La categoria dell'atto politico in relazione alle altre categorie di atto amministrativo: il caso degli atti interni ai procedimenti legislativi

13 Settembre 2023

Il rapporto tra atto politico e atto amministrativo è sempre stato molto controverso, in quanto i criteri distintivi sono stati ricercati dalla dottrina e dalla giurisprudenza in assenza di chiare indicazioni da parte del legislatore che si limita a presupporre l'esistenza di atti che fuoriescono dall'area della sindacabilità giurisdizionale. Il tema è strettamente connesso a quello dell'attualità del principio proprio della vita costituzionale di qualsiasi Stato di diritto, ossia del principio della separazione, rectius dell'equilibrio tra i poteri dello Stato, con le sue ripercussioni in punto di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale di tutte le situazioni soggettive giuridicamente rilevanti che sono incise in modo diretto o riflesso dall'esercizio del potere. Nel tentativo di delimitare l'area dell'insindacabilità propria dell'atto politico, è stata enucleata la categoria degli atti di alta amministrazione e riconosciuta la giustiziabilità dinanzi al giudice amministrativo di atti prodromici al procedimento legislativo destinato a sfociare in leggi-provvedimento per l'istituzione di nuovi Comuni o la modifica delle loro circoscrizioni e denominazioni.
Introduzione: il paradigma giuridico dell'atto politico

L'individuazione di criteri di distinzione tra gli atti politici e gli atti amministrativi costituisce un compito tanto arduo quanto importante della giurisprudenza e dottrina amministrativistica, nella misura in cui si ripercuote direttamente sull'individuazione degli atti suscettibili di essere sindacati dal giudice e, in definitiva, dell'area dell'immunità giurisdizionale dei pubblici poteri.

Tale compito non è affatto agevolato dal legislatore che, invero, fornisce solo frammentari dati normativi che presuppongono la nozione di atto politico insindacabile e che ne predeterminano in modo rigido e specifico solo gli effetti.

In particolare, il legislatore predetermina gli effetti dell'atto politico sul piano processuale, ovvero come limite all'esercizio del sindacato del giudice amministrativo sul pubblico potere, prescrivendo all'art. 7 c.p.a., comma 1, che «non sono impugnabili gli atti o provvedimenti emanati dal Governo nell'esercizio del potere politico», così come era già previsto dall'abrogato art. 31 R.d. n. 1054/1924 (testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato) (1).

La principale difficoltà che gli interpreti hanno da sempre incontrato nella costruzione della categoria degli atti politici è quella di conciliare la nozione di atto giuridico con la sua “politicità”, ovverossia quella di individuare un paradigma giuridico distinto da quello proprio degli atti e provvedimenti amministrativi, pena, altrimenti, il rifiuto della giuridicizzazione dell'atto politico.

Si può considerare attualmente ricostruito il paradigma giuridico dell'atto politico anche se sprovvisto ancora di una sua stabilità. È stato, infatti, evidenziato dalla dottrina che la definizione dell'atto politico è «il risultato del compromesso fra “principi in equilibrio”, per come intesi nella prospettiva e nel momento storico prescelti» (2).

Nell'ambito dell'attuale sistema costituzionale, i principi che vengono in rilievo non possono che essere il principio di separazione, o equilibrio, tra poteri e quello di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale di tutte le situazioni soggettive che sono incise dall'esercizio del potere.

L'equilibrio può essere, quindi, raggiunto solo accogliendo una nozione di atto politico in senso decisamente restrittivo e legata alla funzione di governo e di indirizzo politico costituzionalmente affidata al potere esecutivo derivante proprio dall'esigenza di non privare di tutela posizioni soggettive puntuali e concrete rinvenibili a fronte dell'esercizio del potere politico (3). In altri termini, si deve trattare di «atti che non sarebbe corretto qualificare come amministrativi e in ordine ai quali l'intervento del giudice determinerebbe un'interferenza del potere giudiziario nell'ambito di altri poteri» (4).

In tal senso restrittivo, risulta nettamente prevalente in giurisprudenza l'interpretazione che ravvisa la politicità di un atto in relazione a due requisiti, soggettivo e oggettivo (5).

