I delitti contro l'assistenza familiare tutelano le esigenze economiche e assistenziali dei familiari nell'ambito delle relazioni reciproche tra coniugi e tra genitori e figli, venendo in rilievo non soltanto la famiglia in senso istituzionale, quanto i singoli rapporti intercorrenti tra i suoi membri.
Inquadramento
Il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare è previsto e punito da due norme differenti: l'art. 570 c.p. e l'art. 570-bis c.p.
I) L'art. 570 c.p.si colloca nel libro secondo del codice penale, in particolare nel capo quarto intitolato “Dei delitti contro l'assistenza familiare” e punisce tre condotte tipiche:
a) l'abbandono del domicilio domestico o l'assunzione di altra condotta contraria all'ordine e alla morale delle famiglie, condotte che determinano la violazione dell'obbligo di assistenza inerente alla potestà dei genitori o alla qualità di coniuge (art. 570, primo comma).
b) la malversazione o dilapidazione di beni del figlio minore o del coniuge da parte del genitore o dell'altro coniuge (art. 570, comma secondo, n. 1).
c) la mancata somministrazione dei mezzi di sussistenza a discendenti minorenni, inabili al lavoro, agli ascendenti ovvero al coniuge (art. 570, comma secondo, n. 2).
Tali condotte, pur essendo autonome tra loro, hanno quale comune denominatore l'esigenza di tutelare l'interesse di un soggetto ad essere assistito dai propri familiari, sia sotto il profilo economico e fisico, sia dal punto di vista morale.
II) L'art 570-bis c.p., è stato introdotto dal d.lgs. 1 marzo 2018 n. 21, recante attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale.
La disposizione prevede e punisce due fattispecie delittuose differenti:
La prima incrimina il soggetto che si sottragga all'obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio.
La seconda ipotesi riguarda, invece, la separazione personale dei coniugi e sanziona la mancata corresponsione dell'assegno di mantenimento fissato dal giudice, nei confronti del coniuge destinatario o dei figli in affido congiunto.
Tale articolo è stato introdotto in sostituzione di altri due articoli che sono stati abrogati.
Si tratta dell'art. 12-sexies, l. 1.12.1970, n. 898, che puniva il coniuge che si sottraeva all'obbligo di corresponsione dell'assegno divorzile e dell'art. 3, l. 8.2.2006, n. 54, art. 3 della legge 8 febbraio 2006, n. 54, in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli, il quale stabiliva che in caso di violazione degli obblighi di natura economica, trovava applicazione la disposizione penale prevista per il mancato versamento dell'assegno di divorzio (art. 12-sexies, legge 1 dicembre 1970, n. 898).
Di conseguenza, ogni richiamo all'art. 12-sexies, l. 1 dicembre 1970, n. 898 e all'art. 3, l. 8 febbraio 2006, n. 54, ovunque presente, deve ora intendersi riferito all'art. 570-bis c.p.
Il bene giuridico tutelato
I delitti contro l'assistenza familiare tutelano le esigenze economiche e assistenziali dei familiari nell'ambito delle relazioni reciproche tra coniugi e tra genitori e figli, venendo in rilievo non soltanto la famiglia in senso istituzionale, quanto i singoli rapporti intercorrenti tra i suoi membri.
Ratio primaria della norma è naturalmente quella di assicurare rimedi coercitivi volti a garantire ai beneficiari, coniuge e figli, la disponibilità tempestiva e periodica delle somme necessarie al loro sostentamento, al fine di evitare un consequenziale pregiudizio per gli stessi.
Qualora sia venuta meno l'unione materiale e spirituale della famiglia (per effetto di separazione o di allontanamento) è necessario proteggere coloro che, in virtù di un rapporto di parentela o di coniugio, si trovino in un grave stato di bisogno.
Pertanto, il bene giuridico tutelato dall'art. 570 c.p. è l'interesse di un soggetto ad essere assistito dai propri familiari, sia dal punto di vista fisico ed economico, sia dal punto di vista morale.
Tale bene giuridico deve essere riconosciuto nella sfera dei rapporti interindividuali che si sviluppano nell'ambito del nucleo familiare, frammentandosi nelle singole posizioni di obbligo, il cui inadempimento assume rilevanza penale.
La fattispecie incriminatrice
La norma di cui all'art. 570 c.p.c. configura, come detto, tre diverse fattispecie delittuose.
L'elemento oggettivo si sostanzia in una pluralità di condotte, sul presupposto che oltre al vincolo parentale sussista anche la convivenza o coabitazione tra i soggetti coinvolti.
La condotta tipica del reato è omissiva e consiste appunto nel non adempiere agli obblighi di assistenza previsti dalla legge (art. 147 c.c. , art 315-bis c.c. e art. 30 Costituzione).
Si tratta dei doveri che discendono dal matrimonio o dalla semplice paternità, quali:
l'obbligo di mantenere, educare, istruire e assistere moralmente la prole;
l'obbligo reciproco tra i coniugi all'assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell'interesse della famiglia e alla coabitazione;
l'obbligo, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia.
Il reato si configura solo attraverso una delle seguenti modalità esecutive:
Violazione degli obblighi di assistenza, che si esplica nella violazione del precetto solidaristico intrafamiliare, che si compone tanto di un aspetto economico-materiale, tanto di uno morale (abbandono domicilio, comportamento contrario all'ordine familiare, sottrazione agli obblighi di assistenza);
Malversazione o dilapidazione dei beni del figlio minore, del pupillo o del coniuge, che si concretizza nella reiterazione di atti di appropriazione indebita, costituenti abuso o prodigalità nell'amministrazione e che cagionino un danno rilevante al patrimonio;
Omessa prestazione dei mezzi di sussistenza, che consiste nel far mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di minore età o inabili al lavoro, ascendenti, coniuge non legalmente separato per sua colpa.
