Appello inammissibile se per il software della cancelleria manca la firma digitale nell’atto di impugnazione

21 Settembre 2023

Le questioni esaminate risultano le seguenti: 1) qualora la cancelleria del giudice a quo attesti la mancanza di firma digitale nell'atto di impugnazione, l'appello è inammissibile? 2) Può il difensore, per salvare il gravame dalla massima sanzione processuale, confutare il risultato delle verifiche della cancelleria?

Massima

Qualora il rapporto di verifica effettuato dalla cancelleria accerti che l'impugnazione della sentenza non era sottoscritta digitalmente, il gravame va dichiarato inammissibile, a nulla rilevando la mera prospettazione di un errore del sistema informatico della cancelleria, il quale, implicando un accertamento di fatto che presuppone una verifica (ora per allora) sulla validità legale della firma digitale, non può restare “in proprio” ma va sostenuta con adeguate allegazioni di consistenza tale da rendere evidente l'errore in cui sarebbe incorso il Tribunale.

Il caso

Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere dichiarava inammissibile l'appello trasmesso via PEC dal difensore di un imputato condannato in prime cure alla pena di quattro mesi di reclusione perché ritenuto colpevole del delitto di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (punito dall'art. 387-bis c.p.).

L'ordinanza ha rilevato come i programmi di verifica avessero accertato l'assenza di sottoscrizione digitale dell'impugnazione ed il mancato riconoscimento da parte del sistema della firma asseritamente apposta dal difensore in calce all'atto di appello esclusivamente in formato cartaceo; gli stessi programmi utilizzati accertavano la regolarità della sola firma digitale contenuta nel mandato difensivo. Ne è conseguita l'inammissibilità dell'impugnazione, ai sensi dell'art. 24, commi 6-bis, 6-sexies e 6-septies del d.l. n. 137/2020, convertito nella l. n. 176/2020.

L'imputato, per il tramite del difensore, impugna l'ordinanza, con ricorso per cassazione, deducendo violazione dell'art. 24, comma 6-sexies, lett. a), d.l. n. 137/2020, anche con riferimento alla disciplina speciale contenuta nell'art. 5-quinquies, comma 7, lett. a), d.l. n. 162/2022. Norma quest'ultima che, ponendosi in soluzione di continuità, ha esteso la disciplina prevista nel periodo pandemico legato al Covid-19 per i casi di inammissibilità telematica, anche alla riforma Cartabia sul sistema penale.

La difesa, nei motivi di ricorso, invoca l'esito positivo della verifica della firma digitale tramite l'applicazione riconosciuta dall'AGID. In particolare, contrariamente a quanto affermato nell'ordinanza, l'impugnazione risulterebbe regolarmente firmata digitalmente su file "PDF nativo" conformemente alle prescrizioni della normativa in vigore richiamata. Il difensore ha, infatti, provveduto a verificare attraverso la "InfoCert Tinexta Group Dike GoSign", applicazione riconosciuta dall'Agenzia per l'Italia Digitale (AGID) tra i software in grado di elaborare file firmati in modo conforme alla deliberazione del Centro nazionale per l'informatica della Pubblica amministrazione ("CNIPA") del 21 maggio 2009, n. 45 che ha rilevato la validità e l'integrità della firma (sottoscritto dall'avv. I. P. il 7 gennaio 2023 alle ore 9:53:36 (UTC), in formato "PADES" con dispositivo di firma digitale "Namirial" S.p.a.).

Unica anomalia riscontrata dal sistema è costituita dall'emersione della doppia firma digitale (dal medesimo avvocato) contenuta nell'atto.

Non dunque assenza di firma digitale ma, al più, irregolarità dovuta alla doppia sottoscrizione. Ergo, l'insussistenza della causa di inammissibilità della impugnazione che la richiamata normativa riconduce alla sola mancanza di sottoscrizione dell'atto di impugnazione e non anche per l'irregolare sottoscrizione dovuta alla doppia sottoscrizione.