Sotto il profilo soggettivo è necessario che l'atto politico promani da un “organo di governo” preposto all'indirizzo e alla direzione della cosa pubblica al massimo livello, mentre, sotto il profilo oggettivo, si evidenzia che l'atto per essere politico è libero nei fini perché riconducibile alle supreme scelte in materia di costituzione, salvaguardia e funzionamento dei pubblici poteri.

Si individuano, ad esempio, come sicuri esempi di attività politica da parte del Governo, la ratifica dei trattati internazionali, la nomina e la revoca degli agenti diplomatici, nonché dei Ministri e degli altri organi apicali dello Stato, l'atto di indizione del referendum popolare ex art. 138, comma 2, Cost. (6).

Infine, si sta affermando una lettura costituzionalmente obbligata dell'atto politico che valorizza anche l'esistenza di una norma che disciplini o circoscriva l'esercizio del potere ovvero l'attitudine dell'atto a ledere situazioni giuridiche individuali, senza, tuttavia, rinunciare alla ricerca dei suindicati requisiti oggettivi e soggettivi. Tale interpretazione fa, quindi, leva sugli artt. 24 e 113 Cost. nel restringere l'area dell'immunità giurisdizionale degli atti del potere pubblico e risulta pienamente compatibile con le teorie elaborate dai costituzionalisti in ordine all'esistenza di atti “costituzionali” che sono previsti dalla Costituzione e sono soggetti ad altri vincoli giuridici e, quindi, ad altri controlli affidati alla Corte Costituzionale attraverso il sindacato sulla legittimità delle leggi e degli atti aventi forza di legge e quello connesso alla soluzione dei conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato (7).

All'infuori di questa categoria rimarrebbero solo quegli atti politici sottoposti ai meccanismi di responsabilità politica i quali, in conformità al principio democratico, riguardano non il singolo atto ma il titolare dell'organo (8). Secondo parte della dottrina, però, anche questi atti rientrerebbero nel più ampio genus sopra indicato come quello degli atti costituzionali (9), sicché alcun atto emanato dai pubblici poteri rimarrebbe privo di una categoria giuridica di appartenenza.

Gli atti di alta amministrazione

L'estensione degli atti passibili di sindacato giurisdizionale è stata operata da dottrina e giurisprudenza non solo attraverso la ricostruzione del paradigma giuridico dell'atto politico, ma anche ampliando il novero degli atti di alta amministrazione.

Il riconoscimento di atti di alta amministrazione ha comportato, invero, l'estensione dell'area della sindacabilità a quei casi in cui decisioni ad ampio tasso di discrezionalità politica, pur oggettivamente e soggettivamente caratterizzate, non hanno impedito di rinvenire vincoli giustiziabili alla luce di norme giuridiche che hanno introdotto parametri per un giudizio estrinseco sulla legittimità (10).

Gli atti di alta amministrazione sono stati, infatti, tradizionalmente definiti come atti di suprema direzione della pubblica amministrazione, di raccordo della funzione di indirizzo politico con quella amministrativa. Si tratta di atti che non sono quindi liberi nel fine come gli atti politici, ma vincolati a fini stabiliti a livello politico; di conseguenza essi non sfuggono al regime tipico del provvedimento amministrativo (11).

Si è, dunque, registrata in giurisprudenza una tendenza alla revisione di alcune delle più tipiche fattispecie di atto politico riconosciute, mediante un loro declassamento ad atti di alta amministrazione (12), che rappresenta il segno di una prevalenza delle esigenze di legalità e di protezione della sfera giuridica dei destinatari sul principio della separazione dei poteri.

Tuttavia, è stato evidenziato dalla dottrina che la categoria dell'alta amministrazione non appare ancora sufficientemente caratterizzata né sul piano funzionale, né sul piano del regime giuridico, «rispondendo spesso soprattutto all'esigenza “pratica” di assicurare un controllo meno stringente (ancorché strutturalmente non dissimile) rispetto a quello sugli altri atti amministrativi» (13).

Si tratterebbe, quindi, più correttamente, di una sottocategoria dell'atto amministrativo.

