Ancora nuove norme nei processi per violenze contro le donne

Carmine Russo
13 Settembre 2023

Il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge che intende dettare nuove norme per il contrasto della violenza contro le donne. Il Focus analizza il testo della proposta governativa, evidenziando le disposizioni effettivamente migliorative della tutela della vittima di questo tipo di reati, caratterizzati da progressione criminosa, e quelle, invece, che lasciano ancora dei vuoti di tutela.
Il quadro normativo

Il 12 luglio 2023 è stato depositato presso la Camera dei deputati il disegno di legge AC1294, che mira ad introdurre nuove “disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica”. Il disegno di legge, di iniziativa governativa, preannunciato all'esito del Consiglio dei ministri del 7 giugno, è assegnato dal 4 agosto all'esame della Commissione giustizia in sede referente.

Da una prima lettura del testo dell'articolato governativo lo stesso si pone in linea di continuità con le iniziative legislative che hanno disciplinato la stessa materia nelle legislature precedenti, ed in particolare, da ultimo, con la l. 19 luglio 2019, n. 69, c.d. Codice rosso, di cui rappresenta un tentativo di perfezionamento.

Rispetto ad altre normative che lo hanno preceduto, il ddl AC1294 ha la caratteristica di agire non tanto sul versante sostanziale (oggetto, al di là della previsione nell'art. 1 di nuove aggravanti per il soggetto già ammonito, di una sola modifica, contenuta nell'art. 8 del ddl: la violazione dell'ordine di protezione emesso dal giudice civile viene espunta dalle condotte costituenti reato ai sensi dell'art. 388 c.p. e diventa reato autonomo, sanzionato dall'art. 387-bis, comma 2, c.p.; lo spostamento di titolo di reato comporta la modifica dello statuto processuale dello stesso, che in questo modo diventa procedibile d'ufficio, suscettibile di arresto in flagranza e di misure cautelari personali), ma su quello processuale.

Il legislatore del ddl AC1294 sembra, infatti, essere consapevole che non sono le norme penali che mancano in questa materia, e che la tutela concreta delle vittime di questo tipo di reati passa attraverso il rafforzamento delle misure cautelari, che nel sistema processuale vigente sono l'unico strumento che consente all'autorità giudiziaria di impedire quella progressione criminosa (prima minacce, poi lesioni, poi atti persecutori, poi omicidio, tentato o consumato) che caratterizza sovente questo tipo di delitti.

L'obbligo di valutazione cautelare entro i 30 gg. dall'iscrizione dell'indagato nel registro notizie di reato

L'intento del legislatore sembra, anzitutto, quello di voler rendere più tempestive le misure cautelari. In particolare, l'art. 4 del ddl prevede che i criteri di priorità nella definizione dei procedimenti penalidi cui all'art. 132-bis disp. att. cod. proc. pen, si applichino anche alla fase cautelare, e l'art. 6 del ddl prevede l'obbligo per il pubblico ministero assegnatario del fascicolo di valutare la sussistenza dei presupposti per l'applicazione delle misure senza ritardo, e comunque entro 30 giorni dall'iscrizione del nominativo della persona nel registro notizie di reato, e l'obbligo per il giudice di prendere una decisione sulla richiesta del pubblico ministero entro altri 30 giorni dal deposito dell'istanza cautelare in cancelleria.

I termini sono meramente ordinatori, perché la tipologia di potere esercitato non si presta alla decadenza in caso di mancato esercizio nel termine, e perchè il ddl prevede espressamente che comunque, anche quando non ravvisi i presupposti per provvedere nei 30 giorni, il pubblico ministero prosegue nelle indagini.

Il sistema delle norme acceleratorie si completa con il successivo art. 7, che dispone che il Procuratore generale presso la Corte di appello acquisisce i dati sul rispetto dei termini ogni tre mesi ed invia una relazione al Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ogni sei mesi. Sembra di capire, pertanto, che il legislatore intenda garantire il rispetto delle previsioni dell'art. 6, mediante la comunicazione della violazione all'organo titolare dell'azione disciplinare sul magistrato.

