Terrorismo: le condanne emesse dalle autorità turche, fondate esclusivamente sull'uso di un'applicazione di messaggistica criptata, violano la CEDU

La Redazione
27 Settembre 2023

Nella causa del 26 settembre 2023 (n. 15669/20), inerente alla condanna di un ex insegnante per appartenenza all'organizzazione terroristica FETÖ/PDY, fondata principalmente sull'elemento determinante dell'utilizzo di un'applicazione di messaggistica criptata, la Corte EDU ha dichiarato la violazione del diritto a un processo equo, del principio di legalità delle pene e della libertà di associazione da parte delle autorità turche. Per la Corte, l'approccio uniforme e generale adottato dai tribunali turchi nei confronti degli elementi di prova provenienti dall'applicazione in questione si discostano dalle condizioni stabilite dal diritto interno per tale infrazione e che essa è contraria all'oggetto e allo scopo dell'art. 7 CEDU. Inoltre, l'impossibilità di accesso ai dati personali dell'applicazione da parte del ricorrente non gli ha consentito di contestarli in modo effettivo subendo, pertanto, una violazione del diritto a un processo equo garantito dall'art. 6 CEDU.

Il caso riguarda la condanna di un ex insegnante per appartenenza ad un'organizzazione terroristica armata, la FETÖ/PDY, alla quale le autorità turche attribuiscono la responsabilità del tentato colpo di Stato del 15 luglio 2016.

La condanna di sei anni e tre mesi del ricorrente si fondava sull'elemento determinante dell'utilizzo di un'applicazione di messaggistica criptata, di cui i giudici interni hanno ritenuto che, al di fuori di un utilizzo per tutti i consumatori, era stata concepita per l'uso esclusivo dei membri della FETÖ/PDY. Di fatto, chiunque abbia utilizzato tale applicazione avrebbe potuto, in linea di principio, essere riconosciuto colpevole di appartenenza ad un'organizzazione terroristica armata solo sulla base di tale uso.

Inoltre, la ricorrente venne accusata di attività bancarie sospette e dell'appartenenza ad un sindacato e ad un'associazione presumibilmente legata al terrorismo.

Con ricorso del 17 marzo 2020, invocando l'art. 6 § 1 (diritto a un processo equo) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, il ricorrente lamentava in particolare l'irregolarità nella raccolta e nell'ammissione a titolo di prove dei dati dell'applicazione in questione oltre alla difficoltà a contestarli e l'insufficiente motivazione delle decisioni dei giudici per quanto riguarda tali elementi di prova.

In aggiunta, invocando gli artt. 7 (nulla poena sine lege) e 11 (libertà di riunione e di associazione) della CEDU, il ricorrente sosteneva anche di essere stato condannato sulla base di atti non costitutivi di reato e per l'effetto di un'interpretazione estensiva e arbitraria del diritto applicabile. Egli lamentava inoltre la circostanza tale per cui la sua appartenenza a un sindacato e a un'associazione fosse stata ritenuta come prova a sostegno della sua condanna.

Il 19 febbraio 2021 il ricorso è stato comunicato al governo turco, il quale ha sostenuto che le misure adottate in seguito al tentato colpo di Stato militare, e in particolare i diversi decreti-legge, fossero giustificate dallo stato di emergenza. Egli sosteneva infatti che la Turchia non avesse violato nessuno dei diritti tutelati dalla Convenzione europea dal momento che aveva fatto uso del suo diritto di deroga ai sensi dell'art. 15 CEDU (deroga in caso di stato di emergenza).

La Corte EDU ha riconosciuto l'urgenza e la gravità della situazione che le autorità e i tribunali turchi si sono trovati a dover affrontare all'indomani del tentato colpo di Stato. Tuttavia, poiché l'art. 15 CEDU esclude espressamente qualsiasi deroga all'art. 7 CEDU, la pertinenza di tale deroga è stata esaminata solo in relazione agli altri articoli invocati dal ricorrente.

La Corte EDU ritiene che l'approccio uniforme e generale adottato dai tribunali turchi nei confronti degli elementi di prove provenienti dall'applicazione in questione si discostano dalle condizioni stabilite dal diritto interno per tale infrazione e che essa è contraria all'oggetto e allo scopo dell'art. 7 CEDU, che è quello di garantire una protezione contro i procedimenti, le condanne e le sanzioni arbitrarie.

Nell'analisi del ricorso, i giudici di Strasburgo hanno constatato che alcuni inadempimenti procedurali hanno inficiato il procedimento penale nei confronti del ricorrente, in particolare per l'impossibilità per quest'ultimo di accedere ai dati dell'applicazione che lo riguardavano personalmente e di contestarli in modo effettivo, in violazione del diritto a un processo equo garantito dall'art. 6 della Convenzione EDU.

Circa 8.500 ricorsi che sollevano obiezioni analoghe in relazione agli articoli 7 e/o 6 della Convenzione sono attualmente iscritti nel ruolo della Corte e molti altri potrebbero ancora essere presentati, considerando che le autorità hanno identificato circa 100.000 utenti dell'applicazione in questione.

La Corte giudica, sul terreno dell'art. 46 CEDU (forza vincolante ed esecuzione delle sentenze), che la Turchia è tenuta ad adottare misure generali appropriate per risolvere tali problemi sistemici, in particolare per quanto riguarda l'approccio adottato dai tribunali turchi nei confronti dell'uso dell'applicazione di messaggistica contestata.