Il ruolo della giurisprudenza costituzionale in relazione agli atti interni ai procedimenti legislativi e la pronuncia del TAR Calabria, sez. I, 13 luglio 2023, n. 1035

La legge rappresenta l'atto politico per eccellenza che si presenta come atto insindacabile davanti ad un giudice, salvo per profili di incostituzionalità dinanzi al giudice naturale delle leggi, ai sensi dell'art. 134 Cost.

Per costante orientamento della Corte Costituzionale va escluso il sindacato del giudice amministrativo anche sulle leggi-provvedimento (14) e sugli atti interni del procedimento legislativo in quanto ritenuti atti che hanno la stessa sorte della legge alla quale sono finalizzati.

A tale regola farebbero eccezione solo gli atti di indizione dei referendum consultivi previsti dall'art. 133, comma 2, Cost. che si inseriscono nella procedura aggravata (15) finalizzata all'adozione di una legge-provvedimento per l'istituzione di nuovi Comuni o la modifica delle loro circoscrizioni e denominazioni (16).

In particolare, la delibera di indizione di questo particolare referendum non vincola la discrezionalità del legislatore regionale che dovrà disporre con legge-provvedimento la concreta e puntuale variazione circoscrizionale, tenendo sì conto degli esiti del referendum, ma contestualmente bilanciando i diversi interessi coinvolti.

Tuttavia, la sindacabilità delle delibere di indizione del referendum da parte del giudice amministrativo è ammessa solo sino a quando la legge di variazione circoscrizionale non sia entrata in vigore. Dopo tale momento, infatti, «i vizi della delibera di indizione del referendum consultivo si traducono in un vizio formale della legge; e il sindacato giurisdizionale non risulta escluso, ma muta di segno, giacché al giudice amministrativo spetta sollevare questione di legittimità costituzionale, chiedendo a questa Corte di verificare se i vizi della delibera referendaria si configurino, a quel punto, quali vizi del procedimento di formazione della legge, in lesione dell'art. 133 Cost., comma 2». E solo «all'esito del giudizio di legittimità costituzionale, il giudice amministrativo potrà concludere il proprio esame, accogliendo o rigettando il ricorso» (17).

La sentenza del TAR Calabria, sez. I, del 13 luglio 2023, n. 1035, seguendo l'insegnamento del giudice delle leggi, ha riconosciuto la sindacabilità delle delibere di indizione dei referendum consultivi previsti dall'art. 133, comma 2, Cost. da parte del giudice amministrativo, qualificandoli quali atti amministrativi e non quali atti politici.

Tale qualificazione è stata, in definitiva, condivisa dalla giurisprudenza costituzionale ed amministrativa, al precipuo fine di garantire adeguata tutela alle popolazioni escluse dalla consultazione referendaria prima della conclusione del procedimento legislativo aggravato, coincidente con l'adozione della legge di variazione circoscrizionale.

Infatti, a partire dall'entrata in vigore della suddetta legge, l'unica tutela ammessa rimane quella dinanzi alla Corte Costituzionale, con tutte le condizioni e i limiti che la connotano (18).

In conclusione

La categoria dell'atto politico, lungi dall'essere una categoria chiusa e definita, è in continua evoluzione in relazione anche alle altre categorie dell'atto “costituzionale”, dell'atto di alta amministrazione e dell'atto amministrativo.

La fluidità di tali categorie rappresenta un problema non solo dogmatico, ma dai significativi risvolti pratici ogniqualvolta il potere pubblico è esercitato in modo da incidere in via diretta o riflessa sulle posizioni individuali meritevoli di tutela e rispecchia i nuovi assetti ed equilibri tra i poteri e funzioni dello Stato.

Al centro della questione si pone, quindi, sempre il giudice, in particolare quello amministrativo, che di volta in volta è chiamato a decidere sulla politicità di un atto nel rispetto del dettato costituzionale con riguardo all'indefettibile necessità di tutela delle posizioni individuali.

