Intercettazioni: ancora rilevanti novità con la conversione in legge

Cesare Parodi
09 Ottobre 2023

Con la conversione in legge del decreto-legge 10 agosto 2023, n. 105 il legislatore non si è limitato a confermare quanto già disposto in tema di intercettazioni, ma è intervenuto su tre aspetti fondamentali della disciplina del sistema e in particolare sulla disciplina del captatore, sulla trascrizione sulle intercettazioni e sui controlli demandarti al P.M., su tale aspetto e soprattutto sulla possibilità della utilizzazione delle intercettazioni in altri procedimenti. Modifiche di grande momento, destinate ad avere un impatto altamente significativo su tutto il sistema.

Premessa

Il lavoro di chi è chiamato a commentare le novità in materia di intercettazioni è ormai simile a quello degli scrittori di romanzi di appendice: con assoluta puntualità il legislatore o in alcuni casi la giurisprudenza ci chiama a periodici ripensamenti e revisioni della disciplina dell'istituto, rivelatosi il più dinamico e magmatico dell'intera procedura penale. E restiamo sempre con il dubbio su quale potrà essere il contenuto della prossima puntata (impossibile ipotizzare un finale…).

Ecco allora il testo destinato alla «Conversione in legge del decreto-legge 10 agosto 2023, n. 105, recante disposizioni urgenti in materia di processo penale, di processo civile, di contrasto agli incendi boschivi, di recupero dalle tossicodipendenze, di salute e di cultura, nonché in materia di personale della magistratura e della pubblica amministrazione»; un testo che ha significativamente integrato le indicazioni del menzionato decreto, apportando novità di grande momento e che è stato approvato qualche giorno orsono.

È stato confermato il testo dell'articolo è l'art. 1 (Disposizioni in materia di intercettazioni), inserito alla luce della «straordinaria necessità e urgenza di introdurre disposizioni in materia di processo penale per consentire il suo efficace svolgimento rispetto ad alcune tipologie delittuose e per rendere efficiente e sicura l'attività di intercettazione». Questo il testo, riportato anche nel provvedimento di conversione: «1. Le disposizioni di cui all'articolo 13 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, si applicano anche nei procedimenti per i delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 452-quaterdecies e 630 del codice penale, ovvero commessi con finalità di terrorismo o avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis c.p. o al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo. 2. La disposizione del comma 1 si applica anche nei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto». (Al proposito, sia consentito rinviare a C. Parodi, D.l. n. 105/2023: ancora una volta, novità in tema di intercettazioni, in IUS Penale (ius.giuffrefl.it), 11 Agosto 2023).

Il testo del d.l. si spinge, tuttavia, ben oltre il rilevante, seppur limitato, ambito della disposizione sopra riportata.  Come chiarito dal Comitato per la legislazione, il disegno di legge C. 1373 appare riconducibile, anche sulla base del preambolo, a dieci ben distinte finalità, tra le quali la prima è quella di «introdurre disposizioni in materia di processo penale per consentire il suo efficace svolgimento rispetto ad alcune tipologie delittuose e per rendere efficiente e sicura l'attività di intercettazione…». Le norme vanno al “cuore” del sistema intercettazioni, intervenendo su tre specifici punti: non si tratta di modifiche “secondarie” e se ne parlerà a lungo.

La modifica sulla disciplina del captatore

In primo luogo, per il comma 2-bis dell'art. 1 del d.l. in oggetto, al terzo periodo del comma 1 dell'articolo 267 del codice di procedura penale, la parola: «indica» è sostituita dalle seguenti: «espone con autonoma valutazione» e dopo la parola «necessaria» sono inserite le seguenti: «, in concreto,». Questo è l'esito della modifica: «Il pubblico ministero richiede al giudice per le indagini preliminari l'autorizzazione a disporre le operazioni previste dall'articolo 266. L'autorizzazione è data con decreto motivato quando vi sono gravi indizi di reato e l'intercettazione è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini. Il decreto che autorizza l'intercettazione tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile espone con autonoma valutazione le ragioni che rendono necessaria, in concreto, tale modalità per lo svolgimento delle indagini; nonché, se si procede per delitti diversi da quelli di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, e dai delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell'articolo 4, i luoghi e il tempo, anche indirettamente determinati, in relazione ai quali è consentita l'attivazione del microfono».