Il reato richiede il dolo generico, ovvero la coscienza e volontà di venir meno ai propri obblighi assistenziali
Nonostante la norma rechi la dicitura “chiunque”, si tratta di un reato proprio, che può essere commesso solo da quei soggetti ai quali la legge impone un obbligo di assistenza familiare: i genitori, il coniuge a cui è equiparabile anche la parte di un'unione civile ai sensi dell'art. 574-ter c.p.
È invece escluso, per rispetto del principio di tipicità e per non incorrere in un'applicazione analogica della legge penale in malam partem, il convivente more uxorio non avendo lo stesso alcun obbligo di assistenza (Cfr. Cass. n. 12201/2020).
Più controversa appare la natura delle fattispecie descritte dalla norma, ossia se le stesse integrino un unico reato ovvero condotte autonome ben distinte.
Secondo un primo orientamento, la norma penale indica come oggetto di repressione una condotta indifferenziata rispetto al numero ed alla qualità dei soggetti lesi, sicché il legislatore, non considerando singolarmente le posizioni degli individui, difende il complesso di obblighi che fa capo alla famiglia come entità distinta dai suoi componenti. Il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, quindi, avrebbe una natura unitaria, in quanto il bene giuridico tutelato è unico e consiste nell'equilibrio, nella cura e nello sviluppo dell'intero nucleo familiare (Cfr. Cass. pen., sez. VI, sent. 14 gennaio 2004, n. 1251.)
Un secondo orientamento sostiene, invece, che la natura pluralista del reato di cui all'art. 570 c.p., la cui tutela è indirizzata al singolo individuo facente parte della comunità familiare. Ciò in quanto l'oggetto del reato è rappresentato dai rapporti che intercorrono tra i singoli componenti della famiglia. Pertanto, colui che privi un familiare dei mezzi di sussistenza risponderà di una pluralità di delitti, eventualmente unificati sotto il vincolo della continuazione (Cass. pen., sez. un., sent. 20 dicembre 2007, n. 8413).
Trattandosi di tre diverse fattispecie, aventi ad oggetto diversi beni giuridici, è opportuno analizzarle separatamente.
L'abbandono del domicilio domestico e la condotta contraria all'ordine e alla morale delle famiglie
La fattispecie di cui al comma 1 dell'art. 570 c.p. richiede che il soggetto attivo - genitore o coniuge - si sottragga agli obblighi di assistenza familiare mediante l'abbandono del domicilio domestico ovvero con una condotta contraria all'ordine o alla morale delle famiglie.
Dalla mera lettura della norma emerge chiaramente che ciò che costituisce reato non è l'allontanarsi da casa, ma la sottrazione agli obblighi assistenziali.
I soggetti passivi sono i figli o il coniuge: la norma in questione trova applicazione in tutti i casi in cui chi realizza la condotta sia il genitore esercente la responsabilità genitoriale e il “coniuge”.
Il domicilio domestico viene qui inteso in una dimensione più ampia rispetto a quella prospettata dal codice civile, in quanto viene identificato con la sede abituale del nucleo familiare.
L'ordine e la morale della famiglia può, invece, essere intesa come quell'insieme di valori fondati sulla leale collaborazione e sul reciproco legame affettivo che assicurano l'unità, la prosperità, la pace, la solidarietà, la dignità, la sicurezza di quella particolare formazione sociale di carattere naturale basata sul matrimonio. Si tratta di “quel nucleo di valori e di interessi in cui si riconosce una famiglia media italiana” (così Fiandaca-Musco - Diritto penale Parte speciale, Bologna, 2006).
L'abbandono del domicilio domestico - da intendersi come allontanamento per un lungo periodo di tempo fondato sulla decisione di lasciare la casa con la volontà di non farvi ritorno - integra gli estremi previsti dall'art. 570 c.p., solo quando l'allontanamento cagioni l'inadempimento cosciente e volontario degli obblighi di assistenza coniugale, il cui contenuto non si esaurisce in esigenze di carattere materiale ed economico, ma tocca, altresì, la sfera degli interessi morali e di solidarietà. (Cass. pen. , n. 12310/2012 e Cass. pen. sent. n. 22912/2013).
Dunque, commette reato chi oltre a rilasciare l'abitazione, non fa nulla per provvedere alla propria famiglia (ad esempio, rifiutando di aiutare economicamente i figli oppure il coniuge privo di lavoro), sottraendosi ai propri doveri di assistenza morale e materiale che sono connessi non solo al mantenimento economico della famiglia, ma anche a quelli di protezione e sostegno reciproco.
L'abbandono del domicilio domestico per poter acquisire rilevanza penale deve, inoltre, essere illegittimo, ossia attuato in assenza di una giusta causa, quale è, ad esempio, quella derivante dalla domanda di separazione, divorzio o annullamento del matrimonio (fatti che costituiscono, ai sensi dell'art. 146, comma 2, c.c., “giusta causa di allontanamento dalla residenza familiare”)
Si ritiene in particolare rinvenibile una giusta causa (che esclude, come detto, la rilevanza penale della condotta) ogni qual volta sussista una situazione di intollerabilità della convivenza, che potrebbe giustificare una domanda di separazione dei coniugi.