Note

(1) La disposizione del T.U. del Consiglio di Stato così disponeva: «il ricorso al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale non è ammesso se trattasi di atti o provvedimenti emanati dal governo nello esercizio del potere politico». Tale norma era a sua volta il frutto della trasposizione dell'art. 24 della legge Crispi, n. 5992 del 1889.

(2) Così V. Giomi, L'atto politico nella prospettiva del giudice amministrativo: riflessioni su vecchi limiti e auspici di nuove aperture al sindacato sul pubblico potere, in Dir. proc. amm., fasc. 1, 1° marzo 2022, pp. 21 ss.

(3) Sull'eccezionalità e la nozione di stretta interpretazione della nozione di atto politico, cfr., di recente, Cass., sez. un., 1° giugno 2023, n. 15601, che ha dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione rispetto all'atto di attribuzione della cittadinanza onoraria da parte di un consiglio comunale e che ha elencato i casi – di numero estremamente ristretto – di atti in cui si realizzano scelte di specifico rilievo costituzionale e politico: -il provvedimento con il quale il Governo ha autorizzato l'ampliamento di una base militare U.S.A. nel nostro Paese (Cons. Stato, Sez. V, 29 luglio 2008, n. 3992) o del diniego del Consiglio dei ministri sull'istanza finalizzata all'avvio delle procedure per la conclusione di un'intesa ai sensi dell'art. 8 Cost. (Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 2022, n. 4636); - la determina con cui i Presidenti dei due rami del Parlamento hanno provveduto a nominare, ai sensi della l. n. 287/1990, art. 10 il presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato (TAR Lazio, 16 luglio 2020, n. 8162); - la decisione di concentrare in un'unica data le elezioni amministrative ed Europee (TAR Catania, 10 ottobre 2014, n. 2725).

(4) Così Cons. Stato, sez. V, 27 luglio 2011, n. 4502.

(5) Si veda, da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 2022, n. 4636 che ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sul diniego di avvio delle procedure per la conclusione di un'intesa ai sensi dell'art. 8 Cost.

(6) Cass., sez. un., 1° dicembre 2016, n. 24624. Si veda, da ultimo, anche la pronuncia del T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 20 dicembre 2022, n. 17159 sull'insindacabilità del decreto del Ministro della Difesa del 22 aprile 2022, con cui è stata autorizzata la cessione, in favore delle Autorità governative dell'Ucraina, di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari.

(7) Con la sentenza n. 81/2012, la Corte costituzionale ha stabilito che gli spazi della discrezionalità politica trovano i loro confini nei principi di natura giuridica posti dall'ordinamento tanto a livello costituzionale quanto a livello legislativo; e quando il legislatore predetermina canoni di legalità, ad essi la politica deve attenersi in ossequio ai fondamentali principi dello Stato di diritto. Il principio è stato ribadito nella successiva sentenza n. 52 del 2016, con la quale la Corte costituzionale ha sottolineato che la scelta di avviare le trattative con le confessioni religiose non è oggetto di alcuna disciplina specifica che rechi una puntuale regolazione del procedimento di stipulazione delle intese e che, in mancanza di essa, la giustiziabilità del diniego opposto all'avvio delle trattative costituirebbe un elemento dissonante. Da questa premessa la Corte ha fatto discendere l'insussistenza della configurabilità nel nostro ordinamento di una pretesa giustiziabile all'avvio delle trattative, risolvendo il conflitto in favore del Governo e affermando l'insindacabilità del diniego.

(8) Si tratta di «meccanismi di controllo» che «non passano, dunque, attraverso la giustiziabilità dell'atto, ma sono affidati alla discussione libera e democratica: dentro l'aula del consiglio comunale, dove si confrontano dialetticamente le forze di maggioranza e di minoranza liberamente elette, portatrici di diversi ideali; fuori del palazzo municipale, sui giornali, nei dibattiti televisivi e nelle piazze, anche virtuali, delle nostre città.» (così la già citata sentenza della Cassa., sez. un., 1° giugno 2023, n.15601).

(9) V. Zingales, Il difetto assoluto di giurisdizione tra apparenza e realtà, in Foro Amm., fasc. 5, 2000, pp. 2022 ss.

