Casa familiare: assegnazione e interesse del minore

Sabina Anna Rita Galluzzo
27 Settembre 2023

Quando il provvedimento di assegnazione della casa familiare può essere revocato pur in presenza di figli minorenni?
Massima

Nei casi di crisi familiare ai sensi dell'art. 337-bis c.c. nel regolare il godimento della casa familiare il giudice deve tener conto esclusivamente del primario interesse del figlio minore, con la conseguenza che l'abitazione in cui quest'ultimo ha vissuto quando la famiglia era unita deve essere di regola assegnata al genitore presso cui il minore è collocato con prevalenza, a meno che non venga esplicitata una diversa soluzione (anche concordata dai genitori) che meglio tuteli il menzionato interesse del minore.

Il caso

A seguito della separazione tra due genitori le due figlie venivano affidate ad entrambi e collocate presso la madre in quanto la stessa aveva una maggiore disponibilità in termini di tempo rispetto al padre per prendersi cura di loro. Le era di conseguenza stata assegnata la casa familiare. Veniva inoltre stabilito l'obbligo del padre di versare un assegno di mantenimento per ognuna delle due bambine. L'uomo si opponeva a tale decisione chiedendo il collocamento paritetico delle figlie presso i due genitori e l'assegnazione a sé dell'appartamento familiare di sua proprietà. La Corte d'appello accoglieva parzialmente il reclamo. Ampliava, in particolare, il diritto di visita del padre e pur conservando il collocamento prevalente delle minori presso la madre revocava l'assegnazione dell'appartamento familiare alla donna. Manteneva l'obbligo del padre di versare un assegno per le figlie e lo obbligava altresì a contribuire ai costi della nuova abitazione che la madre avrebbe dovuto reperire. Avverso tale decreto la signora proponeva ricorso per cassazione.

La questione

L'istituto dell'assegnazione della casa familiare, regolato dall'articolo 337-sexies c.c. e introdotto dal d.lgs. 154/2013 ha lo scopo di tutelare i figli di fronte allo scioglimento della coppia genitoriale e di consentire la conservazione del loro habitat naturale. La giurisprudenza, nei molteplici casi che le si sono presentati, ha specificato tale principio chiarendo anche quando il provvedimento di assegnazione può essere revocato pur in presenza di figli minorenni.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione, sottolineando i fondamenti dell'istituto dell'assegnazione della casa familiare, cassa il decreto della Corte d'Appello.

I giudici di legittimità evidenziano innanzitutto le criticità della motivazione di merito. La Corte territoriale aveva revocato l'assegnazione dando rilevanza al fatto che l'appartamento in questione si trovasse nello stesso edificio abitato oltre che dal padre delle minori, anche dai parenti di quest'ultimo e che tra questi e la madre vi fossero tensioni e controversie che si ripercuotevano inevitabilmente sulle due bambine. Secondo la Cassazione, peraltro, il provvedimento impugnato non identifica degli avvenimenti concreti e verificabili che rendessero opportuna la revoca dell'assegnazione della casa familiare e il conseguente allontanamento delle bambine dal loro habitat domestico. Sul punto, pertanto, precisa l'ordinanza in esame, la motivazione è solo apparente. Inoltre, prosegue la Corte, la motivazione del provvedimento di merito risulta essere anche contraddittoria. Da una parte revoca l'assegnazione della casa familiare alla madre delle minori, per evitare tensioni con i parenti del padre, dall'altra richiede che la casa resti il centro principale degli interessi delle bambine, che comunque venivano collocate presso la donna.

La casa familiare, sottolinea la Cassazione è assegnata tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli. Tale principio, affermato direttamente dal codice civile (art. 337-sexies c.c.), è oggetto di copiosa e consolidata giurisprudenza. Fulcro dell'istituto è dunque l'interesse prioritario dei figli a permanere nell'habitat domestico da intendersi come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare, al fine di evitare loro l'ulteriore trauma di un allontanamento dal luogo ove si svolgeva la loro esistenza e di assicurare una certezza e una prospettiva di stabilità in un momento di precario equilibrio familiare (Cass. 5604/2018).

Tale linea interpretativa è accolta dall'ordinanza in esame secondo la quale la crisi tra i genitori deve incidere il meno possibile suoi figli e sulla loro serenità. Va pertanto tutelato l'interesse del minore a mantenere il centro della sua vita nella casa in cui la famiglia ha vissuto quando era ancora unita e dove il minore ha iniziato a intessere relazioni con le persone e l'ambiente che lo circonda dentro e fuori casa.

