indicativi della loro effettiva disponibilità da parte degli indagati (Cass. II, n. 47007/2016). 

Il nesso di pertinenzialità, da intendersi in senso ampio, implica un legame funzionale tra la cosa e il reato, in termini di relazione di utilità vicendevole o di conseguenzialità. Esso soprattutto richiama, sia pure in maniera non espressa, il requisito dei gravi indizi in ordine al reato che si ipotizza sussistente, ossia, secondo la tradizionale terminologia, del fumus commissi delicti.

La sussistenza del fumus deve essere valutata in concreto attraverso una verifica puntuale e coerente delle risultanze processuali, tenendo nel debito conto anche le contestazioni difensive, sussumendo la fattispecie concreta in quella legale con giudizio prognostico in merito alla probabile futura condanna dell'imputato (Cass. VI, n. 18183/2017, secondo cui il Giudice deve accertare la sussistenza di un concreto quadro indiziario, non potendosi limitare al semplice scrutinio in astratto della corretta qualificazione giuridica dei fatti prospettati dall'accusa). Va di contrario avviso un altro orientamento di legittimità, secondo cui una simile verifica non può estendersi fino ad un vero e proprio giudizio di colpevolezza, essendo sufficiente la semplice indicazione di una ipotesi di reato, in relazione alla quale sussista la necessità di escludere la libera disponibilità della cosa pertinente a quel reato, potendo essa aggravarne o protrarne le conseguenze (Cass. II, n. 2248/2013. Addirittura, Cass. I, n. 18491/2018 esclude alla radice la necessità di valutare i gravi indizi di colpevolezza).

Trattandosi di atto particolarmente invasivo della sfera giuridica altrui, il Pubblico Ministero non ha poteri autonomi, al contrario di quanto previsto per il sequestro probatorio. Il magistrato inquirente deve pertanto richiedere un decreto motivato di sequestro al Giudice per le indagini preliminari. Il Giudice, come accennato, nel proprio provvedimento, può limitarsi a richiamare per relationem le ragioni esposte nella richiesta con riferimento alla ricostruzione dei fatti, ma deve esplicitare, sia pure in forma sintetica, un'autonoma e personalizzata valutazione con riferimento ad ogni fattispecie contestata (Cass. II, n. 8951/2015). Il giudicante, trattandosi di un'imputazione ancora fluida, non è però costretto a qualificare i fatti ricalcando la provvisoria contestazione del Pubblico Ministero, ma può ricondurli ad una distinta fattispecie.

Quando non sia possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del Giudice, il sequestro è disposto con decreto motivato dal Pubblico Ministero che poi, secondo la nota scansione temporale, richiede al Giudice la convalida del proprio provvedimento e l'emissione di autonomo decreto di sequestro entro quarantotto ore, a pena di inefficacia della misura. Il Giudice deve procedere alla convalida nel più ampio termine di dieci giorni.

Il sequestro preventivo di iniziativa

Situazioni di urgenza che impediscono di attendere l'intervento del Giudice, come visto, facoltizzano il Pubblico Ministero a provvedere interinalmente egli stesso, salva la futura convalida del Giudice. Quando però l'esigenza cautelare si manifesti, con le medesime caratteristiche di urgenza, prima che il Pubblico Ministero abbia assunto la direzione delle indagini ovvero possa comunque intervenire tempestivamente, possono procedere al sequestro di propria iniziativa anche ufficiali (non agenti) di polizia giudiziaria.

Sul punto la Suprema Corte (Cass. II, n. 31451/2020) ha specificato che la circostanza che il Pubblico Ministero sia già intervenuto nel procedimento, per essere già in corso indagini relativamente agli stessi fatti, non è di ostacolo a che la polizia giudiziaria disponga il sequestro preventivo in tutti quei casi in cui, per la situazione di urgenza, non sia possibile attendere il provvedimento del Pubblico Ministero, situazione questa che può verificarsi sia nelle ipotesi in cui gli ufficiali di polizia giudiziaria agiscano di loro iniziativa, sia in quelle in cui operino eseguendo compiti loro affidati dall'autorità giudiziaria, nel corso dei quali devono poter fronteggiare una situazione imprevista.

Non sussiste obbligo di dare avviso all'indagato, presente al compimento dell'atto, della facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia ai sensi dell'art. 114 disp. att. c.p.p., previsto soltanto in relazione agli atti di sequestro probatorio (Cass. S.U., n. 15453/2016, consultabile anche su Cass. Pen., 7-8/2016, 2774 ss., con nota parzialmente critica di Todaro, Sequestro preventivo d'urgenza di iniziativa della polizia giudiziaria e garanzie difensive).

Gli operanti hanno quarantotto ore dal sequestro per trasmettere il verbale al Pubblico Ministero del luogo in cui il sequestro è stato eseguito. Il magistrato inquirente, se non dispone la restituzione delle cose sequestrate, richiede al Giudice la convalida del sequestro di iniziativa e l'emissione del decreto di sequestro preventivo entro le quarantotto ore successive.

Se questi termini non sono rispettati ovvero se il Giudice non emette l'ordinanza di convalida entro dieci giorni dalla ricezione della richiesta, il sequestro effettuato di iniziativa perde efficacia e copia dell'ordinanza che ne dichiara la caducazione è immediatamente notificata alla persona alla quale le cose sono state sequestrate (art. 321, comma 3-ter, c.p.p.).

L'applicazione del sequestro preventivo postula come indefettibile presupposto la specifica domanda del Pubblico Ministero, onere che non può ritenersi implicitamente assolto attraverso la presentazione della sola richiesta di convalida del sequestro disposto in via d'urgenza (Cass. III, n. 27138/2015. Secondo Cass. III, n. 1501/2017, neppure il mantenimento del sequestro probatorio ai fini preventivi ai sensi dell'art. 262, comma 3, c.p.p. non può essere disposto dal Giudice ex officio).

Rientra comunque tra i poteri del Pubblico Ministero la qualificazione come probatorio o preventivo del sequestro operato in via d'urgenza dalla polizia giudiziaria, con quanto ne consegue in termini di competenza per la convalida (Cass. IV, n. 21000/2016). 