Fin dalla originaria versione della norma, traspariva evidente la necessità, per il legislatore, di caratterizzare l'autorizzazione all'uso del captatore solo a fronte di una motivazione “rafforzata”, in grado di dare atto dell'effettiva necessità di avvalersi di tale strumento. Come in molte sedi è stato già precisato, il captatore è stato introdotto nel sistema come “male” necessario, a fronte dell'evoluzione tecnologica del settore delle comunicazioni, anche se resta nei confronti di tale metodica di captazione una forte avversione, di natura forse più etico/sociale che giuridica, vista la potenziale “invasività” di tale strumento. Anche per questa ragione, dalla metà del decennio precedente la discussione sul “limite” di utilizzo del captatore e sula valutazione del rapporto costi (in termini di tutela effettiva della riservatezza) e benefici (per l'accertamento di gravi ipotesi criminose) si è sempre mantenuta molto vivo (Su questi temi L. Giordano, Il captatore informatico: il quadro ermeneutico attuale, in Intercettazione di comunicazioni e tabulati, in Quaderni della Scuola Superiore della Magistratura, n. 19, 2022, 15 ss.).

In realtà, l'indubbia efficacia del captatore ha rappresentato un intrinseco rischio logico in chiave di motivazione: la “necessità” richiesta dalla norma, alla luce dei contesti criminale nei quali operano i soggetti destinatari dell'intercettazione o delle condizioni specifiche di tempo e di luogo nella quale la stesse dovrebbe svolgersi, potrebbe rivelarsi tale da essere esplicitata con un semplice riferimento al captatore quale “gold standard” rispetto ad altre metodiche di captazione.

È verosimilmente questa la prospettiva sulla quale il d.l. in oggetto vuole intervenire. Sul punto, la giurisprudenza in tema di intercettazioni tradizionali richiede che “(…) il provvedimento autorizzativo deve contenere un'adeguata e specifica motivazione a concreta dimostrazione del corretto uso del potere esercitato dal giudice”; in relazione al quantum di motivazione richiesto per l'idoneità del decreto autorizzativo, la Corte precisa che esso deve consistere in quello «minimo necessario a chiarire le ragioni del provvedimento» (ex plurimiis, Cass. pen., S. U., 21 giugno 2000, n. 17, Riv. 216665).

Per il captatore, specificamente, si è passati da un obbligo di “indicazione” all'esigenza di esposizione con autonoma valutazione delle ragioni che rendono necessaria, in concreto, tale modalità per lo svolgimento delle indagini. La logica è chiara: l'indicazione consente un richiamo a quanto precisato nella richiesta, laddove la nuove disposizione pretende un vaglio critico e autonomo su tale aspetto; vaglio critico che- inoltre e non a caso- non potrà identificarsi nel semplice riferimento alla oggettiva astratta efficacia ottimale dello strumento captatore, dovendo essere precisati in concreto gli elementi che, nel caso di specie, giustificano tale scelta; sul punto, si era correttamente osservato che si impone per il giudice l'obbligo «non soltanto di motivare sull'assoluta necessità per la prosecuzione delle indagini, ma anche di indicare il motivo per cui si ritiene necessaria la peculiare forma di captazione. Le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni tra presenti tramite agenti intrusori occuperebbero l'ultimo gradino della scala gerarchica dei mezzi di ricerca della prova esperibili: tali forme captative devono rappresentare l'extrema ratio cui ricorrere solo quando tutti gli altri strumenti cognitivi – tra cui le tradizionali intercettazioni – non sono in grado di soddisfare le esigenze investigative del caso concreto» (così L. Esposito - A. Cafagna, op.cit., atti corso SSM, Disciplina e tecnica di effettuazione delle intercettazioni di comunicazioni interpersonali alla luce delle novità normative e del diritto vivente, Napoli, 10/12 febbraio 2020).

