Divieto di contrarre con la P.A: quale misura cautelare penale non configura una causa di esclusione automatica

Simone Abrate
13 Settembre 2023

La misura del divieto di contrarre con la pubblica amministrazione disposta – ex art. 45, comma 1, d.lgs. n. 231/2001 - dal Giudice per le indagini preliminari nel corso di un procedimento penale (poi sospesa e revocata) ha natura cautelare e non sanzionatoria e non integra, pertanto, la causa di esclusione di cui all'art. 80, comma 5, lett. f) d.lgs. 50/2016.La conseguenza automaticamente espulsiva dalla gara è correlata, infatti, ad una “sanzione” (art. 9, comma 2, d.lgs. n. 231/2001), che è irrogata solo all'esito del procedimento penale e che presuppone necessariamente l'accertamento della responsabilità dell'ente nella commissione dell'illecito amministrativo dipendente da reato, e il principio di tassatività delle cause di esclusione ne preclude un'interpretazione estensiva.

Il caso. Un operatore economico ha impugnato l'aggiudicazione di una pubblica gara, asserendo che l'impresa prima classificata doveva essere esclusa dalla gara in quanto destinataria di una misura cautelare ex art. 45, comma 1, d.lgs. n. 231/2001, poi sospesa e revocata nel medesimo procedimento penale. La stazione appaltante, in particolare, non avrebbe rilevato la conseguenza escludente automatica di tale fattispecie e, comunque, che l'irrogazione della misura doveva comunque comportare la soluzione di continuità nel possesso dei requisiti generali dell'operatore economico aggiudicatario.

La soluzione del TAR. Il TAR Friuli-Venezia Giulia ha rigettato il motivo di ricorso, rilevando che la misura cautelare poggia su presupposti ontologicamente diversi rispetto alla sanzione interdittiva vera e propria.

La sanzione è irrogata, infatti, all'esito del procedimento penale e presuppone, necessariamente, l'accertamento della responsabilità dell'ente nella commissione dell'illecito amministrativo dipendente da reato, come si evince agevolmente dalla lettura dell'art. 9 del d.lgs. n. 231/2001 e delle norme di cui al Capo III del medesimo decreto (art. 34 e ss. e, in particolare, art. 69). Invece, la misura cautelare “interdittiva” può essere chiesta dal P.M. “quando sussistono gravi indizi per ritenere la sussistenza della responsabilità dell'ente per un illecito amministrativo dipendente da reato e vi sono fondati e specifici elementi che fanno ritenere concreto il pericolo che vengano commessi illeciti della stessa indole di quello per cui si procede (…)” (art. 45, comma 1, d.lgs. n. 231/2001) e disposta dal giudice con ordinanza, con l'osservanza di quanto disposto dall'art. 292 c.p.p. (art. 45, comma 2).

Ciò premesso e avuto riguardo all'automatismo espulsivo effettivamente ravvisabile nella fattispecie di cui all'art. 80, comma 5, lett. f), d.lgs. n. 50/2016, secondo il TAR tale fattispecie va necessariamente letta in maniera aderente al dato testuale (che parla espressamente di “sanzione” e, in alcun modo, richiama le misure cautelari di cui all'art. 45 d.lgs. n. 231/2001) e, in ogni caso, in maniera ragionevolmente coerente con il sistema delineato dal legislatore, che ha, per l'appunto, correlato conseguenze automaticamente espulsive alle sole fattispecie caratterizzate dall'intervenuto definitivo accertamento giudiziale delle ipotesi di responsabilità ritenute a tal fine rilevanti (art. 80, commi 1, 4 e comma 5, lett. c-quater e h del d.lgs. n. 50/2016).

All'estensiva applicazione della fattispecie astratta normativa a quella concreta verificatasi osta, dunque, la tipicità della fattispecie e, in ogni caso, il principio di tassatività delle cause di esclusione.

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