L'obbligo di valutazione cautelare, eventualmente anche con esito negativo, nei 30 giorni, è effettivamente una novità del sistema, non esistendo allo stato una previsione di questo tipo per nessun tipo di reato, una novità indubbiamente migliorativa del sistema di tutela più di quanto non sia stata quella sull'obbligo di audizione della vittima del reato nei tre giorni dall'iscrizione della notizia di reato introdotta nell'art. 362 c.p.p. dall'art. 2 della l. n. 69 del 2019 (recentemente potenziata con la modifica introdotta nell'art. 2 d.lgs. 20 febbraio 2006, n. 106 sull'organizzazione degli uffici di Procura, dalla proposta di legge n. 1135, approvata in via definitiva alla camera il 7 settembre 2023, e non ancora pubblicata, che prevede il potere del Procuratore della Repubblica di revocare l'assegnazione del fascicolo al sostituto che non osservi il termine di tre giorni entro cui effettuare l'audizione della persona offesa, e con obbligo ulteriore per il Procuratore di effettuare a quel punto l'audizione, anche tramite delegato, “senza ritardo”), atteso che essa interviene in un momento (trenta giorni, e non tre giorni, dall'iscrizione) in cui il pubblico ministero può avere già contezza, da più fonti, e non solo dalla voce della querelante, della vicenda sostanziale, e perché, a differenza dell'obbligo di audizione, l'obbligo di valutazione cautelare incide in modo effettivo, e non formale, sulla tutela della vittima del reato.

L'ampliamento della possibilità di disporre misure cautelari

L'intento del legislatore sembra essere, poi, anche quello di voler anticipare le misure cautelari al momento di commissione dei reati iniziali della progressione criminosa. Il ddl AC 1294, infatti, detta norme che ampliano la possibilità di disporre misure cautelari per il reato di lesioni aggravate dalle relazioni pregresse tra vittima ed autore del reato.

In particolare, per il reato dell'art. 582 c.p., aggravato ai sensi dell'art. 576, comma 1, nn. 2, 5 e 5.1., nonché 577, comma 1 e 2, c.p., l'art. 11, elimina, quali condizioni di applicabilità della misura, la prognosi della condanna superiore a tre anni di reclusione (art. 275, comma 2-bis c.p.p.) e lo sbarramento della pena edittale massima superiore a tre anni di reclusione (art. 280 c.p.p.).

Se sarà approvato in questo testo, l'intervento, teso a consentire l'applicazione di misure cautelari anche i reati che si collocano di solito all'inizio della progressione criminosa, quali le lesioni volontarie, si rivelerà, però, nella sostanza inutile, perché la disposizione proposta rimuove due dei tre sbarramenti che impediscono la applicazione di misura cautelare, ma non rimuove il terzo, ovvero quello dell'art. 274, comma 1, lett. c), c.p.p. che, per l'ipotesi in cui la misura sia richiesta per il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie (che è l'esigenza cautelare destinata ad essere valorizzata in questo tipo di reati, in cui il periculum in mora non è né l'inquinamento probatorio né la fuga, ma, per l'appunto, la progressione criminosa), prevede che le misure custodiali possano essere disposte soltanto se si procede per un reato punito con la pena edittale massima superiore a quattro anni (in caso di arresti domiciliari) o cinque anni (in caso di custodia in carcere).

L'art. 11 dell'articolato governativo si completa con la previsione dell'introduzione nell'art. 391, comma 5, c.p.p. (norma che ha superato lo scrutinio di legittimità costituzionale nella pronuncia Corte cost., 6 luglio 2020, n. 137), anche del reato dell'art. 387-bis c.p. Se la disposizione sarà approvata in questo testo, essa servirà effettivamente a superare una delle più gravi lacune del sistema processuale vigente, in quanto dal combinato disposto della l. n. 69 del 2019 (che ha introdotto il reato di violazione delle misure dell'ordine di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento alla persona offesa, prevedendo una pena della reclusione da sei mesi a tre anni) e della l. 27 settembre 2021 n. 134 (che ha previsto l'arresto obbligatorio per tale reato) si ricava che nel sistema vigente è obbligatorio l'arresto di chi sia colto nell'atto di violare le predette misure cautelari minori, ma poi non è possibile chiedere misure cautelari nei confronti dello stesso, perché la pena edittale massima dell'art. 387-bis c.p. non supera lo sbarramento degli artt. 274 e 380 c.p.p. Aggiungendo l'art. 387-bis c.p. al catalogo dei reati per cui, in caso di arresto in flagranza, diviene possibile la deroga ai due sbarramenti, verrà superata dunque questa stortura normativa dell'assetto processuale vigente.