Il nuovo principio è – in teoria- chiaro. Resta per l'interprete l'interesse a verificare come sarà applicato nei casi concreti o se si tratterà solo di individuare e applicare formule di stile più articolate e accattivanti sul piano espressivo; ciò senza dimenticare che- anche su questo aspetto- la partita non è chiusa e sarà risolta se e quando verrà disposto, più che un differente onere motivazionale, un nuovo e più ristretto ambito di applicazione di utilizzo del captatore. Non ci resta che attendere.

Le modifiche in tema di trascrizione delle intercettazioni

Il secondo aspetto si articola su due punti e ha per oggetto la disciplina dell'art. 268 c.p.p. (Esecuzione delle operazioni), in base al primo comma del quale le comunicazioni intercettate sono registrate e delle operazioni è redatto verbale.

Viene sostituito integralmente il comma 2 di tale articolo («Nel verbale è trascritto, anche sommariamente, il contenuto delle comunicazioni intercettate») con il seguente testo: «Nel verbale è trascritto, anche sommariamente, soltanto il contenuto delle comunicazioni intercettate rilevante ai fini delle indagini, anche a favore della persona sottoposta ad indagine. Il contenuto non rilevante ai fini delle indagini non è trascritto neppure sommariamente e nessuna menzione ne viene riportata nei verbali e nelle annotazioni della polizia giudiziaria, nei quali è apposta l'espressa dicitura: “La conversazione omessa non è utile alle indagini”».

Inoltre, al comma 2-bis, le parole: «affinché nei verbali» sono sostituite dalle seguenti: «affinché i verbali siano redatti in conformità a quanto previsto dal comma 2 e negli stessi» e le parole: «dati personali definiti sensibili dalla legge» sono sostituite dalle seguenti: «fatti e circostanze afferenti alla vita privata degli interlocutori».  Questo il nuovo testo: “Il pubblico ministero dà indicazioni e vigila affinché i verbali siano redatti in conformità a quanto previsto dal comma 2 e negli stessi non siano riportate espressioni lesive della reputazione delle persone o quelle che riguardano fatti e circostanze afferenti alla vita privata degli interlocutori, salvo che risultino rilevanti ai fini delle indagini.”

Occorre partire dal testo dell'art. 268 c.p.p.; in realtà, l'attuale versione riprende- nella sostanza, anche se non esattamente nelle forme- quella che era la prima ipotesi in base alla delega di cui alla d.lgs. n. 216/2017 (Disposizioni in materia di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, in attuazione della delega di cui all'articolo 1, commi 82, 83 e 84, lettere a), b), c), d) ed e), della legge 23 giugno 2017, n. 103) che con il comma 2 bis aveva previsto il divieto di «trascrizione, anche sommaria, delle comunicazioni o conversazioni irrilevanti ai fini delle indagini, sia per l'oggetto che per i soggetti coinvolti, nonché di quelle, parimenti non rilevanti, che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge. Nel verbale delle operazioni sono indicate, in tali casi, soltanto la data, l'ora e il dispositivo su cui la registrazione è intervenuta». Consentendo (comma 2-ter) al pubblico ministero, con decreto motivato, di disporre la trascrizione nel verbale delle comunicazioni e conversazioni di cui al comma «quando ne ritiene la rilevanza per i fatti oggetto di prova» anche «se necessarie a fini di prova, delle comunicazioni e conversazioni relative a dati personali definiti sensibili dalla legge».

L'attuale art. 268, comma 2-bis, c.p.p. aveva eliminato il divieto di trascrizione originariamente previsto nella riforma, delineando la necessità di una fisiologica selezione preventiva delle captazioni, in precedenza affidata esclusivamente alla prassi seguita presso ciascuna Procura. Una soluzione di compromesso che non contemplava un divieto di trascrizione e che non delegava in toto la facoltà di selezione preventiva alla P.G., ma che rimetteva il controllo e la vigilanza sull'osservanza delle disposizioni di cui all'articolo in oggetto al P.M. («Il pubblico ministero dà indicazioni e vigila affinché nei verbali non siano riportate espressioni lesive della reputazione delle persone o quelle che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge, salvo che risultino rilevanti ai fini delle indagini»).

