Retroattività delle sentenze della Corte costituzionale: compatibilità degli effetti con la giurisprudenza eurounitaria e risarcimento per legittimo affidamento
05 Ottobre 2023
Nel caso di specie, il Consiglio di Stato con sentenza non definitiva respingeva l'appello proposto da una struttura sanitaria privata accreditata avverso una diversa struttura sanitaria privata accreditata e nei confronti della Regione Puglia, e confermava la sentenza del TAR della Puglia di annullamento del provvedimento regionale di autorizzazione e contestuale accreditamento, in aggiunta all'accreditamento già posseduto dalla struttura sanitaria appellante. Il Tribunale, in ragione della lettura costituzionalmente orientata della norma regionale citata, non riteneva che l'attività “autorizzata” fosse “aggiuntiva” dell'originario accreditamento, e quindi dispensata da un'autonoma verifica di compatibilità per l'accreditamento, ai sensi dell'art. 19, comma 3, della L.R. Puglia n. 9/2017, nella versione vigente alle modifiche successivamente intervenute. Il Consiglio di Stato, dubitando della legittimità della norma regionale citata e della possibilità della sua interpretazione costituzionalmente orientata, stante il suo chiaro tenore letterale, ha sospeso il giudizio e ha rimesso la questione alla Corte costituzionale, che ne ha dichiarato l'incostituzionalità. Prima di procedere all'esame della legittimità o meno del provvedimento impugnato in primo grado, alla luce della pronuncia della Corte costituzionale n. 32/2023, il Collegio ha respinto la richiesta di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, formulata dalla struttura sanitaria appellante principale riferita all'intangibilità dei vantaggi conseguiti in base alle norme incostituzionali e cancellate dall'ordinamento. Il Collegio ha richiamato la giurisprudenza della Corte di giustizia UE in tema di rapporti tra tutela del legittimo affidamento e principio di irretroattività della legge, atteso che la struttura appellante esercitava la propria attività in virtù dell'accreditamento rilasciato sulla base della norma poi dichiarata incostituzionale. In particolare, il Collegio distingue tra retroattività “propria”, quando una nuova normativa disciplina fattispecie sorte e esauritesi prima della sua entrata in vigore, che sono salve rispetto all'effetto ex tunc, dalla retroattività “impropria”, quando la modifica incide su situazioni giuridiche iniziate nel passato e tuttora pendenti. In entrambi i casi la Corte ammette l'incisione sulle situazioni di vantaggio dei privati se sia giustificata da “uno scopo diverso di interesse generale”, con la differenza che nel caso di retroattività impropria deve essere assicurata un'adeguata tutela dell'affidamento dei privati, mentre nel secondo caso è possibile operare in assenza di uno scopo di interesse generale, ma deve sussistere una normativa transitoria per attribuire ai destinatari il tempo necessario per adattarsi al mutamento normativo sfavorevole. Nel caso di specie, ferma restando l'equiparazione quoad effectum della declaratoria di incostituzionalità di una norma di legge ad una nuova norma di legge a effetto abrogativo sopravvenuta, si tratta di un'ipotesi di retroattività “impropria”, atteso che l'appellante esercitava la propria attività in virtù dell'accreditamento reso ai sensi di una norma poi dichiarata incostituzionale, e non si è in presenza, quindi, di “rapporti esauriti”. In tal caso, il Collegio afferma che, in linea con i criteri e i parametri in base ai quali Corte di giustizia UE, il sacrificio della posizione di vantaggio del privato è giustificato dall' “interesse generale” di evitare che chi abbia ottenuto vantaggi economici sulla base di una norma di legge che sia stata espunta ex tunc dall'ordinamento, perché incostituzionale, continui a goderne sine die. Ciononostante, prosegue il Collegio, l'ordinamento predispone due strumenti a tutela dell'affidamento del privato sulla base di un titolo poi annullato perché illegittimo: per un verso, ferma restando l'impossibilità che il provvedimento illegittimo continui a produrre effetti per il futuro, è rimesso al giudice, nell'esercizio del proprio potere conformativo, ex art. 34, comma 1, lettera e), c.p.a., determinare e modulare gli effetti anche ripristinatori delle proprie statuizioni con riguardo alle situazioni anteriori, dall'altro è possibile azionare dinanzi al G.O. la domanda di indennizzo per aver riposto incolpevolmente l'affidamento in un provvedimento poi dichiarato illegittimo. Quindi, il Collegio, nel passare al merito della controversia, conferma la sentenza del Tribunale e chiarisce che dalla declaratoria di incostituzionalità della norma a fondamento del provvedimento regionale impugnato in primo grado ne deriva la sua illegittimità, e pertanto, deve essere annullato. Successivamente, sulla domanda risarcitoria connessa alla responsabilità aquiliana della Regione Puglia per aver rilasciato l'accreditamento in base a una disposizione poi rivelatasi incostituzionale, per la colpa del legislatore regionale per aver disatteso la normativa nazionale in materia di accreditamento, nonché per l'inerzia della Regione sulla diffida di revoca del provvedimento impugnato, il Collegio ha ritenuto insussistente la colpa della Regione Puglia in quanto la norma regionale applicata all'epoca dell'adozione del provvedimento di autorizzazione e contestuale accreditamento. era pienamente vigente. In proposito il Collegio pone in rilievo che in caso di applicazione di una norma successivamente dichiarata incostituzionale, per costante giurisprudenza, fino alla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale, non sussiste la colpa della P.A., ricorrendo un'ipotesi di “errore scusabile”. D'altro canto, l'efficacia retroattiva delle sentenze dichiarative dell'illegittimità costituzionale di una norma non vale a far ritenere illecito il comportamento realizzato, in epoca antecedente alla sentenza di incostituzionalità, conformemente alla norma poi dichiarata illegittima, non potendo detto comportamento ritenersi caratterizzato da dolo o colpa, ed il diritto al risarcimento del danno può essere fatto valere solo per il periodo successivo alla pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale e non dalla cessazione del rapporto. Quanto alla colpa del legislatore regionale, il Collegio ha ricordato che la Corte di Cassazione ha costantemente escluso che dalla promulgazione della legge possa derivare un danno risarcibile, in quanto l'eventuale pregiudizio del privato non può ritenersi ingiusto, neppure se la norma sia poi espunta dall'ordinamento, perché ritenuta incostituzionale Il comportamento della P.A non è idoneo a ledere situazioni giuridiche soggettive, né di diritto soggettivo, né di interesse legittimo, ed è pertanto sottratto al sindacato giurisdizionale, e come tale inidoneo ad integrare la responsabilità extracontrattuale ai sensi dell'art. 2043 c.c. Infine, il Collegio, non ha ritenuto colpevole la Regione Puglia per aver scelto di non ritirare, in autotutela, l'accreditamento dopo la pubblicazione della declaratoria di incostituzionalità anziché attendere l'esito del giudizio. Ciò perché la determinazione regionale era supportata sia dalla norma vigente, poi dichiarata incostituzionale, che da un regolamento regionale, per cui, pur dopo la a sentenza di illegittimità costituzionale, sussistono i presupposti della complessità della situazione di fatto e di diritto e del quadro normativo di riferimento che, secondo la giurisprudenza consolidata, costituiscono ipotesi di errore scusabile idonei ad escludere la colpa della P.A. |