Il sequestro preventivo finalizzato alla futura confisca

Il comma 2 dell'art. 321 c.p.p. prevede poi un'ulteriore fattispecie di sequestro preventivo, disciplinato dalle medesime modalità e avente per oggetto le cose per cui è prevista la confisca.

In particolare, l'art. 240 c.p. consente la confisca

- delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato;

- delle cose che ne sono il prodotto o il profitto;

e la impone

- per le cose che costituiscono il prezzo del reato;

- per i beni e gli strumenti informatici o telematici che utilizzati in tutto o in parte per la commissione dei delitti di criminalità informatica in senso stretto;

- per le cose di cui costituisce reato la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione e l'alienazione.

Al contrario del sequestro preventivo finalizzato ad evitare la protrazione del reato o il pericolo di reiterazione, in questo caso è imprescindibile l'accertamento l'esistenza di un collegamento strutturale fra il bene da sequestrare e il reato commesso, non potendosi sottoporre a vincolo beni legati solo indirettamente alla fattispecie criminosa (Cass. III, n. 9149/2015).

L'art. 6, l. n. 152/1975 impone poi la confisca per tutti i reati concernenti le armi, ogni altro oggetto atto ad offendere, le munizioni e gli esplosivi, con successivo versamento alla competente direzione di artiglieria.

Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto del reato costituito da somme di denaro disponibili su un conto corrente bancario può avere ad oggetto sia la somma fisicamente identificata come quella acquisita attraverso l'attività criminosa, sia una somma corrispondente al valore nominale di quest'ultima, in presenza di indizi del deposito del denaro di provenienza illecita in banca (Cass. V, n. 16008/2015).

La Corte di Cassazione (Cass. VI, n. 25329/2021) ha specificato che non è consentita la restituzione del bene previo rilascio di idonea cauzione in caso di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, considerato che non può trovare applicazione né la disposizione di cui all'art. 85 disp. att. c.p.p., prevista con esclusivo riferimento al sequestro probatorio, né quella contenuta all'art. 319 c.p.p. riguardante il sequestro conservativo.

Il sequestro per equivalente

L'art. 322-ter c.p., nel caso di condanna o di patteggiamento per uno dei delitti contro la pubblica amministrazione previsti dagli artt. 314-320 c.p., prevede la confisca obbligatoria dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato. Quando questi beni non siano rintracciabili, è possibile la confisca di altri beni, di cui il reo abbia comunque la disponibilità, per un valore corrispondente (cfr. Cfr. Soana, Montesano Cancellara, Conforti, Il sequestro penale, Milano, 2016, 163-214).

Questa peculiare tipologia di confisca (cosiddetta “per equivalente”) è stata estesa

- dall'art. 640-quater c.p., ai delitti di truffa aggravata ai danni dello Stato o di altro ente pubblico (640, comma 2, n. 1, c.p.), di truffa aggravata per il conseguimento di pubbliche forniture (640-bis c.p.) e di frode informatica (640-ter c.p.);

- dall'art. 644, ultimo comma, c.p., al delitto di usura, per un importo pari al valore degli interessi o degli altri vantaggi o compensi usurari;

- dall'art. 12-bis, d.lgs. n. 74/2000, anche ai reati tributari previsti e puniti da quest'ultimo provvedimento.

Sin dalla fase delle indagini, in vista della futura confisca per equivalente, è dunque possibile aggredire beni privi di qualsiasi pertinenzialità o collegamento con il fatto di reato, ma di valore adeguato e proporzionato al prezzo o al profitto del delitto commesso, purché rientranti nella disponibilità dell'indagato (non solo, formalmente, nel suo patrimonio).

Qualora il sequestro preventivo, volto alla confisca per equivalente, abbia ad oggetto beni immobili è legittima l'estensione del vincolo cautelare ai frutti della cosa sequestrata purché, nel rispetto del principio di proporzionalità, la somma del valore di mercato della stessa e l'ammontare dei frutti non travalichi l'importo fissato nel provvedimento di sequestro (Cass. V, n. 714/2021).

La giurisprudenza di legittimità (Cass. III, n. 795/2021) ha precisato che, in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, i limiti alla pignorabilità previsti dall'art. 545 c.p.c. non sono applicabili ai redditi da lavoro autonomo, fermo comunque restando l'onere del Giudice di verificare, sulla base delle allegazioni sottoposte al suo vaglio, la proporzionalità del vincolo delle somme nella disponibilità dell'indagato in funzione del quantum necessario a soddisfare le esigenze minime di vita.

Il sequestro finalizzato alla confisca “allargata” e il sequestro di prevenzione

Il nuovo art. 240-bis c.p., rubricato “Confisca in casi particolari” (che riporta nell'alveo codicistico quanto già previsto dall'art. 12-sexies, d.l. n. 306/1992), prevede ulteriori ipotesi particolari di confisca obbligatoria non collegata alla provenienza illecita dei beni (cosiddetta confisca “allargata” o per sproporzione) e suscettibile dunque di essere preceduta da un sequestro che impedisca condotte di dispersione, distrazione o dissipazione dei cespiti aggredibili.

La misura è tassativamente prevista per i delitti previsti dagli artt. 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 322, 322-bis, 325, 416, comma 6, 416 (se realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dagli artt. 453, 454, 455, 460, 461, 473, 474, 517-ter e 517-quater, 416-bis, 452-quater, 452-octies, comma 1, 493-ter, 512-bis, 600, 600-bis, comma 1, 600-ter, commi 1-2, 600-quater.1 (relativamente alla condotta di produzione o commercio di materiale pornografico), 600-quinquies, 601, 602, 603-bis, 629, 630, 644, 644-bis, 648 (esclusa la fattispecie di cui al comma 2), 648-bis, 648-ter, 648-ter.1 c.p., nonché dall'art. 2635 c.c., ovvero per taluno dei delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine costituzionale.

In particolare, in caso di condanna o di patteggiamento per i suddetti gravi reati, si impone la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato risulti avere, anche per interposta persona, la disponibilità, in valore sproporzionato al reddito dichiarato o alla propria attività economica e non possa giustificare la provenienza.