Per tale motivo l'abitazione è assegnata al genitore affidatario dei figli minori, o a quello presso il quale la prole è collocata. L'affidamento dei figli minori o anche la convivenza con quelli maggiorenni non autosufficienti, risulta infatti essere imprescindibile presupposto ai fini dell'assegnazione della casa coniugale. Conseguenza di tale orientamento, precisa la Corte, è che il giudice non ha il potere di disporre l'assegnazione in assenza di figli, nemmeno allo scopo di agevolare il coniuge economicamente più debole. Deve infatti essere estranea alla decisione sull'assegnazione dell'abitazione ogni valutazione che operi una ponderazione tra interessi di natura solo economica dei coniugi o dei figli, benché evidentemente si tratti di un'utilità suscettibile di valutazione economica (Cass.27599/2022; Cass. 25604/2018).

Sulla base di tali considerazioni, precisa ulteriormente la Cassazione, la revoca dell'assegnazione non può mai essere automatica. Il giudice di merito deve ricercare la realizzazione di un maggiore benessere del minore da ricondursi al mutamento del regime giuridico dell'assegnazione della casa familiare, per cui si può avere un cambiamento così rilevante nella vita del minore, come il dover lasciare l'abitazione, solo se ciò offre una tutela migliore allo stesso.

Tale assunto, aggiunge la Cassazione, si applica anche al caso in cui, a modifica di una precedente regolamentazione, sia disposto un affidamento paritetico della prole, che preveda, cioè, collocazione e frequentazione ugualmente ripartite tra genitori (Cass. 5738/2023). Persino nel caso in cui il genitore collocatario abbia intrapreso, nella casa assegnata, una convivenza more uxorio la revoca dell'assegnazione non è automatica essendo la relativa statuizione subordinata esclusivamente ad una valutazione di rispondenza all'interesse del minore (Cass. 33610/2021).

In conclusione, nell'assegnare la casa familiare o nel revocare detto provvedimento, va tenuto in considerazione solamente il primario interesse del minore per cui, precisa l'ordinanza in esame, considerata la primaria esigenza di quest'ultimo di conservare l'habitat domestico, l'assegnazione della casa familiare va, di regola, disposta in favore del genitore collocatario con prevalenza del minore stesso, a meno che non emergano ragioni per cui, proprio per tutelare l'interesse del minore, è preferibile una diversa soluzione.

Nella specie la Corte d'appello, precisano i giudici, non aveva fatto buon uso dei principi consolidati nella giurisprudenza, perché, pur avendo previsto il collocamento prevalente delle minori presso la madre, ha revocato l'assegnazione della casa familiare a quest'ultima, senza dimostrare le concrete ripercussioni negative che avrebbero subito le bambine a rimanere nella casa familiare. Viene pertanto cassato il decreto impugnato e rinviata la decisione alla Corte territoriale.

Osservazioni

Un'analisi dell'evoluzione interpretativa in materia porta a osservare come gli interventi giurisprudenziali e dottrinali abbiano plasmato l'istituto sull'esclusivo interesse del minore allontanandolo dalle esigenze dei genitori, che in origine venivano invece prese in considerazione (tra gli altri: G. Gragnani, casa familiare: assegnazione, 2015 in ilFamiliarista.it).

Ne è sorto un orientamento volto tra l'altro anche a indentificare quale sia la casa familiare posto che nella prassi non tutte le situazioni sono uguali e lineari. I genitori spesso nella regolamentazione delle loro pendenze hanno provato a ottenere l'assegnazione di abitazioni come la casa delle vacanze o l'immobile appena acquistato e ristrutturato.

La casa familiare viene così identificata come il centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza, ossia l'ambiente fisico in cui persiste, nonostante la separazione dei coniugi, l'insieme organizzato di beni che costituisce, o ha costituito, anche in senso psicologico, l'habitat domestico e che deve continuare a svolgere, preferibilmente e se possibile, la funzione di abitazione del nucleo composto da uno dei genitori separati e dalla prole. è dunque il complesso di beni funzionalmente attrezzato per assicurare l'esistenza domestica della comunità familiare di modo che l'assegnazione di essa ad uno dei coniugi risponda all'esigenza di conservare l'habitat domestico, inteso come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare, con riguardo principalmente alla necessità di non far gravare sui figli l'ulteriore trauma dello sradicamento dal luogo in cui si svolgeva la loro esistenza. Conseguenza di tali principi è l'assunto secondo cui ove al momento della separazione dei coniugi, manchi una casa coniugale, per trasferimento della famiglia o perché i figli già grandi hanno trovato soluzioni alternative non v'è luogo per l'applicazione dell'istituto in questione. Allo stesso modo non può essere oggetto del provvedimento un immobile in cui i coniugi ancora non si erano trasferiti o ancora quell'immobile utilizzato, sia pur per lunghi periodi dell'anno, ma come casa di villeggiatura.

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