In ogni caso, la difesa assume che, pure a volere ritenere che la firma in calce all'atto sia resa solo sul formato cartaceo, la sussistenza di elementi inconfutabili in ordine alla paternità dell'impugnazione – quali, la presenza, a margine dell'atto di appello, del logo della firma digitale con espressa indicazione del nome e del cognome del difensore, dei codici seriali ad esso riconducibili, ivi incluso quello "Public Key", della data ed ora di sottoscrizione – invoca il favor impugnationis che impone la salvezza dell'atto processuale.

La questione

Le questioni legate alla vicenda in esame, tra loro intimamente connesse, risultano essere le seguenti: 1) qualora la cancelleria del giudice a quo attesti la mancanza di firma digitale nell'atto di impugnazione, l'appello è inammissibile? 2) Può il difensore, per salvare il gravame dalla massima sanzione processuale, confutare il risultato delle verifiche della cancelleria?

Le soluzioni giuridiche

Ad entrambi i quesiti la Suprema Corte risponde positivamente (sia pure, come vedremo, in termini di obiter dictum, per la seconda quaestio), dichiarando comunque il ricorso inammissibile poiché generico oltre che manifestamente infondato.

I giudici di legittimità osservano che, sulla base degli atti a disposizione (nel caso di specie consultabili in ragione della dedotta questione in rito) emerge che il Funzionario Giudiziario del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere attestava che il file contenente l'atto di appello proveniente dall'indirizzo di posta elettronica del mittente avvocato, pur correttamente depositato presso la corrispondente mail dell'Ufficio a ciò deputata, non risultava firmato digitalmente. Il sistema, che aveva invece contestualmente accertato la regolare firma digitale contenuta nel mandato rilasciato dall'imputato in favore del difensore, rilevava (testualmente): "nessuna firma presente" e "non è stata rilevata alcuna firma apposta sul documento passato in imput". Il fascicolo processuale trasmesso contiene il "CD" con l'originale della PEC dell'atto di appello, copia dei file riprodotti in formato cartaceo del controllo da cui risulta l'omessa firma digitale.

Ciò posto, il Collegio passa a descrivere il quadro normativo dell'attuale sistema delle impugnazioni effettuate in via digitale, il quale trova la sua origine in quella che il legislatore ha dettato durante la fase emergenziale per il contrasto della pandemia da Coronavirus che aveva, proprio nell'ambito di una autonoma regolamentazione dello specifico settore interessato dall'intervento normativo, introdotto cause di inammissibilità ulteriori rispetto a quelle già disciplinate, quanto a regime delle impugnazioni, dall'art. 591 c.p.p.

Più precisamente, l'art. 24, comma 6-sexies, d.l. n. 137/2020, il cui contenuto è sovrapponibile a quanto previsto dall'art. 5-quinquies del d.l. n. 162/2022 (poi convertito in l. n. 199/2022), con cui è stato introdotto "a regime" l'art. 87-bis del d.lgs. n. 150/2022, prevede, tra i casi di inammissibilità legati al deposito telematico dei gravami, che «Fermo quanto previsto dall'art. 591 del codice di procedura penale, nel caso di proposizione dell'atto ai sensi del comma 6-bis l'impugnazione è altresì inammissibile: a) quando l'atto di impugnazione non è sottoscritto digitalmente dal difensore».

Corretto, quindi, risulta essere stato per gli ermellini l'operato del Tribunale che, dopo aver preso atto del rapporto di verifica effettuato dalla cancelleria che aveva accertato che l'impugnazione della sentenza non era firmata digitalmente, si è attenuto alla previsione normativa sopra citata ed emesso ordinanza con cui è stata dichiarata inammissibile l'impugnazione, disponendo l'esecuzione del provvedimento impugnato ex art. 24, comma 6-septies, d.l. n. 137/2020.

Risolta la prima questione, restava quella conseguenziale: può (e, se sì, come?) il difensore contestare il risultato della verifica in ordine all'accertamento di cancelleria sull'assenza della sottoscrizione digitale?