Una soluzione che aveva suscitato non pochi interrogativi sia in relazione al contenuto delle indicazioni che l'ufficio di Procura avrebbe dovuto fornire, sia soprattutto sulle forme e sui tempi della vigilanza demandata al P.M. (Su questo tema sia consentito rinviare a C. PARODI, I rapporti tra P.M. e polizia giudiziaria in tema di intercettazioni: l'analisi del dato normativo e delle prassi, in IUS Penale (ius.giuffrefl.it), 13 Aprile 2023). Si può ritenere che la vigilanza alla quale è tenuto il P.M., stante la natura dell'attività richiesta, deve essere individuata in capo al P.M. titolare del procedimento e deve essere finalizzata:

  • ad assicurare che la P.G. effettui una rigorosa selezione delle intercettazioni rilevanti ed utilizzabili a fini processuali.
  • a evitare che nei verbali di trascrizione siano riportate espressioni lesive della reputazione delle persone o riguardanti dati personali sensibili dalla legge, salvo che si tratti di intercettazioni rilevanti ai fini delle indagini.

Per raggiungere tali obiettivi si è ipotizzata un'interlocuzione costante, anche informale (secondo quanta solitamente avviene nella fase delle indagini preliminari, ossia in una fase per sua natura non inquadrabile in rigidi e schematici protocolli), del P.M. con gli organi di P.G. delegati alle operazioni, onde evitare che nei c.d. "brogliacci" di ascolto o nei verbali di trascrizione sommaria sia documentato il contenuto di conversazioni manifestamente irrilevanti o inutilizzabili.

In sostanza, si era voluto riportare il P.M. al centro delle scelte, non solo in relazione alla conduzione delle indagini, ma anche in relazione alla tutela in concreto dei diritti dei soggetti privati in relazione al bene riservatezza. Il punto è che esigenze di indagine e riservatezza non sono gli unici fattori dell'equazione che il legislatore era chiamato a risolvere, dovendo tenere conto anche delle esigenze difensive e del diritto di informare e di essere informati. Un equilibrio, in sostanza, non facile da individuare.

Con le nuove indicazione, rivive di fatto l'impostazione delle delega contenuta nel d.lgs. 216/2017. Di fatto è nuovamente imposto un divieto della trascrizione di tutte le intercettazioni non rilevanti ai fini delle indagini; un'indicazione rafforzata dalla espressa previsione che stabilisce non solo che il contenuto non rilevante ai fini delle indagini non è trascritto neppure sommariamente, ma che deve essere riportata la dicitura: «La conversazione omessa non è utile alle indagini». La trascrizione sommaria è prevista solo per le intercettazioni, soltanto il contenuto delle comunicazioni intercettate rilevante ai fini delle indagini, anche a favore della persona sottoposta ad indagine.

Resta da capire come potrà essere raggiunto tale obbiettivo, demandato al P.M., le cui indicazioni e la cui attività di vigilanza sono ora finalizzate al raggiungimento di uno specifico obiettivo: i verbali dovranno essere redatti in conformità alle indicazioni sopra riportate. È stata, con l'occasione, modificata la formula: «dati personali definiti sensibili dalla legge» con quella «fatti e circostanze afferenti alla vita privata degli interlocutori». 

E' evidente la volontà del legislatore di “incrementare” l'ambito di tutela della riservatezza, anche se l'espressione utilizzata lascia spazio ad amplissimi – forse troppo ampi? - spazi interpretativi. Indubbiamente, tutte le manifestazioni che determinano dati sensibili sono afferenti alla vita privata, ma la norma suggerisce che devono essere “tutelate” anche fatti e circostanze “ulteriori” rispetto a quelle identificabili nei dati sensibili. Dove si pone il limite, allora? La vita privata degli interlocutori nella sua globalità, comprese dai e informazioni assolutamente neutri o irrilevanti?  Il gradimento su una canzone, la simpatia o antipatia per un vicino di casa, la scelta su privarsi di un animale domestico. Tutto deve rimanere nel “limbo” e deve essere etichettato come irrilevante? Parrebbe di sì.