Gli artt. 16 ss., d.lgs. n. 159/2011 disciplinano poi il sequestro e la confisca aventi ad oggetto beni dei quali il destinatario della misura di prevenzione (anche persona giuridica, se segnalate per rischio terrorismo) può disporre, direttamente o indirettamente, quando il loro valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all'attività economica svolta ovvero quando, sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego (su entrambi gli istituti, cfr. Menditto, Le confische di prevenzione e penali. La tutela dei terzi, Milano, 2015).

Il sequestro di giornali e periodici

La libertà di stampa, quale espressione della più ampia libertà di manifestazione del pensiero, è rigorosamente tutelata dall'art. 21 cost., secondo cui la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure e si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili. In questi casi, secondo la medesima disposizione costituzionale, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo d'ogni effetto.

La legge sulla stampa (l. n. 47/1948) non ha mai dato attuazione alla riserva di legge contenuta nella Carta, ma l'art. 1, r.d.l. n. 561/1946, tuttora vigente, regola il “sequestro dei giornali e delle altre pubblicazioni” in questi termini:

- non si può procedere al sequestro della edizione dei giornali o di qualsiasi altra pubblicazione o stampato, se non in virtù di una sentenza irrevocabile dell'autorità giudiziaria;

- è tuttavia consentito all'autorità giudiziaria di disporre il sequestro di non oltre tre esemplari dei giornali o delle pubblicazioni o stampati, che importino una violazione della legge penale, con funzione esclusivamente probatorie (e non preventive, poiché un vincolo apposto su tre sole copie sarebbe inconciliabile con le finalità dell'istituto - Cass. V, n. 30611/2008);

- si può però comunque procedere al sequestro preventivo dei giornali o delle altre pubblicazioni o stampati, che, ai sensi della legge penale, sono da ritenere osceni.

Al di fuori di queste ipotesi tassativamente previste, non può essere accolta la domanda di sequestro (o di altro provvedimento cautelare diretto al medesimo risultato) avente ad oggetto le copie di uno stampato pubblicato o destinato alla pubblicazione.

Le garanzie costituzionali e la disciplina sopra illustrata non valgono però nel caso di un periodico pubblicato senza l'indicazione del direttore responsabile e in mancanza della registrazione e pertanto oggetto materiale del delitto di stampa clandestina di cui all'art. 16, l. n. 47/1948 cit. e non mezzo per la commissione di altri reati, cosicché può essere legittimamente disposto il sequestro preventivo di tutte le copie (Cass. V, n. 35108/2002).

La l. n. 62/2001 ha dettato nuove norme sull'editoria e sui prodotti editoriali, adeguando all'evoluzione sociale e tecnologica la disciplina previgente. La nozione di stampa periodica è stata ampliata in quella di “prodotto editoriale”, a cui si applicano le disposizioni della legge sulla stampa in materia di indicazioni obbligatorie (luogo e data della pubblicazione, nome dell'editore, dello stampatore, etc.) e di obblighi di registrazione. Per “prodotto editoriale”, si intende il prodotto realizzato su supporto cartaceo, ivi compreso il libro, o su supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico, o attraverso la radiodiffusione sonora o televisiva, con esclusione dei prodotti discografici o cinematografici.

La testata giornalistica telematica è dunque adesso funzionalmente assimilabile a quella tradizionale in formato cartaceo e rientra nella nozione di “stampa”. Pertanto, non può essere oggetto di sequestro preventivo in caso di commissione del reato di diffamazione a mezzo stampa, in quanto si tratta di prodotto editoriale sottoposto alla normativa di rango costituzionale e di livello ordinario, che disciplina l'attività di informazione professionale diretta al pubblico.

L'autorità giudiziaria, ove ricorrano i presupposti del fumus commissi delicti e del periculum in mora, può disporre, nei casi consentiti, nel rispetto del principio di proporzionalità, il sequestro preventivo di un intero sito web o di una singola pagina telematica, imponendo al fornitore dei servizi internet, anche in via d'urgenza, di oscurare una risorsa elettronica o di impedirne l'accesso agli utenti ai sensi degli artt. 14-15-16, d.lgs. n. 70/2003, in quanto la equiparazione dei dati informatici alle cose in senso giuridico consente di inibire la disponibilità delle informazioni in rete e di impedire la protrazione delle conseguenze dannose del reato. Restano però esclusi da tale ambito normativo i nuovi mezzi di manifestazione del pensiero destinati ad essere trasmessi in via telematica quali forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list e social network, privi della natura di media (Cass. S.U., n. 31022/2015).

Il congelamento dei beni delle vittime dei sequestri di persona

Un'ulteriore ipotesi speciale di vincolo cautelare è prevista al fine di sterilizzare le aspettative di profitto criminale degli autori di sequestri di persona. La misura preventiva si presenta come estremamente rigida e persino draconiana, ponendo le vittime di un reato così odioso in una situazione difficilissima e angosciosa di fronte alle richieste di riscatto. D'altronde, anche per le aumentate difficoltà di concludere positivamente l'azione delittuosa, le statistiche giudiziarie e le cronache nazionali registrano una nettissima diminuzione di questo fenomeno.

Nello specifico, ai sensi dell'art. 1, d.l. n. 8/1991, quando si procede per il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, il Pubblico Ministero, nelle forme previste per il sequestro preventivo, richiede al Giudice il sequestro dei beni appartenenti alla persona sequestrata, al coniuge e ai parenti e affini conviventi, nonché ad altre persone quando vi sia fondato motivo di ritenere che tramite costoro possa essere versato il prezzo della liberazione della vittima. Il sequestro dei beni non comporta limitazioni ai poteri di amministrazione e di gestione, ai diritti di godimento e non incide sui rapporti giuridici preesistenti. In caso di necessità, possono essere autorizzati specifici atti di disposizione. Sono nulli i negozi giuridici posti in essere al fine di far conseguire agli autori del delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione il prezzo della liberazione della vittima.

