Omessa audizione delle persone offese in caso di violenza domestica e revoca dell'assegnazione del procedimento
13 Settembre 2023
Premessa: la soluzione “avocazione”
E' di pochissimi giorni orsono la notizia per la quale era un corso di approvazione un disegno di legge destinato a “rafforzare” i principi del cd. codice rosso attraverso la previsione di una nuova ipotesi di avocazione; in base al testo originario del disegno di legge, si prevedeva la modifica dell'art. 372 c.p.p. in materia di avocazione delle indagini, con l'aggiunta di un comma 1-ter, per il quale «il procuratore generale presso la corte di appello dispone con decreto motivato, e assunte, quando occorre, le necessarie informazioni, l'avocazione delle indagini preliminari relative ai delitti contemplati dall'art. 362 comma 1-ter c.p.p. quando il pubblico ministero non assume informazioni dalla persona offesa o da chi ha presentato denuncia, querela o istanza entro il termine previsto dal comma 1-ter dell'articolo 362 c.p.p., salvo che sussistano le esigenze previste dal medesimo comma». Potere destinato a “rinvigorire” la previsione di cui art. 362 c.p.p., comma 1-ter, introdotto dalla l. n. 69/2019: «Quando si procede per il delitto previsto dall'articolo 575 del codice penale, nella forma tentata, o per i delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 612-bisc.p., ovvero dagli articoli 582 e 583-quinquiesc.p. nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, c.p., il pubblico ministero assume informazioni dalla persona offesa e da chi ha presentato denuncia, querela o istanza, entro il termine di tre giorni dall'iscrizione della notizia di reato, salvo che sussistano imprescindibili esigenze di tutela di minori di anni diciotto o della riservatezza delle indagini, anche nell'interesse della persona offesa». La relazione alla proposta precisava che lo stesso si rende necessario in quanto «nonostante le attuali previsioni normative, il termine dei tre giorni previsto dall'art. 362, comma 1-ter, c.p.p. non sempre viene rispettato», laddove al contrario «è… indispensabile la massima celerità nella valutazione delle denunzie per i reati previsti da tale articolo, perché in queste ipotesi la violenza è di sovente caratterizzata da una escalation». Osservazione, anche quest'ultima, del tutto condivisibile, sulla base dell'osservazione in concreto della realtà del settore. Un potere di avocazione reso effettivo dalla previsione – di cui all'art. 2 del d.d.l. dall'inserimento di due nuovi commi nell'art. 127 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271: «1-bis. La segreteria del pubblico ministero trasmette altresì ogni settimana al procuratore generale i dati di cui al comma 3 relativi ai procedimenti per i delitti indicati nell'articolo 362, comma 1-ter, c.p.p., nei quali non sono state assunte informazioni dalla persona offesa e da chi ha presentato denuncia, querela o istanza entro il termine di tre giorni dall'iscrizione della notizia di reato». Dopo il comma 2 è inserito il seguente: «2-bis. Per ciascuno dei procedimenti di cui al comma 1-bis è specificato se il pubblico ministero non ha assunto informazioni dalla persona offesa e da chi ha presentato denuncia, querela o istanza entro il termine di tre giorni dall'iscrizione della notizia di reato per la sussistenza delle esigenze previste dall'articolo 362, comma 1-ter, c.p.p. Una prospettiva che aveva destato non poche perplessità. Una fra tutte merita di essere ricordata: l'estrema difficoltà per le Procure Generali, di disporre in tempo “utile” rispetto alla necessità di intervento urgente l'audizione delle persone offese, con un ruolo di effettiva ed efficace supplenza rispetto l'apparente omissione delle Procura della Repubblica. Verosimilmente anche per questa ragione, il testo del provvedimento è stato profondamente modificato e risulta espressivo di una prospettiva di intervento decisamente nuova, forse maggiormente condivisibile ma, anch'essa, non priva di criticità interpretative. La nuova soluzione: la revoca dell'assegnazione
