Diritto alle origini: lecito non divulgare i dati del donatore che vuol restare anonimo?

08 Settembre 2023

Per la CEDU il rifiuto opposto ai ricorrenti dell’annotata sentenza è lecito: il legislatore francese, anche prima della riforma della materia, ha legiferato una legge sulla bioetica e ha proceduto ad un dibattito generale in cui sono stati adeguatamente bilanciati i contrapposti interessi [...].

[...] È giusto garantire l'anonimato (attualmente però questo limite è sempre più superato) ai donatori di gameti e d'altro canto ciò non impedisce ad un medico di avere accesso ad informazioni mediche e di trasmetterle alla persona nata da PMA eterologa/richiedente in caso di pericolo per la sua salute o per evitare casi di consanguineità ed incesti. Non vi è stata perciò alcuna deroga all'art. 8 Cedu.

È quanto deciso dalla CEDU nel delicato caso Guavin- Fournis e Silliau c. Francia del 7 settembre.

Un ragazzo (Silliau) nato nel 1989 ed una ragazza nata nel 1980, rispettivamente a 17 e 29 anni, una volta saputo che erano nati da PMA con donazione di sperma altrui iniettato direttamente nell'utero della madre biologica, avevano chiesto di conoscere le proprie origini ed in particolar modo «l'identità del donatore, la sua storia medica e altre informazioni non identificative, come le sue motivazioni, la sua situazione familiare e la sua descrizione fisica». Invocarono rispettivamente questioni psicologiche e sapere se c'era consanguineità col fratello nato nel 1977 con la stessa procedura.

All'epoca non c'era ancora una possibilità di conoscere le proprie origini, ma nel 2022 fu riformata la legge e fu possibile accedere a questi dati solo col consenso del donatore, che nel caso Gauvin-Fournis non poteva essere prestato in alcun modo perché era deceduto. Per entrambe la CADA (Commissione di accesso agli atti) nel respingere le richieste (nel caso Silliau le mere conseguenze psicologiche non denotavano nessuna necessità terapeutica che consentisse la divulgazione di detti dati, previo consenso de donatore) motivò così il rifiuto: «la necessità di preservare la vita familiare all'interno della famiglia legale del bambino, che potrebbe essere destabilizzata dall'identificazione del donatore; (...) l'interesse morale e familiare del donatore, il cui gesto volontario è generalmente finalizzato unicamente a fornire assistenza alle coppie che non sono in grado di procreare, e che, nella maggior parte dei casi, non desidera che la sua identità sia rivelata. Va ricordato a questo proposito che, ai sensi dell'articolo 311-19 del codice civile, (...) Nessun rapporto genitore-figlio può essere stabilito tra l'autore della donazione e il bambino nato dalla procreazione. (...) Considerazioni di interesse generale relative alle conseguenze della revoca dell'anonimato: dall'esperienza degli Stati che hanno revocato l'anonimato del donatore di gameti risulta che una siffatta riforma può avere l'effetto, da un lato, di ridurre l'offerta e la domanda di gameti in proporzioni variabili e, dall'altro, e soprattutto, di dissuadere i genitori dal rivelare al loro bambino il suo modo di concepire Tuttavia, dalla prassi del CECOS risulta chiaramente che è preferibile, da un punto di vista psicologico, informare il bambino su questo punto non appena è in grado di comprendere (…)».

Per quanto riguarda la comunicazione di informazioni non identificative relative al donatore, essa ha sottolineato che essa era limitata alle informazioni di natura medica, di cui solo i medici potevano beneficiare. Prima di concludere che spettava esclusivamente al legislatore decidere se rendere accessibili o meno le informazioni non identificative dei donatori, la CADA ha informato la ricorrente dell'esistenza di varie relazioni e studi a favore della revoca del divieto di informazioni non identificative e l'ha informata della posizione isolata della Francia all'interno degli Stati membri del Consiglio d'Europa, poiché molti Stati avevano revocato l'anonimato senza riserve (Svezia, Regno Unito, Germania, Svizzera, Austria, Norvegia, Finlandia) o richiedevano il consenso del donatore (Belgio, Islanda), e che altri hanno consentito la divulgazione di dati non identificativi (Paesi Bassi, Spagna)» (neretto, nda).

L'anonimato è sempre attuale? Questa carenza di uniformità assieme al progressivo superamento dell'anonimato, che potrebbe porsi in contrasto col diritto dell'interessato a conoscere le proprie origini e soprattutto la propria storia medica familiare, dovuto all'evoluzione delle tecnologie genetiche sono alla base della Raccomandazione 2156 (2019) "Donazione anonima di sperma e ovociti: trovare un equilibrio tra i diritti di genitori, donatori e bambini". In essa l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa (APCE) ha notato «la grande diversità di legislazioni e pratiche all'interno degli Stati membri in materia di PMA». Questa Raccomandazione e lo “Studio comparativo sull'accesso alle origini delle persone concepite dalla donazione di gameti” (Consiglio d'Europa, 16 dicembre 2022) hanno evidenziato come il diritto a conoscere le proprie origini sia una componente dell'identità personale dell'individuo, sì che deve avere accesso ai dati del donatore, soprattutto quelli sulla storia medica onde evitare rischi per la salute come sancito dalla Convenzione di Oviedo. Si noti che i dati non identificativi come la professione, lo status sociale etc. del donatore solo in alcuni stati vengono comunicati ai genitori che ricorrono alla PMA. Si auspica l'introduzione di un meccanismo che consenta di conoscere i dati essenziali (medici etc.) per benessere del figlio biologico, ma si chiarisce che questo non è un meccanismo assoluto dovendosi anche rispettare l'anonimato richiesto dal donatore.

La CEDU però rimarca come l'anonimato non sia un ostacolo insormontabile per ottenere informazioni mediche essenziali e finalizzate a proteggere il richiedente da rischi alla salute: essi possono essere liberamente accessibili al medico curante che le trasmetterà al figlio nato da PMA.

In conclusione, oggi non c'è più, nemmeno in Francia, un segreto assoluto ed irreversibile come vigeva all'epoca in cui sono stati introdotti i ricorsi alla base di questa sentenza. Infatti, l'evoluzione sociale e lo sviluppo tecnologico e medico con l'introduzione di test genetici ricreativi da cui è possibile ricostruire le proprie origini, anche da un punto di vista medico, hanno fatto venire meno tale anonimato e permesso di superare gli evidenziati limiti.

Perché è lecito rifiutare l'accesso ai dati del donatore? Tali contrapposti interessi dovrebbero essere bilanciati equamente, stante l'interesse del minore che dovrebbe prevalere su ogni altro: in questi casi però il diritto di accesso alle origini è riconosciuto ai maggiorenni. Ormai l'anonimato sta diventando un'eccezione.

In ogni caso nella fattispecie dato che non c'erano forti legami e rischi che giustificassero le richieste dei ricorrenti il rifiuto era lecito. Lo Stato non ha violato, perciò, i propri doveri anche perché le norme contestate, essendo sulla bioetica, erano frutto di ampio dibattito pubblico, studi scientifici e sociali approfonditi, accurate e documentate riflessioni, che tenevano conto del citato diritto comparato, delle norme internazionali in materia e della prassi consolidata interna e della CEDU o di altre Corti internazionali (Vavřička e a. c. Repubblica ceca [GC] dell'8/4/21, D.B. e a. c. Svizzera del 22/11/22 e  Y c. Francia del 31/1/23).

In conclusione, il rifiuto rientrava nella discrezionalità riconosciuta allo Stato essendo quindi lecito.

(Fonte: Diritto e Giustizia)

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