Competenza a provvedere in corso di esecuzione della misura

Una volta emesso il decreto di sequestro preventivo, le modalità di esecuzione del provvedimento cautelare adottato sono, a norma dell'art. 655 c.p.p., di competenza esclusiva del Pubblico Ministero (Cass. III, n. 43615/2015, in tema di un provvedimento del Pubblico Ministero di sgombero di un appartamento sottoposto a vincolo cautelare, illegittimamente paralizzato da un successivo provvedimento abnorme del Giudice con cui si autorizzavano i detentori dell'immobile a continuare ad abitarvi). La determinazione delle modalità di esecuzione della cautela, che si rendano necessarie per garantire il rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità, spettano infatti al Giudice procedente solo nella fase applicativa della misura stessa, mentre, dopo l'emissione del titolo, compete al predetto Giudice la sola valutazione dei presupposti per il mantenimento o la revoca della misura, rientrando nelle prerogative del Pubblico Ministero ogni questione concernente l'esecuzione del sequestro (Cass. III, n. 30405/2016).

In caso di una pronuncia di merito non ancora irrevocabile che abbia disposto la confisca di un bene sottoposto a sequestro, permane il potere del Giudice della cautela di riesaminare il provvedimento che ha disposto il sequestro poiché esso costituisce, allo stato, l'unico titolo legittimante la temporanea ablazione del bene (Cass. II, n. 31813/2018). 

I provvedimenti che regolano le modalità di esecuzione non sono né appellabili né ricorribili per cassazione e le eventuali questioni controverse vanno proposte in sede di incidente di esecuzione (Cass. II, n. 44504/2015).

Esecuzione del sequestro preventivo

A norma dell'art. 104 disp. att. c.p.p. (cfr. Diana, I sequestri. Civili, penali e della legislazione speciale, Milano, 2018, 393-396), il sequestro preventivo è eseguito:

a) sui mobili e sui crediti, secondo le forme prescritte dal codice di procedura civile per il pignoramento presso il debitore o presso il terzo in quanto applicabili;

b) sugli immobili o mobili registrati, con la trascrizione del provvedimento presso i competenti uffici;

c) sui beni aziendali organizzati per l'esercizio di un'impresa, oltre che con le modalità previste per i singoli beni sequestrati, con l'immissione in possesso dell'amministratore, con l'iscrizione del provvedimento nel registro delle imprese presso il quale è iscritta l'impresa;

d) sulle azioni e sulle quote sociali, con l'annotazione nei libri sociali e con l'iscrizione nel registro delle imprese;

e) sugli strumenti finanziari dematerializzati, ivi compresi i titoli del debito pubblico, con la registrazione nell'apposito conto tenuto dall'intermediario.

Qualora il sequestro preventivo abbia per oggetto aziende, società ovvero beni di cui sia necessario assicurare l'amministrazione, l'autorità giudiziaria nomina un amministratore giudiziario, ai fini della gestione del bene, regolate dalle norme del d.lgs. n. 159/2011 (cosiddetto Codice antimafia). Il Giudice che ha emesso il decreto di sequestro (ovvero, nel caso di provvedimento emesso da organo collegiale, dal Giudice nominato ad hoc) svolgono nel corso di tutto il procedimento le funzioni di Giudice delegato alla procedura di amministrazione (art. 104-bis disp. att. c.p.p.).

La Cassazione (Cass. IV, n. 7107/2022) ha recentemente precisato che, in caso di sequestro preventivo di una società, è necessario dimostrare il durevole asservimento della stessa e del suo patrimonio alla commissione delle attività criminose, quale società strutturalmente illecita (fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittimo il sequestro delle quote sociali, interamente nella titolarità dell'imputata, disposto in relazione al reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti previsto dall'art. 452-quaterdecies c.p., fungendo l'ente da "schermo" per la realizzazione del sistema illecito in forma non individuale).

Revoca del provvedimento di sequestro

Nel corso delle indagini preliminari, il Pubblico Ministero revoca immediatamente il sequestro, quando risultino mancanti, anche per fatti sopravvenuti, il fumus e il periculum, con decreto motivato, che è notificato a coloro che hanno diritto di proporre impugnazione. Se vi è richiesta in tal senso da parte dell'interessato, il medesimo magistrato inquirente, quando ritiene che essa vada anche solo in parte respinta, la trasmette al Giudice, presentando le proprie argomentate richieste specifiche in merito gli elementi posti a fondamento delle sue valutazioni, entro il termine ordinatorio di un giorno dal deposito nella segreteria (art. 321, comma 3, c.p.p. cfr. Soana, Montesano Cancellara, Conforti, Il sequestro penale, Milano, 2016, 31-41). È pertanto abnorme il provvedimento con cui il Pubblico Ministero, in luogo di trasmettere al Giudice, con le proprie valutazioni negative, la richiesta di revoca di sequestro preventivo, proceda a rigettarla direttamente, in quanto provvedimento estraneo alla sua sfera di attribuzioni: egli può solo disporre la revoca del sequestro preventivo durante la fase delle indagini preliminari, ma gli è inibito il relativo provvedimento negativo, devoluto alla cognizione del giudicante (Cass. III, n. 15459/2018). 

In caso di esercizio dell'azione penale con decreto di citazione a giudizio la competenza a decidere sull'istanza di restituzione del bene sottoposto a sequestro preventivo appartiene, ai sensi del principio generale di cui agli artt. 317, comma 2, e 554 c.p.p., al Giudice per le indagini preliminari fino a che il decreto stesso non sia stato trasmesso al Giudice dibattimentale unitamente al relativo fascicolo (Cass. II, n. 12366/2020).

Avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di revoca del sequestro preventivo da parte del Giudice non può essere proposto ricorso immediato per cassazione, ma soltanto appello cautelare ai sensi dell'art. 322-bis c.p.p. (Cass. II, n. 11869/2017). Recentemente la Suprema Corte ha specificato che è improcedibile la richiesta di revoca della misura in pendenza del ricorso per cassazione avverso l'ordinanza che abbia confermato il provvedimento di rigetto di precedente analoga istanza (Cass. IV, n. 10022/2022).