Il “cambiamento di rotta” è stato tanto rapido quanto significativo, andando a incidere su un profilo procedurale completamente diverso. Il nuovo testo del disegno di legge non è più “calibrato” sul potere di avocazione del procuratore generale, ma prevede «Modifiche al decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106, concernenti i poteri del procuratore della Repubblica nei casi di violazione dell'articolo 362, comma 1-ter, c.p.p., in materia di assunzione di informazioni dalle vittime di violenza domestica e di genere». Il provvedimento consta di un unico articolo, recante due diverse modifiche al decreto legislativo n. 106 del 2006 (disposizioni in materia di riorganizzazione dell'ufficio del pubblico ministero). In base al nuovo testo, al decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106, sono apportate le seguenti modificazioni: «2-bis. Quando si procede per il delitto previsto dall'articolo 575 del codice penale, nella forma tentata, o per i delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 612-bis c.p., ovvero dagli articoli 582 e 583-quinquies del codice penale nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, c.p., il procuratore della Repubblica può, con provvedimento motivato, revocare l'assegnazione per la trattazione del procedimento se il magistrato non osserva le disposizioni dell'articolo 362, comma 1-ter, c.p.p. Entro tre giorni dalla comunicazione della revoca, il magistrato può presentare osservazioni scritte al procuratore della Repubblica. Il procuratore della Repubblica, direttamente o mediante assegnazione a un altro magistrato dell'ufficio, provvede senza ritardo ad assumere informazioni dalla persona offesa o da chi ha presentato denuncia, querela o istanza, salvo che sussistano le imprescindibili esigenze di tutela di cui all'articolo 362, comma 1-ter, c.p.p.»; A completamente della nuova disposizione, non è stata più prevista la trasmissione al Procuratore Generale, con cadenza settimanale, degli elenchi dei procedimenti per i quali non era stata disposta l'audizione della persona offesa, quando – con aggiunta all'articolo 6, dopo il comma 1 del menzionato decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106, del seguente comma: «1-bis. Il procuratore generale presso la corte di appello ogni tre mesi acquisisce dalle procure della Repubblica del distretto i dati sul rispetto del termine entro il quale devono essere assunte informazioni dalla persona offesa e da chi ha presentato denuncia, querela o istanza nei procedimenti per i delitti indicati nell'articolo 362, comma 1-ter, del codice di procedura penale e invia al procuratore generale presso la Corte di cassazione una relazione almeno semestrale». Un dato di sintesi, pertanto, non essendo più prevista una verifica puntuale sui singoli procedimenti, anche in funzione della possibile avocazione. La risposta del disegno di legge è chiara: si tratta di una delicatissima questione “interna” all'ufficio di Procura, destinata a riflettersi sulla lettura generale del rapporto tra Procuratore, sostituti e Procuratori aggiunti delegati alla “gestione” dei gruppi competenti sulla violenza di genere e domestica. L'applicazione in concreto del nuovo potere di revoca dell'assegnazione
Vediamo come la nuova disposizione può incidere sull'attività degli uffici requirenti e – soprattutto - può essere concretamente in grado di risolvere il problema della presunta diffusa inottemperanza al disposto dell'art. 362, comma 1-ter c.p.p. La norma precisa che «il procuratore della Repubblica può, con provvedimento motivato, revocare l'assegnazione per la trattazione del procedimento se il magistrato non osserva le disposizioni dell'articolo 362, comma 1-ter, c.p.p.». Non possono esservi dubbi sul fatto che ci troviamo di fronte a una facoltà e non a un obbligo - vista la formula utilizzata (“può”) - e che le ragioni dell'esercizio di tale facoltà devono essere “esplicitate”. Se, per altro, valutiamo la rapidità e elasticità del potere di revoca, in termini generali, qualche dubbio in punto “efficacia” può sorgere. L'istituto è