Maternità surrogata: per la Corte EDU il mancato riconoscimento del rapporto di filiazione con il padre biologico viola il diritto alla vita privata

La Redazione
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01 Settembre 2023

La Corte EDU, con sentenza del 31 agosto 2023 (n. 47196/21), ha condannato l'Italia per non aver concesso il riconoscimento legale di una bambina all'anagrafe di un comune italiano, figlia di una coppia eterosessuale, nata da gestazione per altri in Ucraina. Per la Corte di Strasburgo, nonostante il margine di apprezzamento riconosciuto allo Stato, le autorità italiane sono venute meno al loro obbligo positivo di garantire il diritto del ricorrente al rispetto della sua vita privata violando, pertanto, l'art. 8 della Convenzione EDU.

Con sentenza del 31 agosto 2023, la Corte EDU ha condannato l'Italia a motivo della violazione dei diritti di una bambina, nata nel 2019 in Ucraina grazie al ricorso alla maternità surrogata, avendo impedito il riconoscimento legale del rapporto di filiazione con il padre biologico, rendendola, di conseguenza un'apolide.

La vicenda ha origine nel 2018, quando una coppia eterosessuale italiana (il padre biologico e la madre c.d. “d'intenzione”) conclude un contratto di gestazione per altri (GPA) in Ucraina. La ricorrente è nata nell'agosto 2019 e il suo certificato di nascita in Ucraina riconosce come genitori il padre biologico e la madre d'intenzione.

Nel settembre 2019, la coppia ha chiesto all'ufficiale di stato civile di una città italiana la trascrizione completa nel registro dello stato civile del certificato di nascita ucraino della bambina. Nel dicembre 2019, l'ufficio dello stato civile ha respinto la richiesta in quanto tale trascrizione è stata ritenuta contraria all'ordine pubblico. I ricorsi dei ricorrenti contro tale decisione non hanno avuto esito positivo. Successivamente, il padre biologico ha chiesto senza successo la trascrizione parziale all'ufficiale di stato civile di un'altra città dove aveva trasferito la sua residenza.

In seguito ai ripetuti rifiuti da parte dei vari uffici dell'anagrafe e dai tribunali italiani per il riconoscimento legale del legame con la bambina, il padre biologico e la madre intenzionale hanno portato il caso davanti alla Corte EDU nel settembre del 2021.

Nel ricorso la difesa ha affermato che «il rifiuto delle autorità nazionali di riconoscere il padre biologico e la madre intenzionale come suoi genitori, da un lato, e il fatto che non avesse la cittadinanza» ponevano la bambina in «uno stato di grande incertezza giuridica».

Se da una parte i giudici di Strasburgo hanno condannato lo Stato italiano per aver violato i diritti di una bambina nata da maternità surrogata in Ucraina, per non aver concesso il riconoscimento legale da parte del padre biologico, dall'altra hanno ritenuto non sussistesse la violazione relativa all'instaurazione di un rapporto legale genitori-figli tra la ricorrente e la madre intenzionale.

Infatti, sebbene la legge nazionale non consenta la trascrizione dell'atto di nascita per quanto riguarda la madre d'intenzione, garantisce tuttavia a quest'ultima la possibilità di riconoscere giuridicamente l'infante attraverso l'adozione, come afferma la stessa giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di cassazione. Dunque, con riferimento a questo specifico punto, per la Corte EDU non vi è stata quindi alcuna violazione dell'art. 8 della Convenzione EDU.

Tuttavia, i giudici di Strasburgo hanno ritenuto che il rifiuto delle autorità italiane di trascrivere l'atto di nascita della bambina costituisse un inadempimento delle autorità italiane del loro obbligo positivo di garantire il diritto della ricorrente al rispetto della sua vita privata ai sensi della Convenzione EDU, stabilendo che le autorità italiane dovranno versare alla bambina 15 mila euro per danni morali e 9.536 euro per le spese legali sostenute dal padre biologico e dalla madre intenzionale.