Difetto di giurisdizione: in caso di translatio iudicii il giudice al quale la domanda è riproposta non è vincolato ai giudicati impliciti già formatisi

29 Settembre 2023

Il giudice dinanzi al quale la domanda viene riproposta non è vincolato ai giudicati eventualmente formatisi nei giudizi dinanzi al giudice che ha declinato la propria giurisdizione, non trattandosi di "riassunzione" dello stesso processo dinanzi a un altro giudice, ma di un distinto processo.

Massima

Nel caso di declaratoria del difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice amministrativo, gli eventuali giudicati interni formatisi dinanzi al plesso giurisdizionale che declina la propria giurisdizione non vincolano il giudice dinanzi al quale la domanda venga tempestivamente riproposta (ai sensi e per gli effetti dell'art. 59, comma 2, legge n. 69 del 2009, nonché dell'art. 11 c.p.a.).

Nei rapporti tra giurisdizioni diverse, non si verifica, infatti, mai la "riassunzione" dello stesso processo dinanzi a un altro giudice, ma si ha sempre la "riproposizione della domanda" medesima in un distinto processo, sicché solo il giudicato implicito sulla giurisdizione può avere, a certe condizioni, efficacia “panprocessuale”.

 (Nel caso in esame, il C.G.A.R.S. conferma la sentenza appellata di inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione attiva della società fallita che aveva originariamente adìto il giudice ordinario, dichiaratosi privo di giurisdizione, non ritenendosi vincolato al giudicato implicito formatosi sulla sussistenza di tale condizione dell'azione).

Il caso

La sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana rigetta gli appelli (previamente riuniti) avverso la sentenza n. 2791 del 17 settembre 2021, con la quale il TAR Sicilia- Catania aveva definito il giudizio, inizialmente instaurato dinanzi al Tribunale di Messina e successivamente riassunto dinanzi al giudice amministrativo, avente ad oggetto il risarcimento del danno cagionato alla B.G. S.r.l. in fallimento in seguito alle vicende che hanno interessato l'iter di realizzazione del porto turistico di "P".

Il Consiglio di giustizia amministrativa condivide il percorso argomentativo sulla base del quale il giudice di primo grado aveva dichiarato l'inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione attiva della società in fallimento, non ritenendo neppure qualificabili gli atti di costituzione della curatela fallimentare come esercizio ex novo di un'azione dinanzi al giudice della riassunzione.

In particolare, ha ritenuto non vincolante per il giudice amministrativo davanti al quale era stata riproposta la domanda, a seguito della declaratoria del difetto di giurisdizione del giudice ordinario, il giudicato formatosi nel diverso plesso giurisdizionale sulla legittimazione suppletiva della società fallita a fonte dell'inerzia della curatela.

Il Collegio, prendendo le mosse dalla lettera delle disposizioni in tema di translatio iudicii - art. 59, comma 2, legge n. 69 del 2009, nonché art. 11 c.p.a. – esclude l'unicità del processo instaurato dinanzi al giudice privo di giurisdizione e continuato, in virtù di tempestiva riassunzione, dinanzi al giudice indicato come munito di giurisdizione e, in definitiva, la vincolatività per quest'ultimo di eventuali giudicati impliciti, diversi da quello sulla giurisdizione. Ha, quindi, ritenuto corretto l'operato del TAR Sicilia- Catania che ha dichiarato il difetto di legittimazione attiva della società in fallimento, ai sensi dell'art. 43 l.fall., sebbene introdotto successivamente alla proposizione dell'originaria domanda dinanzi al giudice ordinario, in quanto l'art. 5 c.p.c., applicabile al giudizio amministrativo ex art. 39 c.p.a., impone di fare applicazione della disciplina vigente al momento della introduzione del giudizio soltanto con riferimento alla giurisdizione ed alla competenza (c.d. perpetuatio iurisdictionis), dovendo il giudice applicare la disciplina legislativa sopravvenuta in tutti gli altri casi (e, pertanto, anche con riferimento alle condizioni dell'azione).