disciplinato dall'art. 15 della Circolare sulla organizzazione degli Uffici di Procura (delibera CSM del 16 novembre 2017), rubricato «Revoca dell'assegnazione e della designazione». Prevede tale norma che «Se il magistrato non si attiene ai principi e ai criteri definiti dal Procuratore in via generale o con l'assegnazione, ovvero insorge tra il magistrato assegnatario e il Procuratore della Repubblica un contrasto circa le relative modalità di esercizio, il Procuratore della Repubblica, con provvedimento motivato, sentito il magistrato, può revocare l'assegnazione». Inoltre «Prima di procedere alla revoca, il Procuratore della Repubblica sente il Procuratore Aggiunto, cura la massima interlocuzione possibile con il magistrato assegnatario, ed esperisce ogni idonea azione volta ad individuare soluzioni condivise…… Entro dieci giorni dalla comunicazione della revoca di cui ai commi 1 e 2, il magistrato può presentare osservazioni scritte al Procuratore della Repubblica, che nei successivi 5 giorni le trasmette, unitamente all'atto di revoca ed ad eventuali proprie controdeduzioni, al Consiglio Superiore della Magistratura affinché verifichi la sussistenza dei presupposti richiesti, il rispetto delle regole procedimentali e la ragionevolezza e congruità della motivazione». Rispetto al dettato generale del menzionato art. 15, la nuova disposizione si limita a precisare che «Entro tre giorni dalla comunicazione della revoca, il magistrato può presentare osservazioni scritte al procuratore della Repubblica», così abbreviando il termine di giorni dieci previsto dall'art. 15. Una scelta, evidentemente, dettata dalla necessità di procedere con rapidità ad assumere i soggetti previsti dall'art. 362 comma 1-ter c.p.p., direttamente ad opera del Procuratore della Repubblica, o, più verosimilmente, mediante assegnazione a un altro magistrato dell'ufficio. Che si tratti di valutazione delicata – e certamente non banale – lo si può desumere dal fatto che, ai sensi del comma 7 dell'art. 15, «Nei casi di ritenuta insussistenza dei presupposti, di violazione delle regole procedimentali o di incongruità della motivazione, il Consiglio Superiore della Magistratura, nel prendere atto del provvedimento, trasmette al Procuratore della Repubblica le relative osservazioni e gli specifici rilievi. I provvedimenti adottati dal Consiglio Superiore della Magistratura sono comunicati al procuratore della Repubblica”. Un provvedimento che viene inserito nel fascicolo personale del dirigente anche ai fini delle valutazioni di professionalità e della conferma». Il ruolo del CSM e la procedura prevista consentono di ritenere che la revoca dell'assegnazione è stata ipotizzata come la soluzione per una situazione di inottemperanza o contrasto fortemente significativa, destinata a incidere, in qualche modo - nel rapporto tra le parti, laddove un confronto sulle modalità di “gestione” del procedimento, in sintonia con i criteri dell'ufficio, non sia stata trovata. Una situazione, pertanto, ontologicamente eccezionale rispetto alla normale dinamica interna del rapporto negli uffici requirenti. Nel caso di specie, la realtà potrebbe essere e verosimilmente sarà - profondamente differente. Indubbiamente per le mancate audizioni per le ragioni previste dalla legge (imprescindibili esigenze di tutela di minori di anni diciotto e in relazione alla riservatezza delle indagini, anche nell'interesse della persona offesa) non vi dovrebbe essere motivo di esercitare il potere di revoca, ferma restando l'opportunità di precisare – con atto interno – i casi che si ritiene possano rientrare nelle formule utilizzate dal legislatore. Resta il fatto che il “meccanismo” della revoca - di certo più rapido di quello dell'avocazione, ma comunque scandito da tempi e interlocuzioni ( nelle quali è coinvolto anche il Procuratore aggiunto coordinatore del gruppo che si occupa di violenze domestica o di genere) - non fornisce una garanzia di celerità assoluta quale quella che il legislatore ha ipotizzato come indispensabile, specie laddove le omissioni e i ritardi nelle