Come accennato, è peraltro espressamente possibile una revoca soltanto parziale del sequestro preventivo. Una simile attenuazione del vincolo cautelare deve essere sempre disposta, per evitare che la misura risulti inutilmente vessatoria, quando, per le caratteristiche dell'illecito contestato e del bene sequestrato, sia possibile dividere i beni che ne sono oggetto senza vanificare le esigenze di prevenzione (Cass. VI, n. 54768/2016, che ha confermato l'ordinanza di rigetto della richiesta di revoca parziale del sequestro preventivo di uno studio dentistico, disposta in relazione al reato previsto dall'art. 348 c.p., in quanto la riduzione del sequestro ad un'unica stanza e la restituzione della restante parte dello studio, destinata comunque all'esercizio di attività odontoiatrica, avrebbe consentito la prosecuzione dell'esercizio abusivo della professione). 

Nella giurisprudenza di legittimità, è decisamente maggioritario l'orientamento secondo cui la mancata tempestiva proposizione, da parte dell'interessato, della richiesta di riesame avverso il provvedimento applicativo di una misura cautelare reale non ne preclude la revoca per la mancanza delle condizioni di applicabilità, neanche in assenza di fatti sopravvenuti (Cass. V, n. 3838/2010). In altri termini, la preclusione conseguente al giudicato cautelare riguarda il dedotto ma non il deducibile, con la conseguenza che il Giudice adito con la richiesta di revoca o con la successiva impugnazione di una decisione di diniego della revoca può limitarsi a richiamare le eventuali decisioni conclusive di precedenti procedure de libertate, qualora rilevi la riproposizione di questioni già valutate in precedenza, ma non può dichiarare inammissibili, in forza del giudicato cautelare, né le richieste di revoca né le impugnazioni, essendo sempre tenuto ad accertare d'ufficio la sussistenza di ragioni, pur diverse da quelle prospettate dall'interessato, indicative dell'insussistenza dei presupposti della misura (Cass. III, n. 32707/2015).

Il “fatto nuovo” rilevante ai fini della revoca della misura cautelare è dunque costituito da risultanze procedimentali nuove o anche preesistenti ma non valutate precedentemente, ma non può consistere nella mera decisione cautelare favorevole assunta nei confronti di un coindagato (Cass. II, n. 54298/2016). Può viceversa incidere invece la mutata ricostruzione dei fatti in punto di diritto (cfr., ad esempio, Cass. V, n. 18775/2014, che afferma la legittimità della revoca del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, quando l'originaria contestazione sia stata assorbita da altra fattispecie incriminatrice, per la quale non è prevista tale misura, insuscettibile di essere estesa in via interpretativa).

Quanto ai rimedi per i soggetti terzi comunque a vario titolo interessati dall'esecuzione della misura, è stata affermata la mancanza di legittimazione a chiedere la revoca della misura, con conseguente inammissibilità dell'istanza, di:

- creditore assistito da garanzia reale, in quanto la sua posizione giuridica non è assimilabile a quella del titolare del diritto di proprietà e il suo diritto di sequela non esclude l'assoggettabilità del bene a vincolo, essendo destinato a trovare soddisfazione solo nella successiva fase della confisca e non attraverso l'immediata restituzione del bene, come invece accadrebbe per il proprietario (Cass. V, n. 1390/2016);

- aggiudicatario all'incanto del bene soggetto ad espropriazione immobiliare e già sottoposto a sequestro, in quanto non titolare di alcun diritto reale sul bene prima del decreto di trasferimento di cui all'art. 586 c.p.c. (Cass. III, n. 37138/2017).

La sopravvenuta inefficacia della misura cautelare reale

Le misure cautelari reali sono contraddistinte dalla loro natura anticipatoria, di modo che, quando è pronunciata sentenza di condanna, gli effetti del sequestro permangono quando è stata disposta la confisca delle cose sequestrate.

Quando sia intervenuta una sentenza non irrevocabile di condanna, deve escludersi, salvo che siano cessate le esigenze cautelari giustificative del vincolo, l'esecutività immediata di eventuali provvedimenti restitutori, pur nell'ipotesi in cui non ne sia stata disposta la confisca, che ben può intervenire nel successivo grado di giudizio di merito e, ricorrendo l'ipotesi di confisca obbligatoria, anche in sede esecutiva (Cass. V, n. 26889/2017. Secondo Cass. III, n. 6940/2017, in tal caso, la res deve essere restituita all'avente diritto solo allorché siano venute meno le esigenze cautelari che hanno giustificato l'imposizione del vincolo, giacché la cessazione della permanenza del reato con la sentenza di primo grado non costituisce elemento di per sé idoneo a far ritenere cessate anche le esigenze cautelari. Contra, Cass. III, n. 32714/2015, che afferma la caducazione della misura cautelare a seguito della pronuncia di condanna che non disponga definitivamente la confisca dei beni sequestrati).

Ai sensi dell'art. 323 c.p.p., i provvedimenti di sequestro perdono invece efficacia in caso di sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, anche non definitive.

Pertanto, quando, in sede di decisione con formula più o meno ampiamente liberatoria, non deve disporre la confisca a norma dell'art. 240 c.p., il Giudice ordina che le cose sequestrate siano restituite a chi ne abbia diritto. Tale provvedimento è immediatamente esecutivo.

La sentenza di proscioglimento nei confronti del titolare formale del bene sottoposto a vincolo non determina però la revoca della misura cautelare reale e la restituzione della cosa quando al contempo sia disposta la condanna, con conseguente confisca, del titolare effettivo del bene medesimo (Cass. I, n. 36365/2016, relativa a una vicenda processuale in cui il formale proprietario della res era stato assolto ed era stata disposta la confisca, a norma dell'art. 12-sexies, d.l. n. 306/1992 nei confronti di colui che ne aveva la concreta disponibilità). 

