Giurisdizione esclusiva del G.A. in tema di responsabilità per omesso esercizio di un’attività doverosa e relativa domanda risarcitoria
10 Ottobre 2023
Nell'ambito di un piano di zona un comune stipulava una convenzione con una cooperativa edilizia per l'assegnazione in concessione del diritto di superficie per realizzare abitazioni di edilizia economica-popolare ai sensi dell'art. 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865. L'appellante, quale assegnatario di un alloggio, stipulava con la cooperativa il contratto preliminare di acquisto provvedendo all'integrale pagamento. A seguito del fallimento della cooperativa, il dirigente responsabile del comune formalizzava l'intervenuta decadenza della cooperativa dal diritto di superfice e il contratto preliminare veniva risolto nel giudizio civile. Seguiva una serie di diffide dell'appellante al comune per porre in essere le attività di pubblicazione e trascrizione del provvedimento di decadenza e scongiurare la vendita all'asta degli alloggi da parte del fallimento, sebbene il comune rappresentasse che la decisione di non attivarsi era una scelta discrezionale. In esito allo sfratto l'appellante rilasciava l'abitazione alla curatela fallimentare. Poi, il nuovo sindaco manifestava definitivamente la volontà dell'amministrazione di non voler più concludere la procedura di recupero delle aree concesse, assumendo che il consiglio comunale, unico organo competente a deliberare la decadenza, non l'aveva mai approvata. Quindi l'appellante proponeva ricorso innanzi al T.a.r. per la Sardegna, che veniva respinto, per chiedere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali per la perdita dell'abitazione familiare. Lamentava l'omessa attività doverosa del comune di non aver reso opponibile al fallimento della cooperativa l'atto dirigenziale dichiarativo della decadenza dalla concessione, per effetto della quale il diritto di superficie si era estinto ex tunc, consolidandosi in capo al comune la piena proprietà anche degli alloggi edificati. Innanzi tutto, il Collegio afferma che il caso di specie rientra nella giurisdizione esclusiva del G.A., ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. b) del c.p.a. che, nelle materie devolute, si estende alle connesse domande risarcitorie, sia per lesione di diritti soggettivi che di interessi legittimi, ai sensi dell'art. 30, comma 2, c.p.a. La presenza della convenzione accessiva alla concessione non inficia la natura pubblicistica del rapporto tra il comune concedente e la cooperativa concessionaria, volto a soddisfare l'interesse generale di realizzazione di abitazioni per le persone economicamente svantaggiate. L'atto di attribuzione del diritto di superficie e la convenzione formano la fattispecie complessa della concessione amministrativa creando tra concedente e concessionario un unico rapporto, in cui l'elemento convenzionale è strumentale a quello pubblicistico. Pertanto, rileva il Collegio che, secondo un costante indirizzo della giurisprudenza, le controversie relative agli atti con i quali l'amministrazione accerta la violazione delle finalità pubblicistiche sottese alla convenzione rientrano nella giurisdizione esclusiva del G.A. Nel caso di specie la decadenza della concessione, a causa della deviazione del concessionario dal perseguimento dell'interesse pubblico cui la convenzione era preordinata, attiene all'esercizio di potestà pubblicistiche e perciò è devoluta alla giurisdizione esclusiva del G.A. Sul punto il Collegio richiama anche una diversa giurisprudenza che giunge alle stesse conclusioni, in quanto ai sensi dell'art. 35 della legge n. 865/1971, la convenzione super.ficiaria in esame, come le altre convenzioni urbanistiche, è una fattispecie tipica di esercizio negoziale del potere amministrativo, integrativa del procedimento per il rilascio della concessione superficiaria, che rientra nello schema degli accordi integrativi del provvedimento, ai sensi dell'art. 11 della legge n. 241/1990, che l'amministrazione, per determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale, può stipulare con i privati. Anche in tale diversa prospettiva argomentativa, nel caso in esame rileva la giurisdizione esclusiva del G.A., ai sensi del comma 5 del citato art. 11. Il Collegio afferma che nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva la cognizione dei diritti soggettivi è aggiuntiva rispetto a quella degli interessi legittimi, in quanto la pubblica amministrazione opera in veste di autorità: non è un semplice trasferimento di controversie su diritti soggettivi dal G.O. al G.A. giacché si conferiscono al G.A. situazioni tanto connesse e di incerta qualificazione, tali da devolvere a un unico giudice le relative liti. Cionondimeno, la distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi, se non rileva per il riparto di giurisdizione, rileva sul piano processuale: se è azionato un interesse legittimo il processo segue le regole della giurisdizione generale di legittimità, ed i termini brevi decadenziali, mentre in caso di un diritto soggettivo sia per ricorrere che per l'azione risarcitoria si applicano i termini più lunghi di prescrizione del codice civile. Quanto al merito, il Collegio ritiene, secondo il costante orientamento giurisprudenziale, che la decadenza dalla concessione e l'estinzione del diritto di superfice sono un effetto automatico della violazione della concessione, ivi previsto, e, dunque, il provvedimento di decadenza non è un atto discrezionale, ma vincolato e doveroso. Perciò, emerge l'illegittimità dell'operato del comune sia per l'inerzia e la mancata adozione di un atto vincolato, sia per la manifesta contraddittorietà dovuta all'incoerenza tra l'iniziale determina di decadenza e la successiva nota del Sindaco recante la volontà di non concludere le formalità per opporre alla curatela fallimentare l'acquisto per accessione delle abitazioni. Per di più, la colpevole inerzia inziale, protrattasi, si è tramutata in dolo quando il comune, con la nota del sindaco, ha manifestato la volontà di non portare a termine il procedimento per opporre la decadenza al Fallimento, violando il contenuto della convenzione stipulata. Ulteriormente la mancata adozione dell'atto vincolato di decadenza della concessione integra gli estremi di un illecito aquiliano, perché ha impedito la nascita di un credito per arricchimento indiretto senza causa in capo al privato, che ha pagato alla concessionaria del bene pubblico l'intero corrispettivo dell'abitazione, pari alla somma di cui reclama la spettanza a titolo del risarcimento del danno. Da quanto rilevato appare chiaro al Collegio la sussistenza della colpa del comune considerato il suo comportamento omissivo che, nel caso di specie, assume un marcato connotato di gravità. Per evitare il danno sarebbe stato sufficiente, prima ancora che trascrivere la decadenza, comunicare al curatore fallimentare la determina dirigenziale di avvio del procedimento di decadenza della concessione, e far valere l'acquisto a titolo originario per accessione nei confronti del Fallimento, per impedire la vendita all'asta degli alloggi anche a prescindere dall'omissione della trascrizione. Quanto ai profili risarcitori, il Collegio chiarisce che la domanda di risarcimento del danno si basa sul diritto soggettivo derivante dal contratto preliminare di acquisto dell'immobile, che si intreccia con l'interesse legittimo oppositivo alla stabilità del provvedimento di individuazione dell'appellante quale assegnatario. Non rileva quindi il difetto del favorevole giudizio prognostico sulla spettanza del bene della vita e neppure il disposto dell'articolo 30, comma 3, c.p.a. per cui il risarcimento “non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza”. A tal proposito l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 3 del 2011, richiamata dal Collegio, ha chiarito che non sempre la mancata impugnazione è da ritenersi un comportamento contrario a buona fede, ma solo se la tempestiva azione di annullamento, secondo un giudizio di causalità ipotetica, avrebbe impedito il danno. Quindi, il Collegio non ha ritenuto rilevante la mancata impugnazione della nota del Sindaco perché l'appellante era già stato privato della sua abitazione e non avrebbe ridotto le conseguenze risarcitorie essendosi già formato il giudicato in favore del fallimento. Il Consiglio di Stato ha accolto l'appello e per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, ha condannato il comune al risarcimento del danno, patrimoniale e non patrimoniale in favore dell'appellante. Riferimenti giurisprudenziali |