La giurisprudenza maggioritaria ha ritenuto la sussistenza di una giusta causa qualora sussistano «ragioni di carattere interpersonale tra i coniugi che non consentano la prosecuzione della vita in comune» (Cfr. Cass. pen., sez.VI, 12 febbraio 2008, n. 11327)
L'altro modo, attraverso il quale si può realizzare la sottrazione agli obblighi di assistenza familiare, ai sensi del primo comma dell'art. 570 c.p., è il serbare “una condotta contraria all'ordine ed alla morale delle famiglie”.
La genericità della formula, adottata dal legislatore, ha dato origine ad alcuni dubbi interpretativi, superati poi dalla giurisprudenza che ha precisato come la norma denunciata individuasse chiaramente la condotta ivi ipotizzata con riferimento alla violazione degli interessi dell'ordine e della morale della famiglia, in conformità delle statuizioni di cui agli artt. 145 e 147 c.c. (Cass. pen. 13 dicembre 1983).
Anche la condotta contraria all'ordine e alla morale delle famiglie, presa in considerazione dal primo comma dell'art. 570 c.p. «non è punita di per sé, ma solo in quanto abbia avuto per risultato la violazione degli obblighi assistenziali inerenti alla responsabilità genitoriale, alla tutela legale e alla qualità di coniuge». Ne consegue che la violazione degli obblighi di assistenza morale ed affettiva verso i figli, certamente integrata dal totale disinteresse e dalla costante indifferenza verso costoro, assume rilievo penale soltanto se si riflette negativamente sui figli minori, in quanto solo in questo caso viene ad esaltarsi il rapporto genitore-figlio con precipuo riferimento agli obblighi connessi alla responsabilità di genitore ( Cfr. Cass .pen., sez. VI, 25 marzo 2004, n. 26037).
È stato, altresì, precisato che «gli obblighi di assistenza familiare possono essere violati anche nel caso di abbandono morale, e non solo nell'ipotesi di mancato mantenimento economico». (Cfr. Cass. pen., sez. VI, sentenza 24 luglio 2007, n. 30151).
La malversazione o dilapidazione dei beni del figlio minore o del coniuge
La disposizione di cui all'articolo 570, comma 2, numero 1, del codice penale è volta a tutelare, più che l'assistenza familiare, i beni del figlio minore e del coniuge, quindi il patrimonio appartenente a soggetti legati, all'autore del reato, da un particolare rapporto di fiducia.
In sostanza, si vuole assicurare un'onesta amministrazione del patrimonio dei figli minori o del coniuge.
A tal fine, viene prevista la sanzione penale per quelle condotte di malversazione o dilapidazione poste in essere in danno dei beni appartenenti al soggetto passivo, approfittando del rapporto fiduciario in virtù del quale l'agente (coniuge o genitore che esercita la responsabilità genitoriale) possiede o amministra detti beni.
La norma incrimina un fatto lesivo del patrimonio: il termine dilapidare è qui inteso nel significato comune di sperperare, mentre il termine malversare ricomprende tutti i comportamenti di mala gestio del patrimonio altrui.
La condotta si sostanzia, in concreto, in atti di abuso o di pro-digalità, tali da recare una diminuzione patrimoniale.
La collocazione di tale ipotesi criminosa, che costituisce nella sua obiettività giuridica, un delitto contro il patrimonio, nell'art. 570 c.p., si giustifica in considerazione del rapporto fiduciario che lega il colpevole alla vittima, rapporto che trae origine da vincoli di parentela o coniugio, che, ex art. 649 c.p., sarebbero ostativi alla punibilità, se la norma fosse ricompresa nell'ambito dei reati contro il patrimonio.
Per la ricorrenza del delitto in esame occorre che il soggetto agente abbia il possesso dei beni di cui si tratta in virtù del rapporto di coniugio, ove si tratta dei beni del coniuge, o in conseguenza della potestà dai genitori dello stesso esercitata sui figli minori, ove si tratti di beni appartenenti a questi ultimi. In mancanza di tale requisito saranno configurabili altre ipotesi delittuose, come il furto, la truffa o l'appropriazione indebita, sempre che non ricorra la speciale causa di non punibilità prevista dall'art. 649 c.p.
La configurabilità del reato di malversazione di beni del figlio minore non è esclusa dalla circostanza che il soggetto attivo sia il genitore separato non affidatario (Cfr. Cass. pen., sez. VI, 27 marzo 2008, n. 22401).
L'omessa prestazione dei mezzi di sussistenza
L'ultima ipotesi prevista dall'art. 570 c.p. è quella relativa alla violazione dell'obbligo di prestare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato (senza colpa).
Il bene giuridico tutelato da questa fattispecie, che trova più frequente applicazione nella prassi giudiziaria, non è il patrimonio, bensì il vincolo di solidarietà nascenti dal rapporto di coniugio o di filiazione.
Il delitto contemplato dall'art. 570 c.p., comma 2, n. 2, si caratterizza per la sua natura di reato di evento, e non di mera condotta, e può ritenersi integrato qualora concorrono due presupposti: lo stato di bisogno del soggetto beneficiario e la possibilità economica di adempiere da parte della persona giuridicamente obbligata.
La condotta penalmente rilevante, quindi, consiste nella omessa prestazione dei mezzi di sussistenza da parte di colui che aveva l'obbligo nonché la possibilità di adempiervi.
L'elemento soggettivo anche in tal caso è costituito dal dolo generico, ossia dalla coscienza e volontà di sottrarsi, senza giusta causa, all'obbligo di prestare i mezzi di sussistenza all'avente diritto, nella consapevolezza che quest'ultimo versi in stato di bisogno.
