A quale PEC va inviata la richiesta di riesame?
02 Ottobre 2023
Massima Durante il periodo pandemico, la sanzione di inammissibilità della richiesta di riesame scatta, per espressa disposizione normativa, solo qualora venga depositata telematicamente ad un indirizzo PEC diverso da quello indicato per il tribunale della libertà dal provvedimento del Direttore Generale dei Sistemi Informativi ed Automatizzati (DGSIA). Soluzione ripresa, senza soluzione di continuità nel periodo transitorio attuale dalla riforma Cartabia. Il caso Il Tribunale di Milano, con ordinanza del 14 dicembre 2022, dichiarava inammissibile l'istanza di riesame trasmessa via PEC dal difensore di un imputato, avente ad oggetto la revoca della misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa ex art. 282-ter c.p.p. A fondamento della pronuncia di inammissibilità, il giudice della cautela sosteneva che il ricorso sia stato inviato a due indirizzi PEC diversi dal recapito indicato dal DGSIA (Direttore Generale dei Sistemi Informativi ed Automatizzati). Interponeva ricorso per cassazione l'indagato, a mezzo del proprio difensore, eccependo la violazione di legge in relazione all'art. 24 d.l. n. 137/2020, convertito in l. n. 176/2020. In particolare, il comma 6-bis della suindicata norma ha previsto alcune ipotesi di inammissibilità dell'impugnazione che operano qualora essa venga proposta al di fuori della modalità, specificamente contemplate. La lett. e) del comma 6-sexies dell'art. 24 ha previsto che l'impugnazione è inammissibile «nel caso di richiesta di riesame o di appello contro ordinanze in materie di misure cautelari personali e reali, a un indirizzo di posta certificata diverso da quello indicato per il tribunale di cui all'art. 309, comma 7, c.p.p. dal provvedimento del DGSIA di cui al comma 4». La difesa osserva che aveva inviato il gravame cautelare sia all'indirizzo PEC del Tribunale del riesame di Milano, sia - soprattutto ciò rileva ai fini del ricorso per cassazione - ad uno degli indirizzi indicati nel menzionato allegato n. 1 del provvedimento del DGSIA. Specificando ulteriormente che i sei indirizzi previsti dal DGSIA sono indicati senza specifici abbinamenti alle diverse sezioni. La questione E’ valida la richiesta di riesame se la PEC è inviata ad uno degli indirizzi attribuiti all’ufficio competente dal provvedimento del DGSIA? Le soluzioni giuridiche La Suprema Corte ritiene fondato il ricorso. Occorre previamente ricostruire la cornice normativa dettata dalla legislazione pandemica per le impugnazioni via PEC. Ebbene, a norma dell'art. 24, comma 4, d.l. n. 137/2020, conv. in l. n. 176/2020 «per tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati diversi da quelli indicati nei commi 1 e 2...è consentito il deposito con valore legale mediante invio dall'indirizzo di posta elettronica certificata inserito nel Registro generale degli indirizzi certificati di cui all'articolo 7 del regolamento di cui al d.m. giustizia 21 febbraio 2011, n. 44. Il deposito con le modalità di cui al periodo precedente deve essere effettuato presso gli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari ed indicati in apposito provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati pubblicato nel portale dei servizi telematici». Quando si tratti di atto di impugnazione, il comma 6-ter prevede che «l'impugnazione è trasmessa tramite posta elettronica certificata dall'indirizzo di posta elettronica certificata del difensore a quello dell'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato, individuato ai sensi del comma 4». Il successivo comma 6-quinquies dispone poi che «… Nel caso di richiesta di riesame o di appello contro ordinanze in materia di misure cautelari personali e reali, l'atto di impugnazione, in deroga a quanto disposto dal comma 6-ter, è trasmesso all'indirizzo di posta elettronica certificata del tribunale di cui all'art. 309, comma 7, del codice di procedura penale». Aggiunge l'art. 24, comma 6-sexies, lett. e) che l'impugnazione è inammissibile «quando l'atto è trasmesso a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per l'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato dal provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4 o, nel caso di richiesta di riesame o di appello contro ordinanze in materia di misure cautelari personali e reali, a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per il tribunale di cui all'art. 309, comma 7, del codice di procedura penale