Lo sconto di un sesto per le condanne in abbreviato: occorre la rinuncia all'appello?
14 Settembre 2023
Nel caso in cui si voglia usufruire dello sconto di un ulteriore sesto sulla pena previsto per gli imputati condannati all'esito del giudizio abbreviato occorre rinunciare espressamente al diritto di impugnare la sentenza?
La questione sorge in conseguenza della novella dell'art. 442 c.p.p., che si è oggi arricchito del comma 2-bis. Ne ripercorriamo, in via di estrema sintesi, il contenuto. Ispirata alla logica della premialità funzionale alla deflazione del contenzioso penale, la norma appena introdotta prevede la concessione del beneficio della riduzione di un ulteriore sesto della pena inflitta dal giudice all'esito della decisione assunta nelle forme del rito abbreviato (che prevede, come è noto, la riduzione di un terzo della pena concretamente applicata con la sentenza di condanna). La condizione cui è soggetta la concessione del suddetto beneficio si sostanzia nella mancata impugnazione della decisione di primo grado. In questo modo, il legislatore invoglia i soggetti condannati a non coltivare il giudizio nei gradi successivi: esso sarà quindi tutto racchiuso nella sentenza di primo grado alla quale seguirà immediatamente – nei casi previsti dalla legge, e cioè nell'ipotesi in cui la pena non sia condizionalmente sospesa – la fase dell'esecuzione. Ed infatti la competenza a somministrare il beneficio dell'ulteriore sesto di riduzione frazionaria della pena compete, ad avviso della norma appena varata, proprio al giudice dell'esecuzione. Il testo della norma è piuttosto evasivo nel descrivere il modo in cui deve concretizzarsi la “non-impugnazione”. In buona sostanza: è sufficiente lasciar decorrere il termine per impugnare la sentenza, oppure è necessario rinunciare espressamente al diritto di farlo? Riteniamo, alla luce dei principi generali del nostro ordinamento processuale, che sia intanto ammissibile una rinuncia al diritto di proporre impugnazione, purché quest'ultimo sia già sorto nel momento in cui viene manifestata la volontà di rinunciarvi. Tale momento deve individuarsi nel deposito della sentenza astrattamente impugnabile. A supportare questa conclusione è un risalente orientamento di legittimità, ad avviso del quale «...la formale dichiarazione dell'imputato che “rinuncia ai termini di legge” avverso la sentenza d'appello e richiede che la stessa “passi in giudicato” ...produce l'estinzione del diritto di impugnazione con effetto immediato e definitivo...» (Cass. pen., sez. VI, 10 dicembre 1993 n. 1456 in Cass. Pen., 1995, p. 1905). La soluzione individuata dal Supremo Collegio si fonda sul carattere disponibile del diritto di impugnazione che, in quanto tale, è suscettivo di rinuncia. Ciò premesso, va comunque osservato che l'art. 442, comma 2-bis c.p.p. non richiede espressamente che il diritto ad impugnare la sentenza debba essere oggetto di rinuncia. La formulazione letterale ci sembra che richieda, quale unica condizione, la mancata impugnazione (conclusione cui si perviene anche grazie all'utilizzo del verbo proporre): se si fosse ritenuta indispensabile una manifestazione esplicita di rinuncia, il legislatore l'avrebbe infatti prevista. È invece da escludere che il beneficio possa essere riconosciuto a chi, dopo aver proposto impugnazione, vi abbia rinunciato ai sensi dell'art. 589 c.p.p. La disposizione appena citata è infatti norma generale rispetto a quella ci cui all'art. 442, comma 2-bis, c.p.p. che, ancora una volta, si incentra sulla mancata presentazione dell'impugnazione e non sulla successiva rinuncia alla medesima. Riepilogando: una manifestazione esplicita di carattere abdicativo, con cui si chiede l'immediato passaggio in giudicato della sentenza, non è necessaria. È infatti sufficiente attendere il decorso del termine ad impugnare. |