Il Consiglio ha, poi, respinto anche il motivo relativo alla configurabilità di una legittimazione c.d. suppletiva della società fallita, in quanto, nel caso in esame, non si tratta di diritti strettamente personali, né è configurabile un'inerzia della curatela, così come ha ritenuto corretta la qualificazione gli atti di costituzione della Curatela, accertando l'insussistenza dei presupposti per essere considerati come atti di esercizio ex novo di un'azione dinnanzi al giudice della riassunzione che avrebbero potuto sanare l'originario difetto di legittimazione processuale attiva in capo alla società fallita.

La questione

Tra le questioni affrontate dalla decisione in commento, grande rilievo assume quella relativa alla insussistenza di un vincolo giuridico per il giudice, dinanzi al quale è riproposta tempestivamente la domanda, ad eventuali giudicati interni formatisi nel giudizio svoltosi dinanzi ad un plesso giurisdizionale diverso, conclusosi con la declaratoria di difetto di giurisdizione.

Si tratta di una questione che, a partire dall'esame della normativa vigente in punto di declaratoria del difetto di giurisdizione, conduce ad affrontare il problema della qualificazione del giudizio incardinato dinanzi al giudice indicato come munito di giurisdizione, quale prosecuzione del precedente o quale nuovo processo.

Il Consiglio di giustizia amministrativa muove dall'analisi testuale della normativa di riferimento, ovverossia la normativa generale di cui all'art. 59, comma 2, della legge n. 69 del 2009 e quella specifica del processo amministrativo, ex art. 11 c.p.a., evidenziando che le stesse perimetrano gli effetti della translatio iudicii, stabilendo la salvezza degli "effetti processuali e sostanziali della domanda", ferme comunque restando "le preclusioni e decadenze intervenute”, e specificano che nei rapporti tra giurisdizioni diverse, non si verifica mai la "riassunzione" dello stesso processo dinnanzi a un altro giudice, ma si ha sempre la "riproposizione della domanda" medesima in un distinto processo. D'altronde solo l'autonomia del processo iniziato dinanzi al giudice munito di giurisdizione rende ragionevole la disciplina dettata sulle prove acquisite nel giudizio dinanzi al giudice che declina la giurisdizione e gli effetti delle misure cautelari eventualmente emesse dal medesimo giudice.

Sul punto, il Consiglio di giustizia amministrativa ha richiamato anche i precedenti delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con i quali non è stata affermata sic et simpliciter l'unicità del processo, ma solo la sua “sostanziale” riduzione ad unità, in considerazione della salvezza degli effetti processuali e sostanziali della domanda, per giungere alla conclusione che una volta riassunto tempestivamente il processo, non può più essere messa in discussione la giurisdizione, tenuto conto del giudicato implicito formatosi in virtù della mancata impugnazione della sentenza recante la declinatoria della giurisdizione (Cass. S.U. 28 marzo 2019, n. 8674 e 27 ottobre 2020, n. 23599).

Tuttavia, il giudicato implicito sulla giurisdizione vincola le parti ma non anche il giudice che può sempre proporre d'ufficio il conflitto di giurisdizione, come espressamente previsto per il giudice amministrativo dall'art. 11, comma 3, c.p.a.

Ne discende che sia la lettera delle norme, sia la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in definitiva, escludono che alcun giudicato formatosi nel processo svoltosi dinanzi al giudice sfornito di giurisdizione possa vincolare il giudice dinanzi al quale è tempestivamente riproposta la domanda.

Le soluzioni giuridiche

Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana accoglie la tesi dell'autonomia del giudizio instaurato dinanzi al giudice munito di giurisdizione a seguito della translatio iudicii ad opera delle parti, valorizzando il dato testuale delle norme vigenti in materia e la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, erroneamente richiamata dagli appellanti a sostegno della loro tesi.