dal provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4». La Suprema Corte, dopo aver tracciato il quadro normativo, ricorda che il difensore ha inviato la propria richiesta di riesame all'indirizzo PEC del Tribunale del riesame di Milano, oltre che - ciò che rileva ai fini dell'accoglimento del ricorso - ad uno dei sei indirizzi attribuiti all'ufficio competente dal provvedimento del DGSIA del 9 novembre 2020. La decisione poggia sull'ormai consolidato substrato giurisprudenziale formatosi in argomento negli ultimi anni. Occorre, all'uopo premettere che in tema di disciplina emergenziale per il contenimento della pandemia da Covid-19, la richiesta di riesame deve essere direttamente trasmessa, ex art. 24, comma 6-quinquies, D.L. n. 137/2020 (conv. in l. n. 176/2020), all'indirizzo PEC del tribunale in funzione di giudice del riesame, non essendo ammesse né la trasmissione all'indirizzo PEC dell'ufficio emittente il provvedimento cautelare, né la presentazione presso la cancelleria del tribunale o del giudice di pace in cui si trova l'impugnante, stante l'inapplicabilità dell'art. 582, comma 2, c.p.p. (così, Cass. pen., sez. IV, n. 47192/2022; Cass. pen., sez. III, n. 26009/2021). E' pertanto inammissibile l'istanza di riesame se trasmessa a PEC diversa da quella individuata dal provvedimento del DGSIA del 9 novembre 2020, ai sensi del d.l. n. 137/2020, art. 24, comma 4 (di recente, Cass. pen., sez. III, n. 32118/2023, che ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso una istanza di riesame di sequestro preventivo). Ciò posto, la pronuncia in commento, sia pure in via di obiter dictum - laddove non si pronuncia espressamente sulla specifica del motivo di ricorso attinente all'irrilevanza della sub PEC indicata dal provvedimento del presidente del tribunale per il Tribunale del riesame (una delle sei per il Tribunale di Milano) - sembra ribadire che «In tema di disciplina pandemica da Covid-19, nei procedimenti cautelari, non costituisce causa di inammissibilità dell'impugnazione la sua trasmissione ad un indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) dell'Ufficio giudiziario diverso da quello indicato come abilitato dal provvedimento organizzativo del presidente del tribunale, ma compreso nell'elenco allegato al provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, contenente l'individuazione degli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari dei depositi di cui all'art. 24, comma 4, d.l. n. 137/2020, conv. in l. n. 176/2020, in quanto tale sanzione processuale è prevista dall'art. 24, comma 6-sexies, lett. e) del cit. d.l. esclusivamente in caso di utilizzo di indirizzi PEC di destinazione non ricompresi neppure nell'allegato del provvedimento direttoriale» (Cass. pen., sez. V, n. 47192/2022). Orbene, l'inammissibilità prevista dalla lett. e) della disposizione citata non fa richiamo alcuno ad una sanzione processuale collegata alla trasmissione ad un indirizzo diverso da quello indicato dal dirigente dell'ufficio destinazione per le impugnazioni avverso determinati provvedimenti piuttosto che altri. Anzi, neppure è contemplato il potere di successiva specificazione-integrazione del provvedimento del Direttore DGSIA da parte dei capi degli uffici, probabilmente non a caso: si tratta, infatti, di modalità emergenziali e di cause di inammissibilità parametrate alla natura dei mezzi di deposito di nuova introduzione, sicché ragioni di opportunità ne hanno verosimilmente circoscritto l'ambito applicativo alla comunicazione, di rilievo nazionale, che consegue all'atto-fonte di natura secondaria e regolamentare quale è il provvedimento direttoriale suddetto, che, solo, può integrare la previsione di natura primaria (l'art. 24, comma 6-sexies), mediante la tecnica del rinvio normativo. Il legislatore avrebbe potuto prevedere tale potere integrativo o avrebbe potuto indicare come causa di inammissibilità il far ricorso agli indirizzi contenuti nel provvedimento direttoriale DGSIA, dando indicazioni per distinguerli quanto meno per le istanze in materia cautelare; ma così non è stato (Cass. pen., sez. V, n. 24953/2021). Se, pertanto, i dirigenti degli uffici giudiziari ritengono di individuare, tra quelli loro assegnati dal provvedimento del Direttore DGSIA, degli indirizzi "dedicati" da destinare alla ricezione di talune categorie di atti - possibilità legittima, non vietata dal punto di vista normativo - tali disposizioni assumono valenza solo organizzativa