Discriminazione delle persone LGBTI: le violenze omofobe e le indagini gravemente inefficaci e prive di indipendenza delle autorità russe violano la CEDU

La Redazione
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26 Settembre 2023

Con due sentenze emesse il 12 settembre 2023 (n. 58358/14 e 28834/19) la Corte EDU ha condannato la Russia per le persecuzioni LGBTI in Cecenia del 2017 e per gli attacchi omofobi a San Pietroburgo durante una manifestazione pacifica a sostegno della comunità LGBTI tra il 2012 e il 2013. Affermando chiaramente la responsabilità dello Stato russo nella violazione del divieto di tortura (art. 3 CEDU) e discriminazione (art. 14 CEDU), i giudici europei, in entrambi i ricorsi, hanno riconosciuto un risarcimento alle vittime. La Corte EDU ha inoltre evidenziato come le autorità inquirenti abbiano più volte respinto le affermazioni dei ricorrenti secondo cui le aggressioni erano motivate da considerazioni omofobe, senza esaminare adeguatamente gli addebiti degli interessati su questo punto, ritenendo quindi l'indagine condotta dalle autorità russe gravemente inefficace e priva di indipendenza.

Nel medesimo giorno, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha emesso due importanti sentenze inerenti a dei casi di discriminazione e violenza contro persone LGBTI in Russia.

La prima sentenza (n. 28834/19) riguarda il presunto rapimento di un uomo siberiano dal suo posto di lavoro a Grozny (Cecenia), presso la sede della polizia locale, dove, insieme ad altri uomini, sarebbe stato percosso e minacciato violentemente dalla polizia a causa del suo orientamento sessuale. Queste affermazioni si inseriscono nel contesto di una politica di "epurazione" avvenuta tra il 2016 e il 2017 di persone omosessuali o presunte tali nella Repubblica cecena da parte delle autorità locali, segnalata da diverse organizzazioni non governative.

Così, l'interessato ha portato il suo caso davanti alla Corte EDU nel maggio 2019.

La Corte, nell'analisi del ricorso, ha ritenuto in particolare che il ricorrente avesse fornito un racconto convincente dei maltrattamenti subiti (che definisce tortura) – è stato infatti picchiato e sottoposto a gravi violenze psicologiche per 12 giorni – dagli agenti dello Stato, racconto non confutato dal Governo.

I giudici europei inoltre hanno ritenuto che l'indagine condotta dalle autorità russe su queste accuse fosse gravemente inefficace e priva di indipendenza. Le stesse hanno peraltro negato la motivazione omofoba dietro le torture.

Per questi motivi, la Corte ha condannato la Russia per violazione del divieto di tortura e discriminazione, riconoscendo all'interessato un risarcimento per danni morali di 52.000 euro.

La Corte EDU, allo stesso tempo, ha condannato la Russia anche per l'aggressione subita da 11 attivisti russi LGBTI tra il 2012 e 2013 durante delle manifestazioni pacifiche autorizzate svoltesi a San Pietroburgo e Voronezh, a favore della comunità lesbica, gay, bisessuale, transgender e intersessuale e il fatto che le autorità non sono intervenute per impedirla. Alcuni dei ricorrenti hanno lamentato di essere stati arrestati e illegalmente privati della libertà durante tali manifestazioni. All'origine della causa vi sono sei richieste distinte, presentate da undici ricorrenti in totale.

Anche relativamente a questi casi la Corte EDU, accertando il fallimento delle autorità russe nel prevenire la violenza e nel condurre delle indagini che tenessero conto della motivazione discriminatoria dietro gli attacchi, ha disposto un cospicuo risarcimento a ciascuna delle vittime. Infatti, le autorità inquirenti hanno più volte respinto le affermazioni dei ricorrenti secondo cui le aggressioni erano motivate da considerazioni omofobe, senza esaminare adeguatamente gli addebiti degli interessati su questo punto.

In conclusione, i giudici di Strasburgo hanno rilevato, con grande preoccupazione, che sembra che i reati motivati dall'odio contro le persone LGBTI in Russia siano comunemente trattati in questo modo.