Se la cosa è stata sequestrata in più esemplari identici (ad esempio, prodotti industriali con segni ipoteticamente mendaci), il Giudice, anche dopo la sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere impugnata dal Pubblico Ministero, ordina che sia mantenuto il sequestro di un solo esemplare, per ovvie necessità probatorie (impossibili da escludere sino alla definizione del procedimento) e dispone la restituzione degli altri oggetti (art. 323, comma 2, c.p.p.).

Le impugnazioni. Il riesame

Contro il decreto di sequestro preventivo, possono proporre richiesta di riesame, anche nel merito, l'indagato e il suo difensore, nonché la persona alla quale le cose sono state sequestrate e coloro che avrebbero diritto alla loro restituzione, entro dieci giorni dalla data di esecuzione del provvedimento che ha disposto il sequestro o dalla diversa data in cui l'interessato ne ha avuto conoscenza (artt. 322, comma 1, e 324 c.p.p.). Si noti la differenza con il riesame del sequestro conservativo, esperibile, ai sensi dell'art. 318 c.p.p., da “chiunque” vi abbia interesse (e quindi, ad esempio, anche dal terzo creditore o dal titolare di diritto reale di garanzia).

D'altronde, secondo Cass. III, n. 47313/2017, l'indagato non titolare del bene oggetto di sequestro è legittimato a presentare richiesta di riesame solo in quanto vanti un interesse concreto ed attuale alla proposizione del gravame (interesse che va individuato in quello alla restituzione della cosa come diretto effetto del dissequestro). Con ragionamento speculare, si è statuito il terzo che affermi di avere diritto alla restituzione della cosa sequestrata non può contestare l'esistenza dei presupposti della misura cautelare, ma soltanto dedurre la propria effettiva titolarità o disponibilità del bene sequestrato e l'inesistenza di relazioni di collegamento concorsuale con l'indagato (Cass. VI, n. 42037/2016). 

Recentemente la Suprema Corte (Cass. III, n. 40326/2021) ha puntualizzato come, in tema di sequestro preventivo a fini impeditivi, sussista l'interesse del proprietario di una cosa sequestrata, locata a terzi, a proporre istanza di riesame ove lo stesso alleghi di essere il soggetto che rientra o deve rientrare nella materiale disponibilità del bene, per avere risolto il contratto di locazione o per dovere adempiere all'obbligo di assicurare la disponibilità di godimento di detto bene.

È del pari inammissibile la richiesta di riesame avverso un decreto di sequestro preventivo non ancora eseguito: in una simile situazione, infatti, non è ravvisabile alcun interesse concreto e attuale a proporre un'impugnazione, la cui astratta finalità è di rimuovere il vincolo reale e ottenere la restituzione della cosa sequestrata. Deve pertanto escludersi la sussistenza dell'interesse ad impugnare ogni qualvolta tale strumento venga attivato al mero fine di ottenere una pronuncia di illegittimità di un provvedimento che non ha ancora inciso in alcun modo nella sfera patrimoniale del ricorrente (Cass. VI, n. 16535/2017). Analogamente (e al contrario invece di quanto affermato in tema di sequestro probatorio, dove può talora prevalere la tutela del dato informativo piuttosto che della concreta disponibilità della res: cfr. Cass. S.U., n. 40963/2017), l'indagato è carente di interesse rispetto a un provvedimento di sequestro, quando sia già stata disposta la restituzione del bene (Cass. III, n. 47313/2017). 

Sulla richiesta di riesame è chiamato a pronunciarsi, in composizione collegiale, il tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento nel termine di dieci giorni dalla ricezione degli atti (il cosiddetto, per l'appunto, “tribunale del riesame reale”). Se gli atti non vengono trasmessi tempestivamente, il sequestro diviene inefficace ex artt. 309, comma 10 e 324, comma 7, c.p.p.

La cancelleria dà immediato avviso all'autorità giudiziaria procedente che, entro il giorno successivo, trasmette al tribunale gli atti su cui si fonda il provvedimento oggetto del riesame.

Al Giudice del riesame è demandata una valutazione soltanto sommaria in ordine al fumus del reato ipotizzato relativamente a tutti gli elementi della fattispecie contestata. In particolare, l'insussistenza dell'elemento soggettivo può essere rilevata solo quando emerga ictu oculi (Cass. II, n. 18331/2016. Secondo Cass. VI, n. 10446/2018 è legittimo escludere l'intenzionalità ex art. 328 c.p. del ritardo nella realizzazione dei lavori di adeguamento sismico di un edificio scolastico, in considerazione del fatto che, esclusa l'attualità di un pericolo di crollo in assenza di evento sismico, l'amministrazione comunale aveva dato avvio alla relativa procedura amministrativa per l'appalto delle opere il cui inizio era stato differito a seguito di un contenzioso amministrativo promosso da una società partecipante alla gara). La fondatezza dell'ipotesi accusatoria, pure in questi limiti molto ristretti, deve essere però valutata anche se sia stata esercitata l'azione penale mediante decreto di citazione diretta a giudizio, dal momento che, a differenza di quanto accade con il rinvio a giudizio da parte del Giudice dell'udienza preliminare, non vi è una preventiva verifica giurisdizionale (Cass. III, n. 13509/2016).

Il Pubblico Ministero, come accennato, può fondare la propria richiesta cautelare al Giudice sulla base di finalità alternative, ma, dopo che il Giudice ha fondato il proprio provvedimento cautelare su uno specifico quadro normativo, è illegittima l'ordinanza con cui il tribunale del riesame confermi la misura reale per finalità differenti: in questo modo esso non si limita, com'è nel suo potere, ad integrare la motivazione del decreto impugnato, ma sostanzialmente adotta un diverso provvedimento di sequestro in pregiudizio del diritto al contraddittorio dell'interessato (Cass. V, n. 54186/2016, in tema di sequestro preventivo disposto ai sensi dell'art. 321, comma 1, c.p.p. e confermato quale sequestro a fini di confisca a norma del successivo comma 2. Cass. V, n. 3771/2018, ha del pari annullato il rigetto della richiesta di riesame avverso un provvedimento emesso ai sensi dell'art. 12-sexies, d.l. 306/1992, confermato facendo però riferimento all'art. 73, comma 7-bis, d.P.R. n. 309/1990, e pertanto mutando i parametri applicativi della misura).

