Revocabile l'assenso all'adozione in casi particolari, ma necessaria la valutazione da parte del giudice

Alberto Figone
21 Settembre 2023

È ammissibile, e a quali condizioni, la revoca dell'assenso all'adozione in casi particolari del proprio figlio minore, inizialmente espresso dal genitore biologico in favore del c.d. genitore di intenzione?
Massima

Il genitore biologico può revocare l'assenso all'adozione del figlio minore in favore del partner con cui ha condiviso il progetto procreativo; la legittimità di tale revoca deve essere peraltro valutata dal giudice esclusivamente sotto il profilo della conformità all'interesse del minore, secondo il modello del dissenso al riconoscimento.

Il caso

In attuazione di un progetto condiviso con la compagna, una donna si sottopone all'estero a procreazione medicalmente assistita tramite fecondazione in vitro di un proprio ovocita con il seme di un donatore anonimo. Nasce in Italia un bimbo, riconosciuto dalla madre biologica; la compagna, quale genitore intenzionale, chiede l'adozione del nato ex art. 44 lett. d) l. 184/1983. La genitrice biologica inizialmente esprime il proprio assenso all'adozione, che poi revoca nel corso del procedimento, essendo nel frattempo cessata la convivenza, come pure la relazione affettiva, in un contesto di grande conflittualità, tanto che entrambe le donne si imputavano reciprocamente gravi comportamenti a danno del minore. La Corte d'appello conferma la decisione del Tribunale minorile, respingendo la domanda di adozione, nel presupposto che l'indispensabile assenso del genitore biologico sia revocabile e debba perdurare fino alla sentenza. L'interessata ricorre davanti alla Suprema Corte, che cassa con rinvio la decisione impugnata.

La questione

È ammissibile, e a quali condizioni, la revoca dell'assenso all'adozione in casi particolari del proprio figlio minore, inizialmente espresso dal genitore biologico in favore del c.d. genitore di intenzione?

Le soluzioni giuridiche

In un momento storico connotato da un considerevole tasso di denatalità a livello nazionale, si assiste ad una crescente aspirazione alla genitorialità da parte delle coppie omoaffettive, impossibilitate ad avere figli in modo naturale. Come noto, a dette coppie, quand'anche strutturate sulla base di un vincolo formale (unione civile, ovvero matrimonio contratto all'estero nei Paesi, in oggi in numero sempre maggiore, che ammettono il c.d. matrimonio egualitario, riconosciuto in Italia come unione civile) è precluso l'accesso all'adozione piena di minori. L'art. 6 della l. 184/1983 legittima infatti a tale forma di adozione solo i coniugi uniti in matrimonio e detto principio è stato ribadito nell'art. 1 comma 20 della l. 76/2016. Nel contempo la l. 40/2004 (pur a seguito delle diverse declaratorie di incostituzionalità che si sono succedute negli anni) consente nel nostro Paese l'accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistite solo a coppie (coniugate o conviventi) composte da un uomo e una donna; dal pari la stessa legge, all'art. 12, sanziona penalmente la gestazione per altri (tecnica riproduttiva che altri ordinamenti invece consentono e disciplinano e che non rappresenta certo uno strumento a favore della sola coppia omoaffettiva maschile: basti pensare a situazioni in cui la donna, per problematiche fisiche, non sia in grado di sostenere l'impianto in utero di un embrione, ovvero di sopportare una gravidanza). Il desiderio di genitorialità della coppia omoaffettiva, che opti per un percorso diverso dall'adozione piena all'estero, là dove ciò sia ammesso (tenuto conto delle successive conseguenti criticità nel far riconoscere un provvedimento straniero in Italia per le facilmente intuibili questioni di ordine pubblico) può realizzarsi, ed è stato realizzato, in forme diverse, in ragione del genere dei componenti della coppia stessa. La fattispecie più “semplice” (su cui interviene l'ordinanza in commento) è quella della coppia femminile, all'interno della quale una delle due donne, con il consenso e l'assistenza dell'altra, ricorre ad una fecondazione in vitro di un proprio ovocita con seme di donatore anonimo, in uno dei diversi Stati che non impongono l'eterosessualità della coppia per l'accesso alla tecnica, consentita anche alla donna single; si è peraltro presentato anche il caso della scissione tra madre genetica e madre gestante, nel senso che l'ovocita di una delle due componenti della coppia, dopo la fecondazione in vitro, era stato inserito nell'utero dell'altra, che ha portato avanti la gravidanza fino al parto. Le problematiche si sono poste, in entrambi i casi, al momento della redazione dell'atto di nascita, con situazioni disomogenee anche in relazione al luogo del parto e della conseguente formazione di quell'atto. Ed invero, accanto all'attribuzione della genitorialità in capo alla partoriente, alcuni ordinamenti consentono anche il riconoscimento da parte della genitrice sociale, vieppiù quando la stessa, pur non avendo partorito il bimbo, sia madre dal punto di vista genetico. Atti di nascita di questo tipo (con l'attribuzione della genitorialità a due donne) sono stati talora ritenuti trascrivili in Italia (Cass. 19599/2016; contra Cass. 22179/2022; Cass. 7413/2022), mentre si è escluso un riconoscimento da parte anche della madre intenzionale nel caso in cui la nascita sia avvenuta in Italia (Cass. 6383/2022). Al riguardo si era pronunciata la Corte costituzionale, con sentenza n. 32/2021, contemporanea a quella n. 33/2021, che ha preceduto la decisione delle Sezioni Unite n. 38162/2022, espressamente richiamata dall'ordinanza in commento; la Consulta aveva dichiarato inammissibile la questione di legittimità dedotta in relazione agli artt. 250 c.c., 8 e 9 l. 40/2004, nella parte in cui non consentono l'attribuzione della genitorialità alla madre intenzionale, pur ammonendo severamente il legislatore a colmare il vuoto normativo e ad adottare una disciplina dell'omogenitorialità, declinata sul diritto dei figlio al rispetto della vita familiare ed all'identità personale.