Tra le proposte di norme che ampliano il potere del pubblico ministero di chiedere misure cautelari vanno citati, inoltre, l'art. 10, comma 1, lett. c), del ddl, che inserisce il tentato omicidio ed il reato di deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso di cui all'art. 583-quinques c.p. nelle fattispecie che beneficiano della deroga dell'art. 282-bis, comma 6, c.p.p. ai limiti di pena previsti dall'art. 280 c.p.p. perché possa essere disposta la misura dell'allontanamento dalla casa familiare (norma che, se approvata in questo testo, sarà inutile, perché entrambe le fattispecie superano i limiti di pena dell'art. 280 c.p.p., e, pertanto, non hanno bisogno della deroga) e l'art. 10, co. 1, lett. d), n. 1, che inserisce nell'art. 282-ter c.p.p. la stessa deroga ai limiti edittali prevista dal menzionato art. 282-bis, comma 6, c.p.p. (norma che, invece, se approvata in questo testo, sarà molto utile, perché supererà una situazione irrazionale creata dalla sovrapposizione tra la l. 4 aprile 2001, n. 154, che ha introdotto la misura cautelare dell'allontanamento della casa familiare prevedendo, per le fattispecie di reato espressione di violenza di genere, la deroga al limite edittale dell'art. 280 c.p.p. per applicare questo tipo di misura, e dal d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, che ha introdotto la ulteriore misura cautelare del divieto di avvicinamento senza riproporre la medesima deroga, talchè per tali reati la possibilità di applicare la misura cautelare non custodiale del divieto di avvicinamento dipende allo stato, alla lettera della norma, dalla circostanza, non sempre necessaria, e comunque puramente casuale, che il soggetto debba essere allontanato anche dalla casa familiare, oltre che dalla vittima del reato).

Il potenziamento del divieto di avvicinamento alla vittima, ai luoghi abitualmente frequentati, ed ai suoi prossimi congiunti

L'intento del legislatore sembra essere, poi, anche quello di voler rendere più effettiva la tutela apprestata alla vittima del reato dalle misure cautelari non custodiali, ed in particolare dal divieto di avvicinamento alla persona offesa di cui all'art. 282-ter c.p.p.

In particolare, l'art. 10, comma 1, lett. c), n. 3 e lett. d), nn. 1 e 2, prevede che la misura del divieto di avvicinamento, sia quando disposta in principalità ex art. 282-ter c.p.p., sia quando disposta quale prescrizione accessoria all'ordine di allontanamento dalla casa familiare di cui all'art. 282-bis c.p., deve prevedere l'obbligo, per la persona che vi è sottoposta, di mantenere una distanza di almeno 500 metri dalla vittima, dai suoi prossimi congiunti o dalle persone a lei legate da relazione affettiva, e dai luoghi abitualmente frequentati dalla prima e dai secondi (nel sistema processuale vigente un limite minimo non c'è, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che esso debba essere determinato nella ordinanza del giudice; cfr. Cass. sez. un., sent. 29 aprile 2021 n. 39005), e l'obbligo per il giudice di disporre la prescrizione aggiuntiva del controllo tramite braccialetto elettronico.

Se saranno approvate in questo testo, queste norme effettivamente miglioreranno la tutela processuale della vittima di questa tipologia di reati, che proprio per la progressione criminosa che usualmente li caratterizza, sono sovente contenuti, finchè la offensività delle condotte si mantiene bassa, tramite misure cautelari non custodiali, e su tutte tramite la misura del divieto di avvicinamento; la introduzione di un limite minimo di 500 metri di distanza che l'indagato è obbligato a rispettare, abbinata all'obbligo del controllo tramite braccialetto elettronico, potrebbe dare qualche garanzia in più – sia pure non ancora sufficiente – che l'indagato non commetta ulteriori reati contro la vittima mentre è sottoposto a misura.

Il limite della proposta normativa sta nella circostanza che un apparato di tutela di questo tipo non sarà possibile in prima battuta, ovvero nel momento in cui il giudice dispone la misura, perché l'apposizione del braccialetto elettronico passa comunque sempre attraverso il consenso dell'interessato, che non può essere chiesto in anticipo per non preallertare il soggetto destinatario della misura. In prima battuta il giudice dovrà ricorrere, pertanto, a misure di tipo diverso, nella sostanza alle tradizionali misure custodiali, potendo essere applicato il complesso meccanismo, costruito dal ddl, del divieto di avvicinamento “rafforzato” dal limite minimo di distanza e dal braccialetto elettronico soltanto in sede di istanza di sostituzione in melius della misura ex art. 299 c.p.p.