Con la richiesta di riesame possono (non debbono) essere enunciati anche i motivi. In ogni caso, è sempre possibile per chi ha proposto l'impugnazione, enunciare nuovi motivi direttamente davanti al collegio, facendone dare atto a verbale prima dell'inizio della discussione. Ad ogni buon conto, al Giudice dell'impugnazione è demandato un controllo “pieno”, diretto alla verifica di legittimità della misura ablativa in tutti i suoi profili, anche nel merito.

Il procedimento segue il rito camerale di cui all'art. 127 c.p.p. (pertanto, l'inammissibilità dell'istanza di riesame, a causa di irregolarità relative alla impugnabilità oggettiva e soggettiva del provvedimento, all'interesse ad impugnare, alla legittimazione attiva nonché ai tempi ed alle forme dell'atto di impugnazione, va dichiarata de plano, senza necessità di fissare l'udienza camerale e di avvisare i difensori, trovando applicazione il comma 9 del suddetto articolo che prescrive che l'inammissibilità dell'atto introduttivo del procedimento sia dichiarata dal Giudice con ordinanza, anche senza formalità di procedura, salvo che sia diversamente stabilito. Cfr. in termini, Cass. III, n. 34823/2017). 

Almeno tre giorni prima, l'avviso della data fissata per l'udienza è comunicato al Pubblico Ministero e notificato al difensore e a chi ha impugnato l'ordinanza ammissiva. Fino al giorno dell'udienza, gli atti restano depositati in cancelleria.

Se l'indagato formula personalmente, al massimo entro due giorni dalla notificazione dell'avviso, una richiesta di rinvio, il tribunale differisce la data dell'udienza da un minimo di cinque a un massimo di dieci giorni, quando ritenga giustificati i motivi addotti dalla parte istante. In tal caso, anche i termini per la decisione del riesame e per il deposito dell'ordinanza sono prorogati nella stessa misura.

Il tribunale decide nel termine di dieci giorni dalla ricezione degli atti. Tale termine, imposto a pena di decadenza della misura dal combinato disposto degli artt. 324, comma 7, e 309, commi 9-10, c.p.p., decorre dal giorno della ricezione degli atti processuali e non dalla ricezione dell'istanza di riesame (Cass. S.U., n. 38670/2016). L'opinione tradizionale vuole che entro il suddetto termine di dieci giorni, il tribunale abbia deliberato in merito alla richiesta e abbia depositato il dispositivo in cancelleria (anche nel caso in cui il deposito rechi una data successiva rispetto a quella in cui si è tenuta la camera di consiglio nella quale è stata trattata la richiesta di riesame, a meno che il tribunale non dia espressamente atto di avere adottato la decisione in una data antecedente rispetto a quella del deposito del dispositivo, nel qual caso il termine per il deposito della motivazione decorre da tale antecedente data. Infatti, la disciplina del rito camerale non richiede la contestualità tra la celebrazione dell'udienza e la deliberazione della decisione. Cfr. Cass. V, n. 38408/2017). Resta invece irrilevante a tal fine la data di deposito della motivazione, che deve invece intervenire entro trenta giorni dalla decisione. Tale ulteriore termine decorre dal deposito del dispositivo e non dalla data della deliberazione in camera di consiglio (Cass. II, n. 19313/2017. Contra, Cass. V, n. 54261/2016).

La misura cautelare che abbia perso, a cagione di tali intempestività, la propria efficacia non può essere successivamente rinnovata, “salve eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate”.

Se non deve dichiarare l'inammissibilità della richiesta, il Giudice del riesame annulla, riforma o conferma il decreto gravato, con piena facoltà di confermarne la validità per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento originario ovvero di pronunciarsi pro reo anche per motivi diversi da quelli enunciati in sede di impugnazione.

La decisione di annullamento consegue, inoltre, anche quando il provvedimento impugnato difetta di motivazione, o presenta una motivazione tautologica e meramente apparente, e comunque risulta privo di un'autonoma valutazione delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa.

In ogni caso, la revoca del provvedimento non può mai essere disposta quando per i beni sottoposti a sequestro sia comunque prevista la confisca obbligatoria ex art. 240, comma 2, c.p.

L'impugnazione della misura cautelare, ai sensi dell'art. 322, comma 2, c.p.p., non sospende l'esecuzione del provvedimento. La norma depotenzia evidentemente finalità defatigatorie, ma l'obbligo di (almeno parziale) discovery in capo all'autorità inquirente rende spesso di notevole utilità per la difesa una richiesta diretta, quanto meno in prima battuta, ad accertarsi, per così dire, di quali carte abbia in mano l'avversario (tant'è che è frequente l'ipotesi in cui, dopo avere avuto accesso agli atti trasmessi dalla procura, la parte rinuncia alla richiesta di riesame, anche al fine di evitare la cristallizzazione dell'ipotesi accusatoria che consegue al cosiddetto “giudicato cautelare”).

Il giudicato cautelare

Il giudicato cautelare è nozione assai diffusa, ma priva di una specifica definizione normativa e può sinteticamente definirsi come quel sistema di preclusioni che conseguono all'esaurimento delle impugnazioni offerte dal sistema processuale avverso i provvedimenti cautelari: al momento della irrevocabilità di questi ultimi, le questioni ivi affrontate non possono essere nuovamente riaperte, in difetto di circostanze rilevanti sopravvenute. Tale preclusione opera dunque allo stato degli atti, essendo preordinata ad evitare ulteriori interventi giudiziari in assenza di una modifica della situazione di riferimento, con la conseguenza che è superata dal successivo rinvio a giudizio con il quale sia stata precisata l'imputazione (Cass. III, n. 10976/2016).

Il principio del ne bis in idem cautelare non è peraltro di ostacolo alla reiterazione del sequestro preventivo sugli stessi beni, quando il nuovo decreto si fondi su una esigenza cautelare diversa da quella inizialmente ipotizzata oppure quando l'autorità procedente sia chiamata a valutare elementi precedentemente non esaminati (Cass. III, n. 24963/2015).