Unica eccezione, ovviamente, il materiale che riconosciuto dalla P.G. – e confermato come tale dal P.M. – rilevante ai fini dell'indagine, in esito a un bilanciamento tra l'esigenza alla riservatezza e quella alla completezza delle indagini preliminari. Una rilevanza, per altro, che non può identificarsi con quella disciplinata dall'art. 268 comma 6 c.p.p.?

Valgono, sul tema, considerazioni già espresse in altra sede che, tuttavia, nella presente sede devono essere richiamate: «La “rilevanza” del comma 2-bis è applicata nel corso delle indagini preliminari, in un momento in cui l'individuazione dei fatti potenzialmente utili ai fini di prova è ancora in divenire. Il vaglio sulla rilevanza può essere meno rigoroso e deve essere calibrato sulle esigenze investigative in atto, potenzialmente aperte a sviluppi non facilmente delineabili nel loro evolversi. Al contrario, la rilevanza cui si dovrà attenere il giudice nell'escludere le intercettazioni ai sensi dell'art. 268, comma 6, c.p.p. – atteso che tale selezione avviene, di norma, ad indagini concluse o quanto meno ad intercettazioni concluse – quando è possibile compiere una valutazione in ordine all'effettiva utilità probatoria dei risultati delle captazioni che può essere proiettata già nell'ottica del giudizio e non espressiva delle sole esigenze investigative.

Specie nelle indagini ad ampio raggio (in materia di criminalità organizzata, di reati finanziari o anche di pubblica amministrazione) di frequente la rilevanza di una singola conversazione può emergere in una fase ulteriore dell'indagine, così che una mancata indicazione del contenuto sui brogliacci (sui quali deve comparire, se giudicato in un primo momento relativa a conversazioni non rilevanti, solo data, ora e dispositivo su cui la registrazione è intervenuta) potrebbe rendere, se non impossibile, molto difficile tale rivalutazione. 

La mancata indicazione, quantomeno sommaria, del contenuto di molte conversazioni nei brogliacci imporrà alla difesa, a tempo debito, un ascolto generalizzato delle tracce; una scelta certamente percorribile ma indubbiamente onerosa e, per vari aspetti, rischiosa. Anche per la pubblica accusa.

La previsione del comma 2-bis c.p.p. fornisce un criterio selettivo – ancorato alla rilevanza della conversazione ai fini delle indagini – che di per sé si presta ad un'interpretazione lata. In fase di indagine anche conversazioni dal contenuto prettamente personale possono assumere rilievo, anche solo per accertare il grado di conoscenza e frequentazione tra i soggetti intercettati. In alcune materie, poi, la ricostruzione dei rapporti personali, nelle loro varie sfaccettature, difficilmente potrebbe essere ritenuta “non rilevante” (es. rapporti familiari e interpersonali). Esiste un rischio – a fronte di una non particolare utilità probatoria – di andare incontro, con trascrizioni troppo “ampie” a rilevanti lesioni alla riservatezza delle persone coinvolte? Non si può escludere, ma peggio sarebbe un'esclusioni a priori, fondata solo sul contenuto, senza rapportare lo stesso al contesto del rapporto» (così C. Parodi, op. ul. cit).

In buona sostanza, il principio espresso dal legislatore è corretto, ma l'applicazione in concreto potrebbe porsi come fonte di criticità non solo per la pubblica accusa, quanto anche per un corretto e tempestivo esercizio del diritto di difesa, che dovrà per forza di cose procedere – con tempi relativamente “ristretti” – a un ascolto autonomo per verificare se e quali intercettazioni, non trascritte e neppure sintetizzate, potrebbero assumere un significato nella prospettiva defensionale.

Le modifiche in tema di utilizzazioni in altri procedimenti

Di grande rilievo, infine, le nuove indicazioni in tema di utilizzazioni in altri procedimenti. In base al comma 2-quater dell'art. 1 del d.l., all'articolo 270, comma 1, del codice di procedura penale, le parole: «e dei reati di cui all'articolo 266, comma 1» sono soppresse.

Questo il nuovo testo “I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino rilevanti e indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza”.