Diversa, per legge di natura, è l'attuazione di un progetto di genitorialità all'interno della coppia omoaffettiva maschile. Esso infatti può realizzarsi solo con il ricorso a tecniche di gestazione per altri, che la l. 40/2004 vieta espressamente in Italia, anche con la comminatoria di sanzioni penali ed in relazione alle quali è financo pendente una proposta di legge per configurarla come reato universale, pur se praticata in quei Paesi che l'ammettono per fini solidaristici, ovvero anche commerciali; fatto sta che, pur a fronte di articolate e più che persuasive criticità, anche sotto il profilo di illegittimità costituzionale, avanzate da buona parte della dottrina, quella proposta è stata approvata in aula dalla Camera dei Deputati.

A prescindere dalle fattispecie di atti di nascita formati all'estero con l'indicazione di due genitori dello stesso sesso e poi riconosciuti in Italia (situazioni che non riguardano comunque la coppia omoaffettiva maschile, per le rigorose prese di posizione della giurisprudenza, ed in particolare della citata Cass sez. un. 38162/2022 e della precedente Cass. sez. un. 12193/2019), il riconoscimento dello status del genitore (o della genitrice) sociale (o intenzionale) è stato realizzato per il tramite dell'adozione in casi particolari di cui all'art. 44 lett. d) l. 184/1983. Dopo le innovative pronunce del Tribunale minorile di Roma del 2014, detta forma di adozione, inizialmente peraltro contestata, tanto da imporre un sollecito intervento della Cassazione con la ben nota sentenza n. 12962/2016, oggi è assurta a strumento “minimo” di riconoscimento della c.d. omogenitorialità. È peraltro vero che detta forma di adozione instaura titoli diversi di filiazione sullo stesso minore, privilegiando il genitore “naturale” rispetto a quello intenzionale, con una conseguente ricaduta sul figlio stesso. Basti solo pensare che l'art. 46 l. 184/1983 richiede l'assenso del genitore esercente la responsabilità genitoriale (ossia quello “naturale”) per far luogo all'adozione. Se, nella maggior parte dei casi, detto assenso, già formalizzato nel ricorso dell'interessato, è stato poi reiterato in sede giudiziale, in coerente esecuzione di un progetto familiare condiviso, non è da escludere che esso possa essere inizialmente negato, ovvero, come nella fattispecie in esame, revocato nel corso del procedimento davanti al giudice minorile. Ci si è chiesti se detta revoca sia o meno ammissibile e comunque lasciata del tutto alla discrezionalità dell'interessato. Le decisioni di merito, rese nel giudizio su cui è intervenuta l'ordinanza qui annotata, avevano affermato che l'assenso dovesse permanere fino alla sentenza, nel presupposto che l'adozione possa essere pronunciata solo in caso di “contesto affettivo unito” e di “convivenza del nucleo affettivo”. La Corte di Cassazione non esclude (e dunque conferma) che il consenso sia di per sè revocabile (ed implicitamente che possa difettare sin dall'inizio) ma, richiamando espressamente la propria decisione a sezioni unite del 2022 più volte citata, afferma doversi imporre al giudice un'adeguata valutazione, nel caso concreto, della relativa ammissibilità. Detta valutazione dovrebbe essere condotta, avuto riguardo al superiore interesse del minore ad acquisire un ulteriore status filiationis in aggiunta a quello che già possiede, «alla luce degli indicatori individuati come significativi dalle Sezioni Unite (il progetto genitoriale comune, la cura e l'accudimento svolto in un congruo periodo di tempo in comune)». Rileveranno poi certamente anche le ragioni della revoca dell'assenso, che non potranno consistere nella mera cessazione della convivenza o in una successiva conflittualità fra le parti. La Cassazione, quindi, cassa la pronuncia impugnata, demandando al giudice del rinvio una conseguenziale valutazione di merito.