L'ulteriore limite di questa proposta normativa è che la possibilità di disporre un apparato di tutela così composito riposa, in ogni caso, sulla disponibilità dell'interessato a farsi apporre il braccialetto elettronico. L'intervento governativo si è posto il problema della eventualità del rifiuto dello strumento di controllo ed ha stabilito all'art. 10, comma 1, lett. c), n. 4, e lett. d), n. 1, ultimo periodo, del ddl che se l'imputato nega il consenso, il giudice può disporre l'applicazione congiunta anche di misura più grave (in deroga al principio generale secondo cui l'applicazione cumulativa di più misure cautelari può essere disposta soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge, al di fuori di tali casi non sono ammissibili né l'imposizione aggiuntiva di ulteriori prescrizioni non previste, né l'applicazione congiunta di due distinte misure, omogenee o eterogenee, che pure siano tra loro astrattamente compatibili; cfr. sul punto Cass. sez. un. 30 maggio 2006, n. 29907). È, però, difficile individuare nel sistema processuale misure cautelari non custodiali più gravi del divieto di avvicinamento che si prestino all'applicazione congiunta con esso.

L'allargamento e l'allungamento dell'arresto in flagranza

La tutela cautelare della vittima del reato diventa più effettiva anche in fase precautelare. L'art. 9 del ddl introduce, infatti, l'arresto in flagranza differita per i reati degli artt. 387-bis, 572, 612-bis, c.p. La disposizione proposta riprende in modo quasi pedissequo il testo dell'art. 8, co. 1-ter, l. 13 dicembre 1989, n. 401, introdotto dal d.l. 24 febbraio 2003, n. 28, che ha ammesso l'arresto in flagranza differita per i reati commessi nel corso di manifestazioni sportive.

Le due caratteristiche di questo istituto sono l'allargamento della nozione di flagranza anche ai reati di cui la polizia giudiziaria acquisisce l'evidenza soltanto a seguito dell'esame di documentazione videofotografica, o comunque ricavata da dispositivi di comunicazione informatica o telematica, e l'allungamento dei termini entro cui può avvenire l'arresto, che non segue senza soluzioni di continuità alla commissione del reato, ma può avvenire entro 48 ore dallo stesso.

L'allargamento della nozione di flagranza serve a superare uno degli ostacoli che in concreto hanno impedito l'applicazione concreta della disposizione dell'art. 380, comma 1, lett. l-ter, c.p.p. che prevede l'arresto obbligatorio in flagranza per i delitti degli artt. 387-bis, 572 e 612-bis c.p. Questa tipologia di reati, infatti, proprio per il fatto di avvenire tra persone che si conoscono e sono state legate da vincoli affettivi o familiari, di solito non avviene sulla pubblica via; la commissione di questi reati, pertanto, è solitamente sottratta all'immediata osservazione della polizia giudiziaria, che interviene quando di regola il reato è già consumato.

In tali casi l'esaurimento della flagranza impedisce alla polizia giudiziaria di procedere all'arresto, anche quando il racconto della vittima, o di terzi, è univocamente indiziante nei confronti dell'autore del reato; la giurisprudenza di legittimità, infatti, ha sempre ritenuto illegittimo l'arresto in flagranza operato dalla polizia giudiziaria sulla base delle informazioni fornite dalla vittima o da terzi nell'immediatezza del fatto, poichè, in tale ipotesi, non sussiste la condizione di quasi flagranza, che presuppone la immediata ed autonoma percezione, da parte di chi proceda all'arresto, delle tracce del reato e del loro collegamento con l'indiziato (cfr. Cass. sent. n. 23162/2017, ma già Cass., sez. VI, sent. n. 20539/2010).

Se sarà approvata in questo testo, la norma, pertanto, rimuoverà un limite alla praticabilità concreta dell'arresto in questo tipo di reati, e l'esame delle riprese video del reato sostituirà il sorprendere l'autore del reato mentre commette il crimine o con tracce dello stesso.

Il limite della norma è che essa si applica soltanto a tre titoli di reato, e non ad altri che si collocano all'inizio della progressione criminosa, quali soprattutto le lesioni volontarie di cui all'art. 582 c.p. Inoltre, la disposizione proposta potrebbe essere efficace soltanto per il reato dell'art. 387-bis c.p., mentre rischia di essere comunque insufficiente per i reati degli artt. 572 e 612-bis c.p. che si caratterizzano per essere a condotta reiterata, reati, quindi, che non sono integrati con la constatazione dell'esistenza di una singola condotta criminosa (cfr. Cass., sez. VI, sent. n. 7139/2019 in punto di maltrattamenti, e Cass., sez. V, sent. n. 19759/2019 in punto di atti persecutori).