audizioni dovessero essere numerosi e frutto- come vedremo- non tanto di negligenza o cattiva volontà, quanto di problemi strutturali degli uffici. Sullo “sfondo” della revoca resta, poi, indubbiamente anche la possibilità di ravvisare, in relazione alla categoria generale di cui all'art. 124 c.p.p. (laddove tale norma impone l'osservanza delle norme del codice di procedura penale) una responsabilità disciplinare a fronte dell'omessa audizione nel termine di legge. Nondimeno, il problema, nel caso di specie, riguarda, con elevata verosimiglianza la difficoltà - a fronte dei “numeri” delle segnalazioni per le quale deve essere disposta specificamente l'attività richiesta dall'art. 362 c.p.p. - a provvedere utilmente e tempestivamente in tutti i casi. Nel momento in cui il sostituto avrà operato una “scelta”, rispetto all'insieme delle notizie di reato a lui assegnate, in base a criteri differenti rispetto a quelli del menzionato art. 362 c.p.p., la ragione dell'omissione sarà, con elevata verosimiglianza il frutto di una decisione “ragionata” sulla base non di valutazioni arbitrarie, quando verosimilmente concordate a livello di gruppo e condivise con il Procuratore aggiunto competente. La revoca finalizzata all'assegnazione a un altro sostituto – con elevata probabilità- nella medesima “situazione” del primo, difficilmente potrebbe risolvere in termini strutturali il problema. Problema che potrebbe essere, semplicemente, affrontato in una prospettiva inversa: per quali ragione, vista la “pressione” normativa e mediatica sul problema, i magistrati dell'ufficio requirente dovrebbero- potendolo- omettere di disporre le audizioni richieste dalla legge e nei termini di legge? Il problema era e resta, differente. Dovendo selezionare - per necessità e non per scelta - si decide di non fare riascoltare le persone offese: nei casi nei quali vi sia stato l'arresto in flagranza dell'indagato con adozione di misura cautelare e comunque con valutazione da parte del giudice della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e di esigenze cautelari, compresa la necessità di tutela della vittima del reato; la persona offesa sia stata già sentita in maniera approfondita e non vi siano ragioni di urgenza per una sua immediata convocazione né vi è esposizione a pericoli immediati; la persona offesa sia stata collocata in struttura protetta e un'immediata audizione risulta incompatibile con le esigenze organizzative dei servizi sociali di stabilizzare l'ospitalità; la persona offesa si sia trasferita e considerate le dichiarazioni già rese, i fatti non necessitino di immediati approfondimenti in assenza di pericolo per la persona offesa; si tratti di fatti risalenti nel tempo o circoscritti a singoli e semplici episodi che non necessitano di immediati approfondimenti in assenza di alcun pericolo per la persona offesa; la querela presentata sia estremamente dettagliata e circostanziata e non emergano allo stato concreti pericoli per la persona offesa. L'auspicio è che alla luce degli interessi straordinariamente delicati che costituiscono l'oggetto della tutela prevista non solo dalle disposizioni di cui all'art. 362 c.p.p. ma dall'insieme delle disposizioni del cd. Codice rosso si possa trovare, a livello operativo e nell'ambito dei progetti organizzativi degli uffici requirenti, dei modelli in grado di coniugare l'efficacia della tutela con il rigoroso rispetto della legge. Sul punto, si rileva come il testo in definitiva approvato pare un passo avanti rispetto a quello originario – semplificando gli oneri di comunicazione alla P.G. e ponendo la valutazione sulla possibilità di revoca in capo al Procuratore della Repubblica (che potrà valutare l'impatto globale dei flussi e le forze a disposizione dell'ufficio anche avvalendosi del Procuratore aggiunto competente) - anche se solo la “risposta” che la prassi giudiziaria potrà fornire nei prossimi mesi sarà in grado di fornire elementi di valutazione specifica sull'efficacia della riforma. In conclusione
Riferimenti
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