Doppia maternità e rettifica dell’atto di nascita con indicazione della madre intenzionale: il Tribunale di Brescia dice sì ancora una volta
04 Ottobre 2023
Massima Il rifiuto dell’ufficiale di stato civile di ricevere la dichiarazione di riconoscimento dei minori, nati in Italia e concepiti a seguito di PMA all’estero, presentata dalla madre biologica e dalla madre intenzionale non legata ai bambini da un vincolo genetico è illegittimo. L’atto di nascita che reca l’indicazione esclusiva della madre biologica va, pertanto, rettificato, mediante aggiunta del secondo genitore. Il caso Tizia e Caia hanno deciso di intraprendere un percorso di fecondazione assistita con donazione di gameti (cd. “eterologa”) all'estero, a seguito del quale sono nati, in Italia, due minori riconosciuti alla nascita da entrambe le donne, dinanzi all'Ufficiale di Stato Civile del Comune di Brescia. A seguito del rifiuto manifestato dal Comune di Brescia di ricevere tale dichiarazione di riconoscimento e quindi di procedere all'iscrizione sull'atto di nascita anche del nome della madre intenzionale non legata ai minori da un vincolo biologico, Tizia e Caia hanno presentato ricorso al Tribunale di Brescia al fine di ottenere la rettifica dell'atto di nascita, mediante aggiunta del nome della madre non biologica. Visti gli artt. 8 della legge 40/2004 e 95 e ss del d.P.R. 396/2000, il Tribunale ha dichiarato illegittimo il rifiuto dell'Ufficiale di Stato Civile e ha ordinato la rettifica dell'atto di nascita. La questione Il Tribunale di Brescia è stato chiamato a pronunciarsi sulla legittimità del rifiuto reso dall’Ufficiale di stato civile di ricevere il riconoscimento da parte di due mamme, tra cui vi era anche la madre intenzionale non legata ai minori da un vincolo biologico, e dunque di riportare il suo nome sull’atto di nascita dei bambini. I giudici lombardi, dopo aver individuato gli ambiti di operatività della Legge 40 del 2004 in materia di Procreazione Medicalmente Assistita, si sono soffermati, in particolare, sull’applicabilità dell’art. 8 della legge ( il quale stabilisce che i nati a seguito di tecniche di PMA hanno lo stato di figli legittimi o riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere a tali tecniche), anche nei casi in cui un soggetto intraprenda all’estero un percorso di PMA vietato dall’ordinamento italiano. Le soluzioni giuridiche Nel valutare alcuni degli argomenti addotti nel rifiuto dell'Ufficiale dello stato civile, il Tribunale ha innanzitutto chiarito l'importanza di focalizzarsi sul diritto del nuovo individuo nato, che non è mai illecito, piuttosto che sul divieto per una coppia dello stesso sesso di accedere alla PMA; a tal fine, è fondamentale secondo i giudici bresciani stabilire quale sia l'effetto dell'art. 8 della legge 40/2004, unitamente alla necessità di valutare se tra gli effetti che discendono dal divieto di accedere alla PMA per le coppie dello stesso sesso, vi sia anche l'impossibilità per il genitore intenzionale di essere genitore legale del minore nato a seguito di queste tecniche. Quanto, invece, alla impossibilità – addotta dal Comune di Brescia – di ricevere la dichiarazione di riconoscimento della seconda madre stante l'assenza di moduli e decreti ministeriali che si possano adattare alla situazione, il Tribunale ha ritenuto tale rilievo sia “molto debole e soprattutto formalistico” perché quando si parla di identità personale e rapporto genitore/figlio, si verte in tema di diritti fondamentali della persona che devono poter essere accertati e fatti valere dinanzi al giudice ordinario, al di fuori dell'attività amministrativa. Pertanto, i giudici bresciani hanno ritenuto importante effettuare un bilanciamento tra due interessi fondamentali: l'interesse statale alla repressione della PMA illecita in certi casi e l'interesse del minore, comunque nato, ad avere due genitori, anche alla luce della normativa sovranazionale. Nella ricostruzione dell'assetto giurisprudenziale attuale relativo a casi simili, il Tribunale lombardo