Le ulteriori disposizioni processuali

L'intervento normativo di iniziativa governativa si completa con una risistemazione delle norme in tema di comunicazioni alla persona offesa. L'art. 12 del ddl riscrive l'art. 90-ter c.p.p. che permette di inserire in essa anche i casi di persona sottoposta a titolo di espiazione definitivo e sopprime espressamente l'art. 659, comma 1-bis, c.p.p. per incorporazione nel suddetto art. 90-ter.

L'intervento sul sistema processuale si completa, infine, con una proposta di modifica dell'art. 165, comma 5, c.p. sulla sospensione condizionale della pena subordinata ad obblighi. L'art. 13, comma 1, del ddl mira, infatti, a rendere più effettivo l'adempimento dell'obbligo cui è subordinata la sospensione della pena, prevedendo che, per ritenere adempiuto l'obbligo, non basti la partecipazione ad un percorso di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero dei soggetti condannati per tali reati, ma che occorra anche il superamento con esito positivo di tali corsi, aggiungendo, inoltre, che qualsiasi violazione ingiustificata del percorso di recupero, ivi compresa una sola assenza, costituisce inadempimento rilevante ai fini della revoca della sospensione (in deroga a quella giurisprudenza di legittimità che ritiene che ai fini della revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena per inadempimento ad obblighi, il giudice dell'esecuzione non può limitarsi alla mera presa d'atto dell'inadempienza del condannato, ma deve valutare l'eventuale inattività o scarsa collaborazione del condannato a soddisfare l'obbligo cui sia stato subordinato il beneficio; cfr. Cass., sez. I, sent. n. 58060/2017; Cass. sez. I, sent. n. 35809/2016).

La ulteriore proposta di modifica contenuta nel co. 2 dello stesso art. 13 del ddl, che mira a modificare l'art. 18-bis delle disp. coord. c.p.p., inserendo l'obbligo di comunicazione all'UEPE della sentenza di condanna a pena sospesa, rende evidente l'intenzione del legislatore di prevedere anche per questo tipo di condanne un controllo pubblicistico simile a quello che avviene nel sistema dell'esecuzione penale sottraendole al mero rapporto tra condannato ed enti ed associazioni presso cui si svolge il percorso di recupero.

Le disposizioni non processuali

La proposta governativa si completa poi con nuove disposizioni in tema di ammonimento (art. 1), di misure di prevenzione (art. 2), e di provvisionale a favore delle vittime del reato da chiedere mediante istanza al Prefetto della provincia di residenza, o in cui è stato commesso il reato, al Fondo di cui all'art. 14 l. 7 luglio 2016, n. 122 (art. 14).

In conclusione

La prevenzione del crimine in reati, quale quelli in esame, caratterizzati da progressione criminosa, passa inevitabilmente attraverso le misure cautelari, in quanto i tempi del processo non sono compatibili con la normale evoluzione delle conflittualità di coppia o familiari. Il legislatore del ddl AC1294 sembra averlo compreso, così come sembra aver compreso che, in un sistema processuale che rende particolarmente complicato disporre la custodia in carcere nei confronti di persone di solito socialmente inserite, che dispongono di un domicilio e svolgono attività lavorativa, la prevenzione passa inevitabilmente attraverso il potenziamento delle misure cautelari non custodiali, e soprattutto di quella del divieto di avvicinamento di cui all'art. 282-ter c.p.p.

La proposta governativa del divieto di avvicinamento “rafforzato” dalla distanza minima di 500 metri e dal controllo tramite braccialetto elettronico è un passo avanti nel rendere effettiva la tutela fornita da questa misura. Il rischio, però, è di riporre aspettative salvifiche sul controllo tramite braccialetto elettronico, che non permette, in realtà, un intervento in tempo reale delle forze di polizia. Proprio per questo, in sede di esame parlamentare del disegno di legge, se anche si ritiene di non poter percorrere, per i costi sociali che avrebbe, la strada che risolverebbe in radice il problema, ovvero la previsione del potere del giudice di disporre come misura cautelare l'allontanamento coattivo dell'autore del reato dal contesto territoriale in cui dimora la vittima del reato, si potrebbe fare uno sforzo per aggiungere alla misura delle prescrizioni ulteriori, innovative per il sistema delle misure cautelari e ricavate da quelli della libertà vigilata e delle misure di prevenzione, quali il divieto per la persona sottoposta a misura, penalmente sanzionato ex art. 387-bis c.p., di utilizzare autoveicoli o mezzi di trasporto pubblico, se non in percorsi preventivamente autorizzati quale casa-lavoro, o il divieto di detenere, anche presso la propria abitazione, strumenti da punta o da taglio diversi da quelli preventivamente autorizzati e necessari per esigenze domestiche.

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