Le impugnazioni. L'appello

Il Pubblico Ministero e i medesimi soggetti legittimati alla richiesta di riesame possono proporre appello contro i provvedimenti in materia di sequestro preventivo non suscettibili di riesame (ad esempio, quelli che rigettano la richiesta di misura reale oppure le liquidazioni di acconti in favore dell'amministratore giudiziale; cfr., in termini, Cass. III, n. 24815/2016).

Le parti e i soggetti privati possono altresì impugnare il decreto di revoca del sequestro emesso dal Pubblico Ministero (art. 322-bis c.p.p.).

L'appello rappresenta dunque il rimedio di carattere generale per tutti i provvedimenti diversi da quello impositivo della cautela reale, anche per il terzo che non è parte nel giudizio di cognizione (Cass. S.U., n. 48126/2017).

Peraltro, la mancata tempestiva proposizione di appello avverso il provvedimento di revoca di sequestro preventivo non osta alla proposizione, da parte del Pubblico Ministero, di nuova istanza di misura ex art. 321 c.p.p. (Cass. III, n. 50310/2014, che ha osservato come l'effetto preclusivo del giudicato cautelare sia determinato solo dall'esistenza di un provvedimento decisorio non più impugnabile e non anche nelle ipotesi di mancata attivazione degli strumenti processuali di controllo). 

La struttura fondamentale di questo segmento procedimentale ripercorre i momenti principali della richiesta di riesame, quale principale impugnazione cautelare:

- la presentazione dell'appello non sospende l'esecuzione del provvedimento;

- la competenza a decidere spetta al medesimo “tribunale del riesame”;

- il procedimento segue il rito camerale tratteggiato dall'art. 127 c.p.p.

Gran parte della disciplina è mutuata dall'art. 310 c.p.p. (in combinato disposto con l'art. 309, commi 1-2-3-4-7, c.p.p.) in materia di appello cautelare relativo a misure personali:

- dell'appello è dato immediato avviso all'autorità giudiziaria procedente che, entro il giorno successivo, trasmette al tribunale l'ordinanza appellata e gli atti su cui essa si fonda;

- l'impugnazione deve essere proposta;

- dall'imputato entro dieci giorni dalla esecuzione o notificazione del provvedimento (ma per l'imputato latitante il termine decorre dalla data di notificazione eseguita mediante consegna di copia al difensore, a norma dell'art. 165 c.p.p. Tuttavia, se sopravviene l'esecuzione della misura, il termine decorre da tale momento quando l'imputato prova di non avere avuto tempestiva conoscenza del provvedimento);

- dal difensore dell'imputato entro dieci giorni dalla notificazione del provvedimento cautelare;

- l'appello è presentato nella cancelleria del tribunale del riesame, con le forme previste dagli artt. 582 e 583 c.p.p.;

- l'esecuzione della decisione con la quale il tribunale accoglie l'appello del Pubblico Ministero e dispone una misura cautelare è sospesa fino a che la decisione non sia divenuta definitiva.

La riserva di enunciazione dei motivi di cui all'art. 324, comma 4, c.p.p. trova esclusiva applicazione con riferimento al procedimento di riesame, stricto sensu inteso, ma non è estensibile all'appello cautelare reale (Cass. III, n. 19011/2015, che ha confermato la declaratoria di inammissibilità dei motivi enunciati nelle note di udienza e non tempestivamente dedotti nell'appello cautelare).

Il principio dettato dall'art. 322-bis c.p.p. di generale appellabilità delle ordinanze adottate in materia non trova applicazione per quei provvedimenti aventi natura sostanzialmente amministrativa che intervengono nella fase dell'esecuzione della misura cautelare, quali:

- le autorizzazioni al compimento di atti giuridici di natura privatistica, concernenti la nomina o la revoca del custode (Cass. V, n. 18777/2014);

- le disposizioni attinenti alla gestione ordinaria del bene sequestrato, che si connotano come atti di ordinaria amministrazione (Cass. II, n. 40130/2015, in tema di revoca dell'autorizzazione all'utilizzo dei macchinari sequestrati. Contra, Cass. I, n. 45562/2015, che ha qualificato il rigetto della richiesta di autorizzazione all'utilizzo dell'autovettura in sequestro come atto esorbitante dalla mera gestione della res, comportando una modifica del vincolo cautelare);

- le decisioni che riguardano direttamente la conservazione e la sopravvivenza del bene sottoposto a vincolo (Cass. III, n. 261/2017, in merito alla richiesta di autorizzazione a praticare trattamenti agronomici e fitosanitari sulle viti in sequestro allo scopo di preservarle dall'attacco di parassiti). 

Ad ogni buon conto, l'inammissibilità dell'appello cautelare proposto avverso il rigetto di un'istanza di revoca di sequestro preventivo, dichiarata all'esito di una valutazione non delle sole irregolarità attinenti al rapporto di impugnazione (ovvero delle irregolarità che riguardano l'impugnabilità soggettiva od oggettiva del provvedimento, il titolare del diritto di gravame, l'atto di impugnazione nelle sue forme e termini, l'interesse ad impugnare) ma della proponibilità nel merito della impugnazione medesima, deve essere pronunciata all'esito dell'udienza camerale partecipata fissata ai sensi dell'art. 127, comma 1, c.p.p., dal momento che l'art. 111 cost. garantisce il contraddittorio nell'ambito di ogni procedimento penale principale o incidentale, sia di merito che di legittimità. (Cass. III, n. 50339/2016, che ha annullato la dichiarazione di inammissibilità di appello cautelare, pronunciata de plano, fondata su ragioni relative alla esistenza di un provvedimento di confisca ostativo alla richiesta di dissequestro e restituzione).

Anche la proposizione dell'appello non sospende l'esecuzione del provvedimento.

A norma dell'art. 310, comma 3, c.p.p., richiamato dal successivo art. 322-bis, comma 2, secondo periodo, l'esecuzione del provvedimento con il quale il tribunale accoglie l'appello del Pubblico Ministero e dispone una misura cautelare reale è sospesa fino a che la decisione non sia divenuta definitiva.

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