Il reato è escluso, quindi, per carenza dell'elemento soggettivo ogni qual volta l'incapacità economica sia dovuta a motivi non collegati alla volontà dell'obbligato, come ad esempio la sopravvenuta inabilità al lavoro o ad una involontaria disoccupazione.
Si tratta di reato proprio ed esclusivo (F. Mantovani, Diritto Penale, Padova, 1992, p. 147.) pertanto soggetti attivi possono essere solo coloro che abbiano lo status di coniuge o di genitore; mentre soggetti passivi saranno i discendenti minori di età, quelli maggiorenni inabili al lavoro, gli ascendenti e il coniuge purché versino in stato di bisogno economico.
Il riferimento agli ascendenti e discendenti va inteso in senso ampio ed è comprensivo dei nonni, degli zii e dei nipoti (in linea retta).
L'obbligo di assicurare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore gravi su entrambi i genitori e permane a prescindere dalle vicissitudini del rapporto coniugale (S. Riondato, Diritto penale della famiglia, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da P. Zatti, Giuffrè, 2002, vol. IV.)
Il concetto di mezzi di sussistenza
Nella nozione penalistica di mezzi di sussistenza richiamata dall'art. 570 comma 2, n. 2 c.p., (diversa dalla più estesa nozione civilistica di mantenimento), debbono ritenersi compresi non solo i mezzi per la sopravvivenza vitale (quali il vitto e l'alloggio), ma anche gli strumenti che consentano, in rapporto alle reali capacità economiche e al regime di vita personale del soggetto obbligato, un sia pur contenuto soddisfacimento di altre complementari esigenze della vita quotidiana quali, ad esempio, l' abbigliamento, i libri di istruzione per i figli minori, i mezzi di trasporto, i mezzi di comunicazione (Cfr. Cass. pen. 22 ottobre 2019, n.3485; Cass. pen., 12 gennaio 2017, n.12400; Cass. pen. 15 marzo 2017, n.24532; Cass. pen. 16 aprile 2014, n.17691; Cass. pen. sent. n. 43119/2013; Cass. civ. n. 49755/2012).
Quindi i mezzi di sussistenza rilevanti ai fini della incriminazione si identificano in tutti i bisogni fondamentali della vita quotidiana, quali anche il vitto, l'abitazione, i canoni per forniture (luce, acqua, gas e riscaldamento), i medicinali, le spese per l'istruzione dei figli e di vestiario (Cfr. Cass. pen. sez. VI - 3, 3 maggio 2019, n. 18572).
Il concetto di “mezzi di sussistenza”, riferendosi alle elementari esigenze di vita del soggetto passivo del reato, va pertanto tenuto distinto:
da quello di “mantenimento” che ha invece una portata ben più ampia giacché include tutto quanto sia richiesto per garantire un tenore di vita adeguato alla posizione economico sociale dei coniugi e dei figli e prescinde dallo stato di bisogno (Cfr. Cass. sez. un., sent. n. 23866/2013).
da quello di “alimenti” che hanno ad oggetto non quanto è indispensabile per vivere ma quanto occorre per soddisfare i bisogni della vita secondo la condizione economica e sociale del beneficiario.
I mezzi di sussistenza richiamano, quindi, l'approvvigionamento di quanto necessario al sostentamento e, dunque, ad assicurare il soddisfacimento delle più elementari esigenze di vita dell'avente diritto, secondo parametri di carattere universale che prescindono dalle contingenze economiche e sociali dell'obbligato a fronte dello stato di bisogno del beneficiario (Cass. pen., sez. III, Sent., 30 maggio 2022, n. 21026).
Tra i mezzi di sussistenza che devono essere assicurati al coniuge e ai figli minori secondo parte della giurisprudenza rientrerebbe anche l'abitazione essendo stato ritenuto sussistente il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di mancato pagamento delle rate del mutuo (Cass. n. 33023/2014)
Affinché l'inadempienza del soggetto obbligato assuma rilevanza penale è necessario non soltanto la mancata corresponsione dei mezzi di sussistenza necessari ai figli minori od al coniuge ma anche:
lo stato di bisogno dell'avente diritto, che deve essere effettivo e deve essere accertato in modo rigoroso da parte del giudice;
l'effettiva capacità economica dell'obbligato, quale riflesso del principio per cui ad imposibilia nemo tenetur.
la coscienza e volontà di rendersi inadempiente agli obblighi di assistenza familiare.
L'omesso versamento dei mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore è configurabile anche in mancanza di un valido provvedimento giudiziale di separazione, in quanto l'obbligo morale e giuridico di contribuire al mantenimento dei figli grava sui genitori anche in caso di separazione di fatto (Cass. civ. 30 gennaio 2020, n. 5237).
Lo stato di bisogno del soggetto passivo
La condotta sanzionata dall'art. 570, comma 2, c.p. presuppone, come detto, uno stato di bisogno dell'avente diritto, nel senso che l'omessa assistenza deve avere l'effetto di far mancare i mezzi di sussistenza, che comprendono quanto è necessario per la sopravvivenza.
Lo stato di bisogno della vittima del reato può essere interpretato come grave ed effettiva difficoltà ad assolvere ai bisogni essenziali della vita quotidiana senza il contributo di chi deve prestare i “mezzi di sussistenza” e, dunque, indipendentemente dal fatto che goda o meno di proventi propri.