ha richiamato alcune pronunce favorevoli e contrarie al riconoscimento della madre intenzionale e si è soffermato, in primis, su una pronuncia con cui lo stesso Tribunale di Brescia aveva ritenuto illegittimo il rifiuto alla iscrizione della seconda madre intenzionale non genetica. In particolare, nella ricostruzione di questo precedente, i giudici si sono interrogati sulla possibile esistenza di un nesso di condizionamento tra il riconoscimento dello status ai figli nati da PMA e il rispetto dei criteri soggettivi di accesso a tali tecniche (art. 5, legge 40/2004) che ne limitano il ricorso esclusivamente alle coppie maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile e entrambi viventi e l'applicabilità dell'art. 8 anche alle ipotesi in cui ad accedere alla PMA sia una coppia esclusa dal novero dell'art. 5 e hanno stabilito che, tranne nei casi di surrogazione di maternità, non si può escludere l'applicabilità dell'art. 8 nelle ipotesi in cui due donne abbiano fatto ricorso alla PMA all'estero e la madre intenzionale intenda successivamente riconoscere il figlio nato in Italia. Ciò, hanno ritenuto i giudici bresciani in passato, a maggior ragione se si analizza l'art. 8 in combinato disposto con gli artt. 9 e 12. Infatti, se da un lato l'art. 9, quando ancora era vigente il divieto di fecondazione assistita eterologa impediva – e impedisce tuttora – che il coniuge o il convivente che avesse manifestato il consenso ad accedere alla PMA potesse esercitare l'azione di disconoscimento della paternità e l'impugnazione di cui all'art. 263 c.c., escludendo che il donatore dei gameti potesse acquisire una relazione giuridica parentale con il nato; dall'altro, l'art. 12 disciplina le sanzioni amministrative applicabili in caso di mancato rispetto dei criteri soggettivi enucleati dalla legge 40 e tra queste, mai è menzionata la possibilità di compromettere la relazione di filiazione instaurata con il genitore intenzionale. Dunque, anche se soggetti a sanzione amministrativa, gli atti compiuti in difformità dalla fattispecie legale hanno, comunque, come effetto quello di costituire un rapporto giuridico di filiazione tra il nato ed entrambi i membri della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche di procreazione assistita. Tutto ciò, anche ai sensi dell'art. 1 della legge in questione, finalizzato a fornire piena tutela prima al concepito, poi all'embrione e, infine, al nato e altresì al fine di evitare ogni discriminazione delle coppie omosessuali che vanno, invece, considerate formazioni sociali tutelate ai sensi degli artt. 2 e 3 della Costituzione che si affiancano al modello di famiglia costituito da una mamma e un papà. Tra le pronunce contrarie al riconoscimento della madre intenzionale non biologica richiamate dal Tribunale di Brescia nel decreto del 17 marzo 2022 – 16 febbraio 2023 in esame, va menzionata quella della Corte d'Appello di Brescia del 14 maggio 2021 e alcune sentenze della Cassazione tra cui la sentenza n. 23320/2021. In particolare, mentre la Corte d'Appello ha, da un lato, evidenziato la “tipicità” dei provvedimenti dell'Ufficiale di stato civile e, dall'altro, riconosciuto l'impossibilità di riconoscere la madre intenzionale quale genitore, come automatica conseguenza del divieto, vigente in Italia, di ricorrere alla PMA per le coppie same sex; la Corte di Cassazione si sofferma sull'assioma maternità genetica – maternità legale, in assenza del quale risulta difficile poter identificare una forma di maternità giuridicamente riconosciuta. Il collegio bresciano, però, supera di fatto quest'orientamento contrario rilevando come sia intrinseco nella finalità della legge 40 quello, da un lato, di regolare una procreazione che prescinde dalla biologia, da intendersi con riferimento al concepimento tramite rapporto sessuale e, dall'altro, di tutelare in ogni caso il frutto di questo concepimento, a tal punto che l'art. 9, l. 40/2004, stabilisce che il soggetto che ha manifestato il suo consenso all'applicazione delle tecniche di