Tale indicazione è stata completata con una norma di diritto transitorio (art. 1 comma 2-quinquies): la disposizione di cui al comma 2-quater si applica ai procedimenti iscritti successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

Il tema della utilizzazione delle intercettazioni in procedimenti diversi - da sempre uno dei più delicati e controversi del settore- è salito agli onori della cronaca (e sostanzialmente ci è rimasto sino a oggi, ininterrottamente) con la notissima decisione delle S.U. Cavallo (Cass. S.U., 2 gennaio 2020 n. 51. www.giurisprudenzapenale.com), per la quale  «il divieto di cui all'art. 270 c.p.p. di utilizzazione dei risultati di intercettazioni di conversazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali siano state autorizzate le intercettazioni – salvo che risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza – non opera con riferimento ai risultati relativi a reati che risultino connessi ex art. 12 c.p.p. a quelli in relazione ai quali l'autorizzazione era stata ab origine disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dalla legge».

La sentenza citata, intervenuta immediatamente prima della riforma, aveva significativamente ridotto l'ambito di potenziale utilizzo in procedimenti diversi delle intercettazioni, in sintonia con le indicazioni fornite sul punto ad inizio anni novanta dalla Corte Costituzionale. Una decisione che di fatto ha imposto una correzione di rotta all'atto dell'attuazione del d.lgs. 216/2017. La l.n. 70/2020 ha, di fatto, ridotto la portata di tale divieto, modificando l'art. 270, comma 1, c.p.p.; «I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino rilevanti e indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza e dei reati di cui all'articolo 266, comma 1». (Su questi temi G. De Amicis, Il regime della “circolazione” delle intercettazioni dopo la riforma garanzie o limiti?, In quaderni della Scuola Superiore della Magistratura, n. 19, 2022, 131 ss.). 

La riforma aveva inserito una lettura dell'art. 270 c.p.p. di stampo completamente differente, in quanto le condizioni previste – quantomeno in base a una interpretazione letterale della norma- si ponevano in termini alternativi e non cumulativi; l'utilizzo sarebbe possibile sia nel caso di accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza sia per i reati di cui all'articolo 266, comma 1 c.p.p.; per altro, si tratta di due categorie non sovrapponibili. Una norma, inoltre, che ha suscitato nella sua formulazione non poche perplessità se si considera che non è chiara il significato dell'affiancamento della rilevanza alla indispensabilità. Esiste qualcosa di indispensabile che non sia rilevante?

La versione della norma che viene introdotta con l'ultima modifica “taglia” alla radice il dubbio (molto ipotetico) sul fatto che le condizioni debbano essere alternative o cumulative e se tale opzione sia io meno in sintonia con i principi costituzionali. Semplicemente, resta l'utilizzabilità solo a fronte di reati il cui “livello” di gravità è sottolineato dalla possibilità di arresto obbligatorio in flagranza. Indubbiamente, la norma transitoria sopra riportata limita (ma non esclude) i problemi ermeneutici del nuovo impianto complessivo. Il nuovo limite vale solo per i procedimenti che saranno iscritti in data successiva alla conversione del decreto, ma problemi ermeneutici non mancheranno, anche in relazione ad alcuni problemi affrontati dalla S.C. in relazione al testo approvato nel 2020.

La S.C. (Cass. pen., sez.  I, 19 marzo 2021, n. 12749, Riv. 280981 - 01) ha precisato che sono utilizzabili i risultati delle operazioni disposte in riferimento ad un titolo di reato per il quale le stesse sono consentite, anche quando vi sia stata una successiva diversa qualificazione giuridica del fatto (cfr. Cass. pen., sez. VI, 20 gennaio 2021, n. 23244, in relazione al fatto che la differente qualificazione dipenda proprio dal risultato della captazioni); in motivazione la Corte ha spiegato che in tale evenienza non vi è elusione del divieto di cui all'art. 270 c.p.p., atteso che l'addebito si modifica per motivi sopravvenuti fisiologici, legati alla naturale evoluzione del procedimento, ciò che presuppone che la qualificazione giuridica fosse coerente con le risultanze investigative al momento in cui l'autorizzazione è stata concessa.