Lo stato di bisogno:
si presume in caso di figli minori, in quanto si tratta di soggetti non idonei a produrre un reddito proprio. È stata invece esclusa la configurabilità del reato di cui all'art. 570 comma 2 c.p., in caso di figli maggiorenni abili al lavoro (Cfr. Cass. pen. n. 1342/2019).
ricorre anche quando alla sussistenza vi provveda in via sussidiaria l'altro coniuge od un terzo (es. i nonni).
Ciò in quanto il fatto che la prole abbia ricevuto da altri i mezzi di sostentamento per le più urgenti necessità, costituisce prova dello stato di bisogno in cui versa il minore (e non già causa esimente per il genitore obbligato che si è sottratto al dovere di mantenimento).
Sul punto la giurisprudenza è sempre stata univoca e molto rigorosa riconoscendo per l'appunto nella minore età lo stato di bisogno a nulla valendo il fatto che il figlio possa essere mantenuto dall'altro genitore: “la minore età del figlio a favore del quale è previsto l'obbligo di contribuzione al mantenimento, rappresenta in re ipsa una condizione soggettiva di stato di bisogno che obbliga i genitori a contribuire al loro mantenimento assicurando i predetti mezzi di sussistenza, con la conseguenza che il reato di cui all'art 570 comma 2 c.p. sussiste anche quando uno dei due genitori ometta la prestazione dei mezzi di sussistenza in favore dei figli minori ed al mantenimento della prole provveda in via sussidiaria l'altro genitore” (Cass. civ. n 11195/2021; Cass. pen, sez. VI, 2 febbraio 2015, n. 4834; Cass. n. 53607/2014)
In tutti gli altri casi, lo stato di bisogno deve essere oggetto di specifica prova.
Spetta, quindi, al coniuge omissivo dimostrare l'assenza dello stato di bisogno del congiunto o la propria impossibilità ad adempiere (Cass. civ., sent. 27 novembre 2014, n. 49543).
Per la configurabilità del reato in questione non è sufficiente, quindi, l'inadempimento all' obbligo, previsto in sede civile, di corrispondere determinate somme a titolo di mantenimento, essendo l'illecito in questione rapportato alla sussistenza dello stato di bisogno dell'avente diritto e al mancato apprestamento dei mezzi di sussistenza da parte di chi, per legge vi è obbligato.
Deve trattarsi di un inadempimento grave, tale da aver generato uno stato di bisogno, consistente nell'aver rinunciato alle fondamentali esigenze di vita (mangiare, curarsi, vestirsi).
Tale principio è stato di recente ribadito anche dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui “la violazione dell'obbligo di assistenza per integrare il reato di cui all'art. 570 c.p., comma 2, deve essere tale da avere fatto mancare i mezzi di sussistenza al minore, e che diversamente dal delitto di omesso versamento dell'assegno periodico per il mantenimento, l'educazione e l'istruzione dei figli, previsto dall'art. 570-bis c.p., non ricorre solo per effetto del mancato versamento integrale dell'assegno di mantenimento determinato in sede civile”. (Cfr. Cass., sent. n. 26993/2019; Cass. pen. n.28774/2020).
Ciò in quanto la norma di cui all'art. 570, comma 2, n. 2, non sanziona la mera inosservanza agli ordini impartiti dal Giudice in sede di separazione o di divorzio ma sanziona quelle condotte di inosservanza agli obblighi di assistenza economica che si traducono anche nella deprivazione dei bisogni della vita quotidiana (Cfr. Cass. pen., n. 1857/2019)
Il giudice penale deve accertare se tale condotta abbia inciso apprezzabilmente sulla disponibilità dei mezzi economici che il soggetto obbligato è tenuto a fornire al beneficiario, tenendo, inoltre, conto di tutte le altre circostanze del caso concreto, ivi compresa la oggettiva rilevanza del mutamento di capacità economica intervenuta, in relazione alla persona del debitore, mentre deve escludersi ogni automatica equiparazione dell'inadempimento dell'obbligo stabilito dal giudice civile alla violazione della legge penale (Cass. pen. 29896/2019).
L'art. 570 c.p. tutela, del resto, la solidarietà familiare, trovando la sua ratio nella protezione del familiare indigente che viene a trovarsi in uno stato di bisogno perché privato dei mezzi di sussistenza a causa della condotta dolosa posta in essere dall'obbligato inadempiente.
Indi per cui, qualora l'assegno di mantenimento sia versato, sia pur in parte, in maniera costante e tale da garantire un apporto continuativo in favore del coniuge e dei figli minori, ai fini della sussistenza del reato di cui all'art. 570 c.p., comma 2, occorre procedere all'effettiva verifica dell'idoneità dell'adempimento parziale a soddisfare le esigenze primarie dei beneficiari e, in particolare, dei figli minori, non potendosi far discendere dal mero inesatto adempimento la configurabilità del reato in assenza dell'accertamento dello stato di bisogno.
Lo stato di indigenza dell'obbligato
L'obbligo di prestare i mezzi di sussistenza presuppone anche la "capacità economica" dell'obbligato.
Ai fini dell'integrazione del reato (art. 570, comma 2 n. 2, c.p.), è necessario, quindi, che la mancata corresponsione delle somme dovute sia da attribuire all'indisponibilità persistente, oggettiva e incolpevole di introiti sufficienti a soddisfare le "esigenze minime di vita. (Cfr. Cass. pen. 10 maggio 2011, n. 27051).