Osservazioni

La pronuncia in commento riprende e fa proprie le affermazioni della recente sentenza delle Sezioni Unite n. 38162/2022, intervenuta in tema di riconoscibilità in Italia di un provvedimento straniero di rettifica di atto di nascita formato all'estero, con cui era stata estesa la paternità di un bimbo, nato a seguito di gestazione per altri, al compagno del genitore biologico. Le Sezioni Unite, nell'escludere detta riconoscibilità per contrasto con l'ordine pubblico della tecnica riproduttiva che aveva dato luogo alla nascita, hanno tenuto a ribadire quanto affermato nel 2019: allo stato della normativa, l'unico strumento per l'instaurazione di un vincolo giuridicamente rilevante con il figlio del (o della) partner, nato da un progetto condiviso, sarebbe l'adozione in casi particolari, e ciò pur a fronte della pronuncia della Corte costituzionale 33/2021. Come noto, la Consulta, pur dichiarando inammissibile la questione di legittimità del già richiamato art. 12 l. 40/2004, aveva invitato il legislatore, nella sua discrezionalità, a disciplinare un procedimento di adozione idoneo a realizzare celermente e in modo compiuto l'interesse del minore, nato all'estero da maternità surrogata, ad instaurare un legame di filiazione con il genitore non biologico, nel presupposto che la disciplina, sostanziale e processuale, dell'adozione in casi particolari, come disciplinata nell'ordinamento italiano, non sia adeguata. Ciò deve ribadirsi pur dopo che, con successiva sentenza n. 79 del 2022, la stessa Consulta ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 55 l. 184/1983, nella parte in cui, con un richiamo all'art. 300 c.c. quanto al regime dell'adozione di maggiorenni, escludeva l'instaurazione di un rapporto di parentela tra l'adottato ed i parenti dell'adottante, eliminando così una grave forma di discriminazione a danno del minore.