Un principio- limitato evidentemente solo in relazione alla possibilità di arresto obbligatorio, che dovrebbe essere “trasponibile” anche alla nuova formulazione della norma. Resta da capire quali conseguenze nel caso in cui si assuma che se sin dall'inizio la qualificazione fosse stata correttamente individuata in termini tali da non consentire le intercettazioni?

In termini generali, tuttavia, si deve rilevare che anche sul piano psicologico non sarà facile metabolizzare il fatto che intercettazioni svolte in assoluta legittimità e dalle quali risultano emersi elementi di rilievo anche per fatti oggettivamente gravi (tali non sarebbero se non fosse prevista autonomamente la possibilità di intercettare) non potranno essere direttamente utilizzate. 

Un esempio pratico potrà essere utile. Prendiamo il reato di circonvenzione di incapace di cui all'articolo 643 c.p., reato che consente l'intercettazione, ma per il quale non è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza. Se, poniamo, un soggetto intercettato per ricettazione formulerà delle affermazioni rilevanti in ordine alla prova, o alla stessa sussistenza, del reato di circonvenzione di incapaci in base alle nuove disposizioni, le stesse non potranno essere direttamente utilizzate.

Vediamo cosa potrebbe capitare in concreto. Laddove esista già un procedimento per circonvenzione di incapace, le intercettazioni non potranno essere direttamente utilizzate, ma è difficile pensare che non possano costituire uno spunto investigativo che evidentemente la polizia giudiziaria potrà sviluppare per verificare circostanze emerse nell'ambito di tali intercettazioni, fermo restando che il contenuto delle stesse non potrà formare oggetto di prova.

Laddove un procedimento non risulti ancora iscritto, non può essere posto in dubbio il fatto che il pubblico ministero, anche in base alle nuove disposizioni in tema di iscrizioni, dovrà procedere a iscrivere un procedimento per circonvenzione di incapace laddove, nell'ambito delle conversazioni non utilizzabili, tale reato emerga in termini sufficientemente chiari ed evidenti.  Il vero problema si pone nella fase successiva: potrà il pubblico ministero richiedere intercettazioni per tale reato laddove le stesse derivino da un procedimento diverso? Potranno essere considerate uno spunto investigativo da approfondire attraverso eventualmente, l'assunzione della persona offesa o di altri soggetti informati e corroborare un quadro sulla gravità indiziari, tali comunque da giustificare la richiesta di intercettazioni o saranno comunque non utilizzabili anche in quest'ottica?

Sul piano del diritto transitorio, inoltre, quid iuris, nel caso in cui procedimenti iscritti dopo la data di conversione siano connessi a procedimenti per i quali le intercettazioni risulterebbero utilizzabili, laddove nei secondi dovessero evidenziarsi intercettazioni rilavanti per i primi? Dobbiamo ipotizzare una non utilizzabilità assoluta anche in questo caso?

Anche alla luce delle risposte che potranno essere fornite a tali quesiti si potrà verificare l'impatto effettivo della riforma.

In conclusione

  • In tema di captatore le nuove indicazioni impongono al giudice un vaglio critico autonomo sulla necessità di utilizzo dello stesso, che potrà riflettersi evidentemente sull'ambito di applicazione dell'utilizzo.
  • Con riguardo alle indicazioni sul tema della trascrizione delle intercettazioni la nuova legge impone di fatto un obbligo generalizzato di non trascrizione, anche sommaria, delle stesse, salvi evidentemente i casi in cui le stesse risultino direttamente rilevabili per le indagini.
  • La legge affida un compito di vigilanza e controllo al pubblico ministero che si estende, rispetto alla precedente formula relativa alla tutela dei dati sensibili anche a tutte le circostanze afferenti alla vita privata; formula questa, che certamente imporrà una rigorosa limitazione delle trascrizioni.
  • In relazione alle disposizioni sull'utilizzazione in altri procedimenti, la nuova indicazione appare estremamente chiara nell'escludere tale possibilità, laddove tale utilizzazione, riguardi i reati per i quali è previsto autonomamente la possibilità di intercettare. Consentendo la stessa solo a fronte dei reati per i quali è previsto l'arresto obbligatorio.

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