Incombe all'interessato l'onere di allegare gli elementi dai quali possa desumersi l'impossibilità di adempiere alla relativa obbligazione non potendo la responsabilità penale essere esclusa di per sé per effetto dell'allegazione di uno stato di disoccupazione, di una mera flessione degli introiti economici o di generiche difficoltà.
Per escludere la responsabilità penale le difficoltà economiche lamentate devono essere tali da determinare una vera e propria situazione di indigenza economica, tale da configurare un impedimento assoluto ad adempiere a causa di una situazione di persistente, oggettiva, incolpevole indisponibilità di introiti (Cass. n. 21393/2023; Cass. n. 3831/2017; Cass. n. 13410/2017; Cass. n. 12283/2016; Cass. n. 1021/2014; Cass. n. 20273/2013; Cass. n. 7372/2013; Cass. n. 8063/2012; Cass. n. 34481/2012; Cass. n. 41362/2010;Trib. Nola n. 352/2022).
Neppure l'iscrizione nelle liste di disoccupazione, l'effettuazione di lavori precari e/o il ricorso ad un alloggio gratuito messo a disposizione dal Comune potrebbero ritenersi circostanze sufficienti ad escludere il reato (Cass. n. 40553/2022).
L'obbligato deve, quindi, versare in una situazione di impossibilità assoluta ad adempiere.
Laddove sia accertato che la mancata corresponsione delle somme dovute è da attribuire ad uno stato incolpevole di indigenza assoluta da parte dell'obbligato il reato non si configura.
La giurisprudenza, pur aderendo a una interpretazione “restrittiva” del concetto di indigenza, ha però di recente anche chiarito che occorre sempre effettuare anche una valutazione delle ragioni sottostanti che inducono l'obbligato a non adempiere (Cfr. Cass. n. 32576/2022; Cass. n. 11364/2020).
In particolare, il Giudice di merito deve verificare e bilanciare anche altri fattori ovvero:
- se il genitore obbligato possa provvedere autonomamente ai propri bisogni primari, conducendo una vita dignitosa, trattandosi di diritto non comprimibile;
- le disponibilità economiche dell'obbligato;
- la necessità dello stesso di provvedere a proprie esigenze di vita egualmente indispensabili (tra cui vitto e alloggio);
- la solerzia nel reperimento di nuove e/o ulteriori fonti di reddito;
- il contesto socio-economico dell'obbligato, al fine di comprendere le effettive possibilità di questi di corrispondere il dovuto.
La violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio (art. 370 bis c.p.).
Il mancato pagamento degli assegni secondo la disciplina pregressa
L'art. 570-bis c.p. è stato introdotto nell'ordinamento penale dal d. lgs. n. 21/2018 che sanziona, con le pene fissate dall'art. 570 c.p., la condotta del coniuge che «si sottrae all'obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero viola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli».
Questa norma riproduce, seppur non in modo letterale, i reati in precedenza disciplinati dall'art. 12-sexies l. 1° dicembre 1970, n. 898 e dall'art. 3 della legge 8 febbraio 2006, n. 54. Disposizioni queste abrogate.
L'art. 12-sexies l. n. 898/1970 sanzionava il coniuge divorziato che si sottraeva all'obbligo di corresponsione dell'assegno dovuto a norma dei precedenti art. 5 e 6 della predetta legge. Si tratta, rispettivamente, dell'assegno divorzile stabilito dal tribunale in favore dell'altro coniuge e del contributo che riguarda il mantenimento, l'educazione e l'istruzione dei figli nati o adottati nell'ambito del matrimonio sciolto.
La citata disposizione disegnava, nella parte precettiva, un'ipotesi criminosa del tutto autonoma rispetto a quella prevista dall'art. 570 c.p., in quanto individuava un reato omissivo proprio che, consistendo nell'inosservanza dell'obbligo di corresponsione dell'assegno dovuto a norma degli artt. 5 e 6 della legge, integrava violazione di uno specifico provvedimento del giudice.
Mentre l'art. 570 c.p. ha un ambito di applicazione ben più ampio, riguardando la violazione dell'obbligo di non far mancare al coniuge e ai figli i mezzi di sussistenza, ossia “ciò che è indispensabile a farli vivere”.
L'art. 3 della legge n. 54/2006, recante “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”, introdotto successivamente, prevedeva un'ulteriore fattispecie penale, formulata sul modello dell'art. 12-sexies della legge n. 898/1970, che puniva la violazione degli obblighi economici assunti in favore dei figli dai genitori separati con la pena prevista dall'art. 570 c.p., senza che fosse necessario l'induzione in uno stato di bisogno richiesto dall'art. 570, comma 2, c.p.
I presupposti del reato
Il d.lgs. n. 21/2018 ha abrogato le disposizioni penali appena illustrate, introducendo, all'art. 570-bis c.p., una fattispecie omissiva che pare strutturata come reato proprio.
La condotta incriminata, infatti, consiste nell'omessa corresponsione da parte del “coniuge” di “ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio”.
Nella seconda parte, la stessa disposizione, mantenendo fermo il riferimento al coniuge quale soggetto agente, sanziona anche la violazione degli “obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli”.
Si tratta di un reato omissivo a consumazione permanente: non è però sufficiente una sola condotta omissiva ad integrare il reato, atteso l'utilizzo da parte del legislatore del termine “si sottrae”, che postula un comportamento reiterato, dal quale possa desumersi l'intenzione del soggetto di non adempiere gli obblighi economici in maniera sistematica.
In virtù dell'art. 570 -bis c.p., anche il coniuge separato è tutelato penalmente, nel caso di omesso versamento dell'assegno nei suoi confronti.
