Sono appellabili i provvedimenti con i quali sono proposte questioni di legittimità alla Corte costituzionale?

Redazione Scientifica
21 Settembre 2023

Non è appellabile la sentenza non definitiva che rimette la questione di legittimità costituzionale e sospende il giudizio ex art. 23 della legge n. 87/1953.

Il Consiglio di Stato si è pronunciato sull'appello proposto da talune Amministrazioni pubbliche, per la riforma della sentenza del TAR per il Lazio afferente al rapporto di concessione autostradale tra le medesime PP.AA e la società concessionaria, che aveva sollevato anche questione di legittimità costituzionale. Il TAR dopo aver affermato la giurisdizione del G.A. sull'eccezione preliminare dell'Avvocatura generale dello Stato ha esaminato le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla società concessionaria, che ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondate. Le PP.AA proponevano appello avverso la decisione di rigetto dell'eccezione di difetto di giurisdizione.

Innanzi tutto, il Collegio ha sgombrato i dubbi sul rito applicabile, precisando che nel giudizio di appello contro la sentenza che, come nel caso di specie, abbia affermato la giurisdizione del G.A. si segue il rito ordinario, non il rito camerale dell'art. 87, comma 3, c.p.a., che si applica solo quando siano appellati “provvedimenti dei tribunali amministrativi regionali che hanno declinato la giurisdizione”.

Infatti, in caso di riforma della sentenza che declina la giurisdizione, i tempi del processo si allungano, per la rimessione necessaria al primo giudice, e sussiste l'esigenza di contenimento del tempo del giudizio di appello sulla declinatoria di giurisdizione. Invece, nel caso opposto, in cui sia affermata la giurisdizione del G.A., come nel caso di specie, si applica il rito ordinario, perché all'eventuale riforma della decisione di primo grado sulla giurisdizione segue l'inammissibilità del ricorso introduttivo per difetto di giurisdizione, senza alcuna regressione al primo giudice.

Quindi, il Collegio, in via preliminare, d'ufficio, ha esaminato l'ammissibilità dell'appello proposto dalle PP.AA. avverso il rigetto dell'eccezione di difetto di giurisdizione. In linea con la pacifica giurisprudenza costituzionale, ha osservato che, sebbene il provvedimento sia qualificato come “sentenza”, sul piano sostanziale è una sentenza non definitiva sulla giurisdizione, ai sensi dell'art. 33, comma 1, lett. a), e dell'art. 36, comma 2, c.p.a., alla quale può essere riconosciuta la natura dell'ordinanza di rimessione del giudizio di legittimità costituzionale, in quanto il giudice a quo ha disposto, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la sospensione del giudizio e la trasmissione del fascicolo alla Corte Costituzionale.

Al carattere sostanziale di ordinanza di rimessione consegue la sua non appellabilità, essendo priva di portata decisoria e inidonea al giudicato, anche su questioni pregiudiziali o preliminari di merito. La non appellabilità dell'ordinanza di rimessione della questione di legittimità costituzionale è una peculiarità della sospensione ex art. 23 della legge n. 87 del 1953. L'art. 79, comma 3, c.p.a. prevede infatti l'appello per le ordinanze di sospensione necessaria limitato alle sole “ordinanze di sospensione emesse ai sensi dell'articolo 295 del codice di procedura civile”.

Successivamente, osserva il Collegio, atteso che il TAR ha statuito con portata decisoria sulla giurisdizione, avendo respinto l'eccezione di difetto di giurisdizione, e ha sospeso contestualmente il giudizio, dalla data della sentenza non definitiva è impedito l'appello, ai sensi degli artt. 79, comma 1, c.p.a. e 298, comma 1, c.p.c., e sono “interrotti”, ai sensi degli artt. 79, comma 1, c.p.a. e 298, comma 2, c.p.c., il termine ordinario ex art. 92 c.p.a. per l'appello “immediato” e il termine per notificare la riserva di appello.

Infatti, il Collegio ritiene applicabile anche alla sospensione c.d. impropria - connessa alla pendenza del giudizio di legittimità costituzionale ex art. 23 della legge n. 87 del 1953 - l'art. 80, comma 1, c.p.a. che per la prosecuzione del processo sospeso prevede l'“istanza di fissazione di udienza entro novanta giorni dalla comunicazione dell'atto che fa venir meno la causa di sospensione”.

In realtà, la norma citata non disciplina gli effetti della sospensione sul processo sospeso, che sono, invece, disciplinati ai sensi dell'art. 79, comma 1, c.p.a., dall'art. 298 c.p.c. – applicabile analogicamente alla sospensione per c.d. pregiudiziale costituzionale – che vieta di compiere atti durante la sospensione del processo e dispone l'interruzione dei termini in corso.

Ad avviso del Collegio, tra gli atti del procedimento oggetto del divieto sono incluse le impugnazioni delle sentenze non definitive, e sonointerrotti i termini per l'impugnazione e per la formulazione di riserva di appello, di cui all'art. 103 c.p.a.

L'impedimento al compimento di atti del procedimento comporta l'inammissibilità dell'appello e, per contro, l'inidoneità al giudicato della statuizione del TAR sulla giurisdizione, che potrà essere impugnata in via autonoma o con la sentenza definitiva, ai sensi dell'art. 103 c.p.a., quando decorreranno nuovamente i termini per l'appello o per la riserva facoltativa di appello a seguito della prosecuzione del giudizio sospeso.

Pertanto, il Consiglio di Stato ha dichiarato inammissibile l'appello proposto.

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