I giudici di legittimità specificano che le verifiche sulla validità e l'integrità della firma digitale condotte dall'imputato non devono restare nel fascicolo del difensore ma vanno allegate in quello processuale. Altrimenti, come avvenuto nel caso sottoposto alla loro attenzione, la verifica effettuata dal ricorrente "in proprio" – certamente sulla base di atti di cui ha e mantiene la disponibilità non necessariamente corrispondenti a quelli che, a mezzo mail risultano trasmessi, ricevuti ed accettati dalla cancelleria del Tribunale – non risulta sufficiente a confutare l'attestazione della cancelleria che non ha rilevato l'invalidità o l'irregolarità della firma digitale (ipotesi per la quale invece non scatta l'inammissibilità del gravame), ma la sua assenza.

Chiaro il dictum della Corte di Cassazione: «A fronte del citato accertamento, la questione sottoposta dal ricorrente (che ne contesta l'esito, prospettando un errore del sistema informatico della cancelleria) implica un accertamento di fatto che presuppone una verifica (ora per allora) sulla validità legale della firma digitale, che avrebbe dovuto essere sostenuta con adeguate allegazioni di consistenza tale da rendere evidente l'errore in cui sarebbe incorso il Tribunale».

Osservazioni

La decisione in commento traccia un limite invalicabile al principio di conservazione e validità dell'impugnazione: la firma digitale, anche se contenga irregolarità, deve essere comunque presente. La totale assenza di sottoscrizione, invece, viene colpita con la scure dell'inammissibilità del gravame.

La sentenza ritiene, all'uopo, non sovrapponibile risulta il condiviso principio di diritto espresso dalla stessa Corte Suprema, secondo cui non costituisce causa di inammissibilità dell'impugnazione di un provvedimento cautelare la mera irregolarità della sottoscrizione digitale che si era realizzata con il mancato valido riconoscimento da parte del sistema di verifica dell'ufficio giudiziario destinatario, con esito di "certificato non attendibile" (Cass. pen., sez. V, n. 22992/2022).

Il caso esaminato in quest'ultima pronuncia è estraneo all'ambito applicativo del citato art. 24, comma 6-sexies, che tassativamente prevede l'inammissibilità (alla lett. a) unicamente in ipotesi di mancata sottoscrizione dell'atto di impugnazione da parte del difensore e non anche allorché la stessa risulti invalida o irregolare.

Né può invocarsi – come sostiene il ricorrente, nel caso di specie, il principio del favor impugnationis sulla base di argomentazioni di natura sostanziale (quali la firma riprodotta sul cartaceo e la sua certa provenienza dall'autore), la cui portata non può certo spingersi sino al punto di sterilizzare le tassative disposizioni che censurano con l'inammissibilità il mancato rispetto della disciplina in ordine alla necessaria presenza della firma digitale che regola la trasmissione delle impugnazioni i cui requisiti di forma sovraintendono alla tutela della certezza della provenienza dell'atto dal suo autore non diversamente declinabile.

Di estremo interesse, infine, quanto il Collegio afferma, in via di obiter dictum, sulla possibilità di contestare l'accertamento della cancelleria circa la mancanza della firma digitale nell'atto processuale. In merito, occorrono specifiche allegazioni, non potendo restare tali esiti di tali verifiche in studio, all'interno del computer e/o nel fascicolo del difensore e limitarsi ad affermare di aver eseguito tali verifiche con esiti diversi a quelli del cancelliere.

In assenza di tali allegazioni, resta ferma l'attestazione del giudice a quo che ha ricevuto l'impugnazione, senza che sia previsto (ma, in verità, nemmeno escluso…) che i giudici del gravame avverso l'ordinanza di inammissibilità debbano attivarsi per controllare se sia corretta la verifica circa l'assenza della firma digitale nell'atto di impugnativo (sia pur formato in pdf nativo).

La parte impugnante dovrà, in definitiva, fornire la prova “telematica” circa la presenza della firma digitale nell'atto anche qualora, come si eccepisce (ma non documenta) nel caso in esame, vi siano, per errore, apposte più firme digitali o altre irregolarità nella sottoscrizione.

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