PMA non può disconoscere il figlio, restando così evidente la prevalenza dell'intenzione rispetto alla biologia. Pertanto, alla luce della ricostruzione effettuata, il Tribunale bresciano conferma, con pronuncia del 2022-2023 che «… Non possono esistere figli non riconoscibili per la omosessualità dei genitori…» poiché il fatto che due genitori siano dello stesso sesso non rappresenta un pregiudizio in sé per il minore, a maggior ragione se si considerano i vari studi di carattere scientifico, a carattere mondiale, che affermano che la crescita e il benessere di un bambino nato in una famiglia etero e omo genitoriale è assolutamente equivalente. Dunque, secondo i giudici lombardi, l'argomentazione per cui l'art. 8 della legge 40, ai sensi del quale i nati a seguito di tecniche di PMA hanno lo stato di figli legittimi o riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere a tali tecniche, sia applicabile soltanto ai casi leciti di PMA è molto debole e non condivisibile, a fronte, invece, della necessità – unitariamente condivisa anche a livello mondiale – di riconoscere al minore il diritto alla bigenitorialità, come diritto che spetta al bambino ancor prima della sua nascita in considerazione del pregiudizio che deriverebbe dalla carenza del secondo genitore. Ciò vale ancor di più se si considera l'inadeguatezza dello strumento dell'adozione in casi particolari che se da un lato richiede tempi troppo lunghi per la sua formalizzazione, dall'altro, è una procedura attivabile solo su istanza del genitore adottante e non del minore che non può rivendicare la costituzione del rapporto genitoriale. Del tutto illogico sarebbe poi effettuare una distinzione – come di recente è stato fatto in diverse pronunce della Cassazione – tra i casi in cui la nascita di un minore da una coppia di donne avvenga all'estero, in cui la Cassazione ha ammesso la trascrivibilità dell'atto di nascita (Cass. civ. 19599/2016), dai casi in cui la nascita avvenga in Italia (Cass. civ. 6383/2022), nei quali l'iscrizione della seconda madre non biologica è stata esclusa; infatti se da un lato sarebbe irragionevole far discendere uno status filiationis dalla scelta del luogo di nascita, generalmente, operata nelle ultime settimane di gestazione; dall'altro, trattare due situazioni analoghe, sotto il profilo della filiazione, sarebbe in aperto contrasto con il principio di uguaglianza. Il Tribunale conclude, quindi, nel senso di poter legittimare un'interpretazione dell'art. 8 che eviti lo stato di “non riconoscibilità” del secondo genitore intenzionale, che quindi dovrà essere riconosciuto. Osservazioni È inevitabile osservare come, ancora una volta, la pronuncia del collegio bresciano sia in linea con la necessità assoluta di scindere il piano della condotta e delle scelte assunte dei genitori, che comportano l’avvio di un percorso legale all’estero ma non consentito dalla legge italiana, rispetto alla necessità e all’importanza di tutelare l’interesse del minore, soggetto sul quale non possono ricadere le eventuali colpe degli adulti. I giudici lombardi sottolineano l’importanza di far riferimento, in queste situazioni, al “diritto vivente”, soprattutto alla luce dell’inerzia legislativa, considerato che la norma può e deve cambiare nel tempo così vivendo e adattandosi anche alla realtà nuova e mutevole che viene di volta in volta restituita alla valutazione dell’interprete. E questo è proprio quello che accade, ormai, a seguito dell’evoluzione scientifica e sociale che ha condotto alla nascita di diversi modelli di famiglia che non possono più essere incastrati nell’unica tipologia della famiglia “tradizionale” costituita da un uomo e una donna ma vanno differenziati e tutelati nel modo più appropriato, avendo come punto di riferimento la tutela del minore nato a seguito dell’intenzione e del consenso manifestato dai genitori – a prescindere dall’eventuale sussistenza di un collegamento genetico – quale assunzione preventiva della responsabilità genitoriale verso chi non è ancora nato. |