La soluzione proposta mira, quindi, ad escludere l'esistenza di qualsivoglia vincolo di giudizio in capo a giudici appartenenti a diversi plessi giurisdizionali per soddisfare un'esigenza di autonomia dei giudizi, già avvertita dal legislatore quando prevede che le prove raccolte nel processo davanti al giudice privo di  giurisdizione  possono  essere  valutate come argomenti di prova sia nella normativa generale (art. 59, comma 5, l. 69/2009), sia nella normativa speciale per il giudice amministrativo (art. 11, comma 6, c.p.a.).

La tesi dell'unicità del processo e della sua mera prosecuzione dinanzi al giudice munito di giurisdizione è, invece, stata formulata sia per garantire una migliore attuazione del principio dell'effettività della tutela giurisdizionale in un sistema caratterizzato da una pluralità di plessi giudiziari, sia per scongiurare l'uso della questione di giurisdizione in maniera strumentale dalle parti.

Il problema, dunque, era, e rimane, quello di evitare che l'erronea individuazione del giudice al quale proporre la domanda provochi delle conseguenze negative per la parte che agisce in giudizio e l'unico strumento idoneo a scongiurare tale pericolo è proprio la translatio iudicii.

D'altronde, i noti arresti giurisprudenziali delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale del 2007 giungevano alla conclusione per la quale il disconoscimento della translatio iudicii per i conflitti di giurisdizione, prima dell'entrata in vigore della legge 69/2009, sfociava nella sconfessione del principio di effettività della tutela giurisdizionale, garantito dall'art. 24 Cost. Tale principio, infatti, prevede che la domanda proposta sia esaminata nel merito dal giudice e che il giudizio si concluda con una decisione che decida definitivamente la controversia. Non a caso, per entrambe le Corti il principio della salvezza degli effetti della domanda - sotteso al meccanismo della translatio iudicii - si collega direttamente con quelli di effettività della tutela e dell'unità della giurisdizione.

Tali orientamenti, secondo il Consiglio di giustizia amministrativa nella sentenza in commento, “non smentiscono […] ma in qualche modo […] confermano”, la tesi dell'autonomia del processo iniziato successivamente alla declinatoria di giurisdizione del giudice originariamente adìto mediante la “riproposizione” della domanda, in quanto si premurano di salvaguardare gli effetti sostanziali e processuali della domanda e l'intangibilità – per le sole parti - della indicazione del giudice munito di giurisdizione. Il ragionamento del Consiglio di giustizia amministrativa si fonda, quindi, sulla considerazione che se il processo fosse davvero “unico”, non sarebbe stato necessario esplicitare, prima da parte della giurisprudenza e poi da parte dello stesso legislatore, la salvezza degli effetti della domanda.

Osservazioni

La sentenza in commento consente di affrontare la questione dell'unicità o della autonomia del processo quando venga trasferito dinanzi al giudice indicato come munito di giurisdizione.

Risulta, infatti, principio ormai consolidato nel nostro ordinamento quello della trasmigrabilità di una controversia tra plessi giurisdizionali diversi per garantire la piena attuazione del principio di effettività della tutela ed impedire che l'articolazione del sistema giudiziario in più plessi, anziché rafforzare ed aumentare le possibilità di tutela, rappresenti, invece, un ostacolo.

In passato, prima dell'intervento del legislatore del 2009, la Corte di Cassazione, con sentenza a Sezioni Unite del 22 febbraio 2007, n. 4109, aveva ritenuto che il meccanismo della translatio iudicii, espressamente previsto in tema di competenza, fosse immanente nell'ordinamento, in base a una lettura adeguatrice e costituzionalmente orientata del sistema processuale.

La Corte Costituzionale, invece, nella celebre sentenza n. 77 del 2007, aveva evidenziato che «la trasmigrabilità del processo è strumento necessario, ma non sufficiente perché il giudice ad quem possa giudicare della domanda dinanzi a lui riassunta come se essa fosse stata proposta davanti a lui nel momento in cui lo fu al giudice privo di giurisdizione». Ecco perché la stessa Consulta aveva chiarito che l'intervento del legislatore, per colmare una lacuna dell'ordinamento processuale, sarebbe dovuta essere vincolata «solo nel senso che essa dovrà dare attuazione al principio della conservazione degli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione nel giudizio ritualmente riattivato - a seguito di declinatoria di giurisdizione - davanti al giudice che ne è munito».

