PMA post mortem: il divieto di esportare gameti o embrioni in un paese che l'autorizza non viola l'art. 8 CEDU perché tutela la dignità umana

La Redazione
25 Settembre 2023

Nelle cause n. 22296/20 e 37138/20 del 14 settembre 2023 inerenti al divieto di esportazione dei gameti di un marito defunto della prima ricorrente e degli embrioni della coppia della seconda ricorrente - il cui marito è deceduto- verso la Spagna, paese che autorizza la PMA post mortem, la Corte EDU ha concluso che il diritto al rispetto della vita privata e familiare non è stato violato. Per i giudici europei le autorità interne hanno mantenuto un giusto equilibrio tra gli interessi in gioco e lo Stato convenuto non ha ecceduto il margine di valutazione di cui disponeva.

Le due cause in esame riguardano due vedove: la prima aveva già fatto un tentativo di procreazione in vitro, poi fallito, insieme al compagno morto di cancro pochi anni dopo l'unione civile. La coppia aveva infatti scelto di conservare alcuni gameti del marito prima dell'inizio della chemioterapia; volontà che lo stesso aveva espresso all'atto di nozze tramite una dichiarazione d'inseminazione della moglie nel paese di residenza o all'estero, in seguito al suo decesso.

La seconda causa vede protagonista una coppia sposata che aveva avuto il secondo figlio quando l'uomo era già malato terminale. Quest'ultimo aveva rilasciato una dichiarazione relativa all'utilizzo degli embrioni che la coppia aveva fatto conservare precedentemente. Poiché non è possibile ricorrere alla procreazione assistita post mortem nel paese dove vivevano, essendoci un divieto assoluto, avevano chiesto invano di esportare i gameti e gli embrioni in Spagna, paese dove tale pratica era consentita.

La Corte riconosce anzitutto che il divieto oggetto della controversia, nonché la procreazione assistita post mortem, incide sulla vita privata delle ricorrenti, dal momento che la possibilità per una persona di esercitare una scelta quanto alla sorte da riservare ai suoi embrioni o gameti rientra nel suo diritto all'autodeterminazione e costituisce un'ingerenza nel loro diritto di tentare di procreare ricorrendo alle tecniche di assistenza medica alla procreazione.

La Corte ammette poi che l'ingerenza in questione, chederiva dalla concezione della famiglia quale prevaleva all'epoca e che mira a garantire il rispetto della dignità umana e del libero arbitrio e a raggiungere un giusto equilibrio tra gli interessi delle diverse parti interessate ad una PMA, risponde agli scopi legittimi della «protezione dei diritti e delle libertà altrui» e della «protezione della morale».

Per quanto riguarda la necessità dell'ingerenza controversa, la Corte constata che il divieto assoluto dell' inseminazione post mortem in Francia dipende da una scelta politica e che, trattandosi di una questione di interesse sociale che riguarda questioni di ordine morale o etico, è opportuno attribuire importanza al ruolo del decisore nazionale.

I giudici di Strasburgo rilevano inoltre che il divieto di esportazione di gameti o embrioni, che equivale ad esportare il divieto della procreazione post mortem sul territorio nazionale, mira a contrastare il rischio di elusione delle disposizioni del Codice della sanità pubblica che impongono tale divieto. I giudici osservano che, fino all'intervento della legge del 2 agosto 2021 relativa alla bioetica, il legislatore si è sforzato di conciliare la volontà di ampliare l'accesso alla PMA e il rispetto delle preoccupazioni della società riguardo ai delicati interrogativi etici sollevati dalla prospettiva della concezione postuma.

La Corte ritiene che le constatazioni che precedono siano pertinenti anche per quanto riguarda il divieto del trasferimento di embrioni post mortem, dopo aver ricordato ch'essa non riconosce all'embrione la qualità di soggetto di diritto autonomo.

In conclusione, la Corte sottolinea che il Consiglio di Stato ha esercitato il suo controllo sui dinieghi controversi conformemente alla metodologia che aveva adottato in una sua precedente decisione e che, nelle circostanze specifiche, essa non ha motivo di discostarsi dalle soluzioni adottate dal giudice interno.

Ne consegue che le autorità interne, secondo i giudici europei, hanno mantenuto un giusto equilibrio tra gli interessi concorrenti in gioco, che lo Stato convenuto non ha ecceduto il margine di discrezionalità di cui disponeva e che, pertanto, non ha violato l'articolo 8 della Convenzione EDU.

La Corte riconosce tuttavia che l'apertura, dal 2021, da parte del legislatore della PMA alle coppie di donne e alle donne sole pone in modo rinnovato la pertinenza della giustificazione del mantenimento del divieto denunciato dalle ricorrenti.