interna, benché resa pubblica con modalità di comunicazione esterne da parte degli uffici, e non possono assurgere a disciplina integrativa di quella di legge in materia di deposito delle impugnazioni con valore legale, né tantomeno essere causa di inammissibilità, ai sensi del citato comma 6-sexies. Questo comporta pure che la memoria difensiva inviata ad indirizzo PEC relativo a sezione diversa impone la trasmissione dell'atto alla sezione competente per la trattazione del gravame. In tema di giudizio cartolare di appello celebrato nel vigore della disciplina emergenziale per il contenimento della pandemia da Covid-19, «la memoria difensiva inviata ad un indirizzo PEC relativo a sezione diversa da quella avente in carico il processo (nella specie, comunque ricompreso nell'elenco degli indirizzi PEC di cui all'allegato al provvedimento del ministero della giustizia del 9 novembre 2020, ove non si distinguevano le sezioni di destinazione) impone alla cancelleria la trasmissione dell'atto alla sezione competente per la trattazione del gravame, essendo comunque depositato presso l'ufficio giudiziario competente (Cass. pen, Sez. 6, n. 19433/2023)». Osservazioni La decisione in commento arriva a delle conclusioni condivisibili e si pone in linea di continuità con la disciplina transitoria prevista dalla Riforma Cartabia per rendere graduale il passaggio ormai imminente al processo penale telematico. Tali disposizioni transitorie, dettate, in attesa della integrale entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2022, sono state introdotte dal d.l. n. 162/2022, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 199/2022. In particolare, per ciò che attiene alle modalità di deposito dell'impugnazione, e alle conseguenze della sua inosservanza, deve aversi riguardo a quanto disposto dall'art. 87-bis del d.lgs. n. 150/2022, introdotto dal citato d.l. n. 162/2022. Al comma 1 si prevede tra l'altro che - fino all'entrata a regime del nuovo processo telematico (che avverrà trascorsi quindi giorni dall'emanazione dei decreti attuativi, la cui data di scadenza è prevista per il 30 dicembre 2023) - il deposito dell'atto sia effettuato presso gli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari, indicati con provvedimento della DGSIA, pubblicato nel portale dei servizi telematici. Con specifico riferimento alle impugnazioni, si prevede - come regola generale - che l'atto sia trasmesso tramite PEC dall'indirizzo PEC del difensore a quello dell'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato, individuato ai sensi del comma 1: in deroga a tale disposizione, peraltro, il comma 6 dell'art. 87-bis dispone che nel caso di richiesta di riesame o di appello contro ordinanze in materia di misure cautelari, personali, o reali, l'atto di impugnazione sia trasmesso all'indirizzo di PEC del tribunale di cui all'art. 309, comma 7, c.p.p.. Infine, ai sensi del comma 7 del citato art. 89-bis, la richiesta di riesame è inammissibile, tra l'altro, quando l'atto è trasmesso a un indirizzo di PEC non riferibile, secondo quanto indicato dal provvedimento DGSIA di cui al comma 1, all'ufficio competente a decidere il riesame o l'appello. Alla luce del prorogato contesto normativo, la Suprema Corte ha di recente ritenuto legittimo il rigetto della richiesta di riesame presentata dall'avvocato dell'indagato all'indirizzo PEC errato (quello del tribunale del riesame), in quanto non abilitato alla ricezione di tale tipo di impugnazione (Cass. pen., sez. III, n. 32467/2023). Resta, tuttavia, il difetto di coordinamento per impugnazioni cautelari reali in quanto continua a farsi esclusivo riferimento all'indirizzo PEC dell'ufficio indicato dall'art. 309, comma 7, c.p.p. (notoriamente la sede del tribunale del riesame per le misure personali) e non anche all'art. 324, comma 5, c.p.p. (che individua la competenza del tribunale del capoluogo di provincia nella quale ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento il giudice competente per le misure reali). La Suprema Corte, con riguardo all'identica disciplina del periodo di contrasto al covid-19 ha cercato di superare tale disallineamento. Benché la disposizione, tanto al comma 6-quinquies quanto al comma 6-sexies, individui impropriamente quel giudice mediante il richiamo al solo art. 309, comma 7, c.p.p. - che si riferisce al giudice delle impugnazioni per le misure cautelari personali coercitive ed è richiamato, dall'art. 310, comma 2, c.p.p., per gli appelli proposti