Il meccanismo della translatio deve, infatti, avere come suo fine ultimo non solo quello di assicurare l'effettività della tutela giurisdizionale, ma anche quello di realizzare il fondamentale principio della concentrazione della giurisdizione e di evitare la dispersione del potere giurisdizionale.

La precisazione della Consulta si era resa necessaria proprio perché era presupposta la novità del processo instaurato dinanzi al giudice indicato come munito di giurisdizione, con il rischio di non garantire la salvaguardia degli effetti prodotti dalla domanda.

Tuttavia, neppure l'introduzione della norma generale di cui all'art. 59 legge 69/2009 ha chiarito il dilemma tra riassunzione del processo e proposizione di una nuova domanda innanzi al giudice che risulta fornito di giurisdizione, come dimostrato dai numerosi interventi della giurisprudenza sul punto.

In particolare, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno, a più riprese, affermato il principio secondo cui il processo che, a seguito di tempestiva riassunzione conseguente ad una pronuncia declinatoria della giurisdizione, si instaura innanzi al giudice indicato come munito di essa, non è un nuovo ed autonomo procedimento, ma la naturale prosecuzione dell'unico giudizio (cfr., da ultimo, Cassazione civile, sez. un., 22/03/2022, n. 9312 e, in senso conforme, Cassazione civile, sez. un., 27/10/2020, n.23599, citata nella sentenza in commento).

Il Consiglio di giustizia amministrativa, invece, ripudia la tesi dell'unità del giudizio, sostenendo di non contraddire quanto affermato dal giudice della giurisdizione, in quanto risultano diverse le prospettive adottate. Mentre, infatti, la Corte di Cassazione ha come obiettivo quello di evitare un uso strumentale dalle parti del processo dell'eccezione di giurisdizione dopo aver tempestivamente riproposto la domanda dinanzi al giudice indicato come titolare della potestas iudicandi, il Consiglio di giustizia amministrativa, nella sentenza in commento, si pone dal punto di vista del giudice della “riassunzione/riproposizione della domanda” e ha come obiettivo quello di garantirgli piena autonomia nella valutazione del merito della controversia. D'altronde, è lo stesso legislatore a riconoscergli piena autonomia nella valutazione di un presupposto processuale, quale l'effettiva titolarità della giurisdizione, potendo d'ufficio, sollevare il conflitto di giurisdizione, salvo solo che non si siano già pronunciate le Sezioni Unite (cfr. art. 59, comma 1, l. 69/2009). Analogamente, la normativa di riferimento attribuisce al giudice a seguito della translatio iudicii piena autonomia anche in merito all'attività istruttoria, in quanto «le prove raccolte nel processo davanti al giudice privo di giurisdizione possono essere  valutate come argomenti di prova» (così art. 59, comma 5, l. 69/2009 e art. 11, comma 6, c.p.a.).

Ne discende che, nell'attuale quadro normativo, sarebbe stato irragionevole limitare l'autonomia del giudizio mediante la previsione di vincoli per il giudice dinanzi al quale la domanda viene riproposta ad eventuali giudicati formatisi all'interno del giudizio svoltosi dinanzi al giudice che ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione.

Guida all'approfondimento

In dottrina si segnala, ex plurimis, A. Caldarera, Considerazione sulla c.d. translatio iudicii, in Dir. proc. amm., fasc. 3, 2009, pag. 715;  A. Scognamiglio, Corte di Cassazione e Corte Costituzionale a favore di una pluralità dei giudici compatibile con effettività e certezza della tutela, in Dir. proc. amm., fasc.4, 2007, pag. 1103; F. Cipriani, Riparto di giurisdizione e "translatio iudicii", in Riv. trim. dir. proc. civ., fasc. 3, 2005, pag. 729.

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