La permanente criticità di base dell'adozione in casi particolari risiede nel fatto che essa presuppone innanzitutto una domanda del genitore intenzionale, rivolta al giudice per la costituzione dello status; in mancanza di essa, nessun'adozione potrà essere pronunciata per difetto di legittimazione del genitore naturale e del minore, per quanto rappresentato da un curatore speciale. Si rende poi necessario l'assenso del genitore esercente la responsabilità genitoriale (e quindi, nella specie, del genitore naturale), prevedendo espressamente l'art. 46 l. 184/1983 non potersi pronunciare l'adozione quando l'assenso sia rifiutato. In coerenza con detto principio, la Corte di cassazione ha avuto di recente ad affermare che, quale presupposto necessario per tale tipo di adozione, l'assenso non può desumersi implicitamente da dichiarazioni dal contenuto ipotetico e non univoco, proiettate nel futuro e condizionate da circostanze da verificarsi in un momento successivo a quello della prestazione dell'assenso stesso, dovendo questo avere le caratteristiche dell'attualità e della pienezza, a prova di una piena adesione del genitore all'adozione non legittimante del minore (Cass. 9666/2021). Certamente il legislatore del 1983 non si era configurato il pregiudizio che avrebbe potuto risentire il minore dal mancato assenso alla propria adozione, ma ciò poteva in allora giustificarsi con l'impossibilità di pronosticare quella che sarebbe stata poi l'interpretazione dell'art. 44 lett. d) circa l'impossibilità di affidamento preadottivo, estesa anche ad un'impossibilità di diritto e non di solo fatto; ed invero, quanto all'applicazione dell' art. 44 lett. d) , in una fattispecie estranea al tema dell'omogenitorialità, la Suprema Corte aveva ad affermare ancora in tempi recenti che il dissenso manifestato dal genitore titolare della responsabilità genitoriale, anche se non convivente con il figlio minore, ha efficacia preclusiva, salvo che non sia accertata la disgregazione del contesto familiare d'origine del minore, in conseguenza del protratto venir meno del concreto esercizio di un rapporto effettivo con il minore stesso da parte del genitore dissenziente (Cass. 18827/2018). Del resto, il legislatore nemmeno si era configurato a suo tempo la possibilità di una sopravvenuta revoca di un assenso inizialmente concesso.

Le Sezioni Unite, verosimilmente timorose nell'assumere una diversa decisione che avrebbe garantito l'effettivo diritto dei minori, nati tramite gestazione per altri, ad avere due genitori “pieni”, ponendo sullo stesso piano la genitorialità biologica e quella intenzionale nel rispetto della progettualità familiare e dell'interesse del minore, garantito dall'art. 8 Cedu ad avere uno status unitario nel Paese di nascita ed in Italia, nell'uniformarsi al proprio precedente del 2019, hanno almeno cercato di mitigare gli aspetti più spigolosi e rigidi della disciplina dell'adozione in casi particolari; ciò anche a costo di superare i limiti propri della questione sottoposta al suo esame. Come ricorda la pronuncia qui annotata, è stato correttamente affermato che “il dissenso alla costituzione del legame di filiazione adottiva da parte del genitore biologico esercente la responsabilità genitoriale non può essere espressione di un volere meramente potestativo, ma va collocato in una dimensione funzionale”. L'effetto ostativo del dissenso dell'unico genitore biologico all'adozione da parte del genitore sociale dovrà quindi essere valutato esclusivamente sotto il profilo della conformità all'interesse del minore, secondo il modello del dissenso al riconoscimento di cui all'art. 250 c.c. (il cui procedimento, come noto, è stato di recente riscritto dalla riforma Cartabia). Ogni decisione che riguarda un minore deve infatti essere declinata sulla scorta di detto interesse. E' allora da ritenere che il genitore biologico possa legittimamente revocare l'assenso all'adozione del partner, ma solo nell'ipotesi in cui l'instaurazione di un rapporto progettato di filiazione condivisa, sia pure nella forma attenuata prevista dalla disciplina dell'art. 44 l. 184/1983, risulti contraria all'interesse del minore. Ovviamente ogni e qualsiasi valutazione dovrà essere effettuata in concreto, avuto riguardo alle caratteristiche della singola fattispecie, tanto più quando colui che si professa genitore sociale non abbia intrattenuto alcun rapporto di affetto e di cura nei confronti del nato, oppure abbia partecipato solo al progetto di procreazione, ma abbia poi abbandonato il partner e il minore.

È auspicabile allora un futuro intervento legislativo che possa, in modo razionale e senza pregiudizi, superare ogni discriminazione legata al genere sia nella costituzione della famiglia (con la previsione del matrimonio egualitario) sia nell'istituzione del rapporto di filiazione, nel presupposto che in oggi non esiste un unico modello di famiglia, ma esistono “le famiglie”, come si esprime l'art. 473-bis c.p.c., ossia quelle organizzazioni sociali in cui si esplica la personalità dell'individuo, riconosciute non solo dall'art. 29 Cost., ma anche dall'art. 2 Cost.

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