(10) Vedi, ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 808; TAR Lazio, Roma, sez. III, 20 luglio 2015, n. 9731; Cons. Stato, n. 4536/2014.

(11) Al tema dell'atto di alta amministrazione sono dedicati molti studi, fra cui G. Cugurra, L'attività di alta amministrazione, Padova, 1973 e V. Cerulli Irelli, Sugli atti di alta amministrazione, in Giur. cost., 2013, 1377; più di recente il tema è stato ripreso da M. P. Genesin, L'attività di alta amministrazione fra indirizzo politico e ordinaria attività amministrativa. Riflessioni critiche su un sistema di governo multilivello, Napoli, 2009, mentre per una analisi comparativa, C. Tubertini, Atti politici e di alta amministrazione, in AA.VV., Dizionario di diritto pubblico, di S. Cassese (diretto da), Milano, 2006.

(12) Ad esempio, si pensi agli atti nomina delle massime cariche di vertice dell'amministrazione ;(Cons. Stato, sez. IV, 31 marzo 2005, n. 1391), agli atti di revoca di un assessore comunale ;(Cons. Stato, sez. V, 23 gennaio 2007, n. 209), ma anche agli atti con cui si procede allo scioglimento dei consigli comunali e provinciali ;(Cons. Stato, sez. VI, 16 febbraio 2007, n. 665) o si nega la cessione di quote di società pubbliche ;(TAR Lazio, sez. II, 12 marzo 2002, n. 1897). Nell'ambito dei rapporti internazionali sono ricondotti ormai stabilmente all'alta amministrazione gli atti che concedono l'estradizione ;(Cons. Stato, sez. IV, 27 maggio 2021, n. 5019; Cons. Stato, sez. IV, n. 2868 del 2020; Cons. Stato, sez. IV, n. 3286 del 2007), così come gli atti con cui si dispone l'espulsione dello straniero ;(Cons. Stato, sez. VI, 16 gennaio 2006, n. 88). Al contempo, viene ricondotta agli atti di alta amministrazione la decisione governativa sul golden power a fronte della «amplissima discrezionalità, in ragione della natura degli interessi tutelati, attinenti alla sicurezza nazionale» ;(TAR Lazio, Roma, sez. I, 13 aprile 2022, n. 4488).

(13) Così A. Moliterni, Discrezionalità amministrativa e separazione dei poteri, in Riv. trim. dir. pubb., fasc.1, 1° marzo 2023, pp. 393 ss.

(14) La Corte costituzionale ha sempre ritenuto che i destinatari di una legge-provvedimento non siano sprovvisti di protezione giurisdizionale, bensì che la loro tutela transiti «dalla giurisdizione amministrativa alla giustizia costituzionale secondo il controllo proprio del provvedimento normativo». Infatti la legge-provvedimento è sottoposta ad uno scrutinio di legittimità costituzionale, sotto il profilo della non irragionevolezza e non arbitrarietà, diretto ad accertare violazioni del principio di uguaglianza o un eccesso di potere legislativo (Corte cost., n. 288/2008, n. 205/1996, n. 62/1993).

(15) Tale aggravamento procedurale è regolato, quanto al suo ambito applicativo e alle sue modalità attuative, con legge regionale che può individuare anche i criteri per la selezione delle popolazioni interessate al procedimento referendario e spetta, poi, all'organo regionale che delibera l'indizione del referendum la verifica in concreto delle condizioni sulla base delle quali sono individuate le popolazioni da consultare.

(16) Si tratta della delibera degli organi politici della Regione interessata che ha l'obbligo di sentire le popolazioni interessate mediante referendum. Non sono, infatti, ammesse altre modalità di coinvolgimento (v. Corte Cost., sentenze n. 214/2010; n. 237/2004; n. 94/2000; n. 279/1994; n. 107/1983 e n. 204/1981).

(17) Così Corte Cost., 17 gennaio 2018, n. 2.

(18) Si fa riferimento all' impossibilità dell'accesso in via diretta al giudice costituzionale, all'assenza di un doppio grado di giudizio, nonché all' impossibilità di invocare l'adozione di misure cautelari ;e la condanna al risarcimento del danno o ad un facere specifico.

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