L'onere di diligenza esigibile dal soggetto danneggiato non può tradursi in una forma di denegata giustizia
25 Settembre 2023
Una società otteneva dal Comune il permesso di costruire un complesso residenziale, a fronte del quale una nota società per azioni italiana che si occupa di infrastrutture stradali la diffidava dall'eseguire i lavori, sostenendo che la realizzazione del complesso avrebbe violato la fascia di rispetto autostradale.
La società impugnava la diffida dinanzi al TAR, proponendo anche l'istanza cautelare. Il giudice di primo grado respingeva il ricorso, perché l'unica censura fondata era stata proposta con memoria non notificata alla controparte.
Il Consiglio di Stato, in appello, confermava la sentenza di primo grado pur ritenendo auspicabile una riconsiderazione dell'intera vicenda da parte delle amministrazioni coinvolte.
Il permesso di costruire veniva, dunque, rilasciato e la società costruttrice citava la società A., dinanzi al giudice ordinario, per ottenere il risarcimento dei danni da ritardo.
In seguito a regolamento di giurisdizione promosso dalla società A., le Sezioni Unite stabilivano che sulla controversia sussisteva la giurisdizione del g.a.
Il processo veniva riassunto dinanzi al TAR e quest'ultimo respingeva la domanda risarcitoria, ritenendo applicabili gli artt. 1227 c.c. e 30, comma 3, c.p.a., sulla base della considerazione che la società non avrebbe proposto ritualmente l'unico motivo ritenuto (in astratto) suscettibile di accoglimento dal giudice di appello.
Tanto esposto, il collegio non ha reputato elemento di per sé solo sufficiente ad escludere la responsabilità della amministrazione, ai sensi dell'art. 1227, secondo comma, c.c., il fatto che non sia stata ritualmente coltivata una delle censure che avrebbero portato all'accoglimento della istanza cautelare e del ricorso, potendo tale circostanza al più rilevare ai fini di una riduzione della responsabilità del danneggiante,ai sensi del primo comma del medesimo articolo.
Il Consiglio di Stato, pertanto, non definitivamente pronunciando sull'appello, ha disposto incombenti istruttori, ritenendo che l'onere di diligenza imposto al soggetto danneggiato non possa essere inteso in senso così ampio e rigido da comportare un vulnus alla pienezza ed all'effettività della tutela.
In particolare, l'attribuzione al giudice amministrativo (in tempi relativamente recenti) della cognizione piena in materia risarcitoria gli impone di approfondire sotto ogni aspetto la pretesa economica oltre che giuridica delle parti, facendosi carico anche dell'evoluzione di un contesto di mercato sempre più complesso.
In tale contesto, la normativa che consente – doverosamente – di limitare o di escludere la pretesa risarcitoria (soprattutto, i richiamati artt. 1227 c.c. e 30 c.p.a.) non può condurre a denegare, in concreto, in ogni caso, l'esistenza stessa di quella cognizione, che rende la tutela del g.a. effettiva, piena e satisfattiva.
In tale ottica, il Collegio ritiene che non possa essere un ostacolo (a volte implicito) la pur oggettiva difficoltà, per il giudice amministrativo, di quantificazione del danno effettivamente subito, specie in situazioni in cui si verte del solo danno da ritardo nell'accertamento di una pretesa poi effettivamente riconosciuta, ma con conseguenze economiche che si assumono molto gravi per la parte ricorrente.
Se tale quantificazione può, almeno in parte, essere particolarmente complessa e finanche esulare dalle conoscenze tecniche del giudice, si può ricorrere a meccanismi di quantificazione ad hoc, opportunamente predisposti dal sistema, ma non si può giungere alla totale negazione, in fatto, di quei rimedi che l'ordinamento ha incardinato in capo al giudice amministrativo. Riferimenti giurisprudenziali |