L'ipotesi de qua non era, infatti, prevista, come reato in quanto l'art. 570 c.p. fa riferimento al coniuge non separato e l'art. 3 l. 54/2006 non contemplava la violazione degli obblighi di natura economica nei confronti del coniuge separato.
La nuova norma prevede, dunque, una tutela rafforzata nei confronti del coniuge "debole" e dei figli, al fine di ottenere una tempestiva e periodica corresponsione delle somme necessarie, onde evitare conseguenze pregiudizievoli per gli stessi.
Tale reato, a differenza di quello previsto dall'art. 570 c.p., non punisce il far mancare i mezzi di sussistenza ma il mero inadempimento dell'obbligo di corresponsione dell'assegno stabilito dal giudice civile, in sede di separazione o divorzio, in favore dei figli o del coniuge (Cass. pen., sez. VI, n. 34270/2012 e n. 6575/2008).
Del resto, le obbligazioni da cui discendono le due diverse fattispecie di reato hanno una fonte diversa, in quanto l'obbligo di contribuzione al mantenimento dei figli, tutelato dall'art. 570 c.p., troverebbe fondamento direttamente nel matrimonio, mentre l'obbligo di versamento dell'assegno, tutelato dall'art. 570-bis c.p., si fonda sul provvedimento del giudice.
La sanzione penale è, quindi, applicabile a prescindere dall'accertamento dello stato di bisogno. Essa è conseguente all'omesso versamento dell'assegno, senza alcun accertamento in ordine allo stato di bisogno o meno dell'avente diritto.
L'elemento soggettivo è il dolo generico, ossia la coscienza e volontà̀ di sottrarsi a tale provvedimento.
Va detto anche che il reato non può configurarsi, sotto il profilo soggettivo (quindi per mancanza di dolo) in caso di assoluta impossibilità (accertata) del soggetto obbligato di adempiere alle obbligazioni imposte dal giudice civile (Cfr. Cass. n. 32576/2022).
La tutela dei figli di genitori non uniti in matrimonio
Il tema più delicato concerne la tutela penale dei figli di genitori non coniugati
Prima dell'introduzione dell'art. 570-bis c.p., la tutela penale degli interessi economici del figlio nato fuori dal matrimonio era affidata al coordinamento in via interpretativa delle norme contenute in due leggi complementari:
- la l. 898 del 1970 il cui art. 12-sexies dettava che «al coniuge che si sottrae all'obbligo di corresponsione dell'assegno dovuto a norma degli articoli 5 e 6 della presente legge si applicano le pene previste dall'articolo 570 del codice penale»
- la l. 54 del 2006 il cui art.3 stabiliva che «In caso di violazione degli obblighi di natura economica si applica l'articolo 12-sexies della legge 1 dicembre 1970, n. 898».
L'orientamento maggioritario della giurisprudenza aveva ritenuto che tale reato fosse configurabile non solo nel caso di separazione dei genitori coniugati, ovvero di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, ma anche in quello di violazione degli obblighi di natura economica derivanti dalla cessazione del rapporto di convivenza, rilevando come l'art. 4, comma 2, della l. 54/2006 stabilisse l'estensione “ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati” delle disposizioni contenute nella medesima legge (Cass. sez. VI, n. 14731/2018).
E stato quindi ritenuto configurabile il reato di omesso versamento dell'assegno periodico per il mantenimento, educazione e istruzione dei figli anche nel caso di violazione degli obblighi di natura economica derivanti dalla cessazione del rapporto di convivenza.
Si è fatto ricorso in particolare ad un'interpretazione sistematica della disciplina sulle unioni civili e sulla responsabilità genitoriale nei confronti dei figli (legge 20 maggio 2016, n. 76, d.lgs. 28 dicembre 2013 n. 154, che ha inserito nel codice civile l'art. 337-bis, legge 8 febbraio 2006, n. 54), evitando la diversità di trattamento che si sarebbe verificata qualora fosse stata accordata una più ampia tutela penale ai soli figli di genitori coniugati rispetto a quelli nati fuori dal matrimonio (Cass. pen. n. 25267/2017,; Cass. pen. n. 12393/2018; Cass. pen., n. 14731/2018; Cass. pen. n. 29902/2018).
Con la sentenza n. 189/2019, la Corte costituzionale ha poi dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 570-bis c.p., nella parte in cui esclude dall'ambito di operatività della disciplina penale ivi prevista i figli di genitori non coniugati.
A seguito dell'introduzione dell'art. 570-bis c.p., e contestuale abrogazione dell'art. 3 della l. 54/2006, si è però posto il problema se esso fosse applicabile anche alla violazione degli obblighi di natura economica che riguardano i figli nati fuori del matrimonio.
La soluzione giurisprudenziale sopra illustrata - che, dunque, ha equiparato la tutela penale dei figli di genitori separati non coniugati a quella dei figli nel caso di separazione dei genitori coniugati ovvero di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio - è stata posta in discussione dalla formulazione letterale del nuovo art. 570-bis c.p. il quale pare descrivere un reato proprio, presupponendo la qualità soggettiva di “coniuge” del soggetto agente.
Tale qualità sembrerebbe rappresentare un elemento costitutivo della fattispecie, che la rende inapplicabile a condotte, pur consistenti nella violazione degli obblighi di natura patrimoniali inerenti l'affidamento dei figli, che siano poste in essere da genitori non coniugati.