contro ordinanze in materia cautelare personale - «l'inequivoco riferimento che tali disposizioni effettuano anche alle impugnazioni (riesame ed appello) in materia cautelare reale induce a ritenere, pena l'interpretatio abrogans, che anche per queste la deroga vada riferita al giudice che sarebbe competente a decidere sull'impugnazione, ovviamente da individuarsi non già nel tribunale del luogo nel quale ha sede la corte d'appello (o la sezione distaccata della corte di appello) nella cui circoscrizione è compreso l'ufficio del giudice che ha emesso l'ordinanza, ma nel tribunale del capoluogo della provincia nella quale ricade l'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato (cfr. artt. 324, comma 5 e art. 322-bis, comma 1-bis, c.p.p.). Nonostante l'imprecisa dizione delle richiamate disposizioni, che non fanno altresì riferimento alle norme da ultimo citate, si tratta dell'unica interpretazione possibile e razionale sul piano sistematico». In ogni caso, anche laddove si dovesse ritenere che l'impreciso tenore letterale della disciplina emergenziale non consenta di affermare che la deroga all'art. 24, comma 6-ter, d.l. n. 137/2020 valga anche per i provvedimenti concernenti le misure cautelari reali, secondo tale disposizione generale l'atto d'impugnazione si sarebbe comunque dovuto trasmettere all'indirizzo del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato, quale individuato nel decreto del Direttore del DGSIA del 9 novembre 2020. L'invio del gravame ad entrambi gli uffici ha salvato dal rischio di insidiose inammissibilità. Sia, infine, consentito dubitare della legittimità della possibilità di utilizzare il canale PEC per avanzare la richiesta di riesame o l'appello avverso le ordinanze in materia di misure cautelari personali dopo i c.d. decreti Nordio del 4 e 18 luglio 2023, nonostante tale possibilità è stata dettata da una Nota del 25 luglio 2023, indirizzata ai Presidenti e ai Procuratori generali delle Corti di appello, il Dipartimento per gli affari di giustizia - Direzione generale degli affari interni. Il decreto 4 luglio 2023 nell'elenco dei 103 atti in cui era stato disposto l'esclusivo obbligo di deposito tramite il portale degli atti penali, sono ricompresi ai nn. 39 e 40 le istanze di riesame e gli appelli avverso i provvedimenti de libertate. Il decreto correttivo Nordio del 18 luglio 2023 ha previsto doppio binario (cartaceo e col portale), in vigore fino al 31 dicembre 2023 (dopo tale dopo solo deposito tramite portale). La nota del 25 luglio, pur prevedendo la possibilità di depositare i 103 atti con PEC fino al 31 dicembre 2023, non può certamente derogare ad una norma di legge e, in particolare, al cristallino dato normativo dell'art. 87 del d.lgs. n. 150/2022. In tale norma è previsto - dapprima al comma 2, il deposito obbligatorio nel portale del processo penale telematico di alcuni atti post art. 415-bis c.p.p., della richiesta di archiviazione, della querela, nomina difensore, nomina rinuncia al mandato; - il successivo comma 3 prevede che «Con uno o più decreti del Ministro della giustizia sono individuati gli ulteriori atti per i quali è consentito il deposito telematico con le modalità di cui al comma 6-bis». Ed il decreto Nordio del 4 luglio 2023 ha indicato altri 103 atti processuali per il quale si è disposto l'esclusivo deposito col portale; - anche se con D.M. del 18 luglio si è prevista la possibilità in via sperimentale di mantenere il doppio canale di deposito, questi riguarda solo il cartaceo e il deposito tramite il portale, con definitivo abbandono della PEC in quanto, ai sensi del successivo comma 6-quinquies dell'art. 87, 6-quinquies, «Per gli atti di cui al comma 6-bis e per quelli individuati ai sensi del comma 6-ter, l'invio tramite posta elettronica certificata non è consentito e non produce alcun effetto di legge». Avendo il D.M. 4 luglio 2023 individuato altri atti per cui è previsto il deposito telematico (i cd. 103), l'invio via PEC non produce alcun effetto di legge. - non può certamente una Nota ministeriale (quella del 25 luglio, che mantiene in vita il deposito via PEC) derogare ad una norma di legge, senza considerare che l'interpretazione autentica della norma di legge spetta al legislatore e non sicuramente al potere esecutivo. In attesa della messa a regime del processo penale telematico, si constata che, pur nella comprensibile fase di rodaggio e di assestamento di un passaggio epocale, si continua a navigare a vista. |