La questione non è di poco conto, considerato che il principio di tassatività e il divieto di analogia della legge penale, impediscono qualsivoglia interpretazione estensiva della norma.
La giurisprudenza ha però nuovamente ribadito che in tema di violazione degli obblighi patrimoniali da parte dei genitori nei confronti dei figli, la disposizione incriminatrice di cui all'art. 570-bis c.p. opera anche con riferimento alle condotte omissive poste in essere dai genitori nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio. (Cass. civ. n. 44695/2019)
La Corte di Cassazione (Cfr. Cass. pen., sent. 9 marzo 2022, n. 8222; Cass. pen. sent., 10 marzo 2021, n. 9516; Cass. pen. sent. 10 marzo 2021 n. 9516), attraverso un'interpretazione sistematicamente coerente e costituzionalmente compatibile e orientata, ha chiarito, infatti, che tale disposizione “ è applicabile anche in caso di violazione degli obblighi di natura patrimoniale stabiliti nei confronti di figli minori nati da genitori non legati da vincolo formale di matrimonio e che, quanto ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore del d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, vi è continuità normativa tra la fattispecie prevista dall'art. 570-bis c.p. e quella prevista dalla l. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 3 (Sez. 6, n. 56080 del 17/10/2018, G., Rv. 274732). Lettura che è stata ritenuta "un'operazione ermeneutica ineccepibile" da parte della Corte costituzionale, in quanto trova fondamento nella legge, e in particolare nel combinato disposto di due norme (la L. n. 54 del 2006, art. 4, comma 2, e la d.lgs. n. 21/2018, art. 8) che a loro volta si integrano con la disposizione incriminatrice di cui all'art. 570-bis c.p., determinando l'estensione del relativo ambito applicativo (sentenza n. 189 del 2019).
Il mancato rispetto di una pronuncia giudiziale o di uno specifico accordo che impongono al genitore naturale l'obbligo di corrispondere una determinata somma di denaro per il mantenimento del figlio va contestualizzato con riferimento alla cornice dettata nel codice civile che, nella rubrica dell'attuale Capo II del titolo IX recita “esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all'esito di procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio” e, all'art. 337-bis c.c., disciplinando l'ambito di applicazione, stabilisce che “in caso di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio, si applicano le disposizioni del presente capo“.
L'esegesi letterale dell'art. 570 bis c.p. - tra la posizione dei figli nati da genitori conviventi rispetto alla prole nata in costanza di matrimonio - si pone in netta antitesi con la piena equiparazione realizzata nell'ambito del diritto civile dall'art. 337-bis c.c. e segg. in un sistema normativo ormai costantemente orientato a far sì che gli obblighi dei genitori, nascendo dal rapporto di filiazione, non subiscano alcuna modifica a seconda che sia o meno intervenuto il matrimonio, in conformità, del resto, con la previsione dell'art. 30 comma 3 della Costituzione.
Alla luce dei principi costituzionali di solidarietà e uguaglianza espressi dagli artt. 2 e 3 Cost., la giurisprudenza penale ha quindi riconosciuto “protezione” anche alla famiglia di fatto, quando risulti da una comunanza di vita e di affetti analoga a quella che si ha nel matrimonio.
Le intese extragiudiziali
Il reato è escluso allorquando il comportamento astrattamente tipico sia posto in essere in esecuzione di intese extragiudiziali, anche non omologate, successive alla sentenza di scioglimento del matrimonio e modificative delle statuizioni patrimoniali contenute in un precedente provvedimento giudiziario.
La giurisprudenza, infatti, ha ricordato che “in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, non sono configurabili i reati di cui alla l. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12-sexies, e art. 570 c.p., qualora gli ex coniugi si siano attenuti ad accordi transattivi conclusi in sede stragiudiziale pur quando questi non siano trasfusi nella sentenza di divorzio che nulla abbia statuito in ordine alle obbligazioni patrimoniali” (cfr. in Cass. pen, n. 36392/2019; Cass. pen., n. 5236/2020).
L'accordo transattivo non dovrà essere contrario all'ordine pubblico o all'interesse dei beneficiari dell'assegno di mantenimento. Solo in tale caso le intese raggiunte saranno pienamente idonee a produrre autonomi effetti obbligatori tra le parti ma, soprattutto, costituiranno una scriminante all'ipotesi delittuosa dell'art. 570-bis c.p. se l'imputato ha conformato la sua condotta agli accordi intercorsi con l'ex coniuge.
La procedibilità
Il delitto di di cui all'art. 570-bis c.p. è procedibile d'ufficio, in quanto è rimasto immutato il regime della procedibilità previsto per il delitto di cui all'art. 12-sexies, legge 1 dicembre 1970, n. 898, richiamato dall'art. 3 legge 8 febbraio 2006, n. 54, la cui abrogazione è stata meramente formale vista la trasposizione della relativa ipotesi criminosa nella nuova norma codicistica.
Essendo solo formale l'abrogazione dei reati previsti dall'art. 12-sexies l. n. 898/1970 e dall'art. 3 l.. n. 54/2006, senza cioè abolizione delle relative ipotesi criminose, perché riprese dal nuovo art. 570- bis c.p., deve ritenersi immutato anche il regime di procedibilità di ufficio (Cfr. Cass. pen n. 2793/2022; Cass. pen. n. 7277/2020).
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Sommario
L'abbandono del domicilio domestico e la condotta contraria all'ordine e alla morale delle famiglie
L'omessa prestazione dei mezzi di sussistenza
Lo stato di indigenza dell'obbligato
La violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio (art. 370 bis c.p.).