Esclusione dalla gara di operatore economico i cui prodotti provengono in misura superiore al 50% da un Paese straniero

10 Ottobre 2023

È conforme alla normativa eurounitaria, pure alla luce del d.lgs. n. 36/2023, la condotta di una stazione appaltante che decida di non prevedere la partecipazione alla gara di operatori economici le cui forniture sono prodotte in un Paese con il quale non vige un accordo di reciprocità; essa, infatti, fa propria una facoltà che la norma gli attribuisce in forma “espressa” nella fase di valutazione delle offerte, ma che non può ritenersi esclusa, anche per esigenze di economicità procedimentale ed efficienza della procedura, già nel momento di predisposizione e di successiva pubblicazione della lex specialis di gara.

La vicenda in breve . La vicenda trae origine dall'impugnazione - da parte di un operatore economico - del bando di gara per l'affidamento dell'appalto di forniture avente ad oggetto “Risanamento e completamento della rete di trasporto primaria e interventi sui serbatoi esistenti. Forniture di tubazioni in ghisa sferoidale e pezzi speciali per la realizzazione del II e III stralcio funzionale”. In particolare, la ricorrente lamentava che la lex specialis non ne consentiva la regolare partecipazione nella parte in cui richiedeva di fornire una quota di almeno il 50% delle tubazioni provenienti da Paesi dell'Unione Europea. La ditta si doleva, ex aliis e preliminarmente, del contrasto dell'art. 137 del d.lgs. n. 50/2016 con la Direttiva 2014/25/UE; inoltre, censurava la lex specialis della procedura nella parte in cui prevedeva, per l'appunto, l'esclusione “automatica” delle offerte contenenti più del 50% di prodotti extracomunitari; previsione asseritamente priva di motivazione, così elidendo del tutto la logica di comparazione tra offerte (ivi incluse quelle contenenti prodotti extracomunitari) di cui all'art. 137, comma 3, d.lgs. 50/2016.

La compatibilità dell'art. 137 d.lgs. n. 50/2016 con la Direttiva UE (anche alla luce del d.lgs. n. 36/2023). Preliminarmente, ai fini della risoluzione della controversia, il Collegio ha esaminato la questione pregiudiziale sollevata ai sensi dell'art. 267 TFUE dalla ricorrente, secondo cui l'art. 85 della Direttiva 2014/25/UE, l'art. 120 TFUE, il principio di massima partecipazione alle procedure di evidenza pubblica e, in ultimo, il principio di proporzionalità, osterebbero ad una norma nazionale quale l'art. 137, commi 2 e 3 del d.lgs. 50/2016 nella parte in cui dispone l'onere di motivazione soltanto per il caso di mancato respingimento dell'offerta contenente più del 50% di prodotti originari di Paesi terzi, e non anche per il caso di respingimento dell'offerta con tali caratteristiche.

Orbene, secondo i giudici amministrativi, la norma italiana che recepisce l'art. 85 della Direttiva 2014/25/UE, non si pone in contrasto con la formulazione e la ratio della disposizione unionale, la quale «non pone in capo alla stazione appaltante l'obbligo di motivare la scelta di escludere un'offerta ove la parte dei prodotti originari di Paesi terzi, ai sensi del regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio, superi il 50 per cento del valore totale dei prodotti che la compongono».

Ed infatti, secondo i giudici amministrativi, la previsione normativa di cui all'art. 137 del d.lgs. 50/2016, lungi dal porsi in contrasto con il testo letterale del predetto art. 85 della Direttiva 2014/25/UE, ponendo in capo alla stazione appaltante l'obbligo di motivare la scelta del mancato respingimento di un'offerta ove i prodotti originari da Paesi terzi superino il 50%, mostrerebbe al contrario di comprenderne e attuarne in pieno la ratio. Come si legge, e comprende maggiormente, nella Relazione illustrativa del d.lgs. n. 36/2023, il cui art. 170 si sostituisce alla previsione dell'art. 137 del d.lgs. 50/2016 mantenendone invariato il contenuto, l'aggiunta di tale onere motivazionale in caso di mancato respingimento dell'offerta costituisce infatti attuazione del c.d. principio di derivazione comunitaria del c.d. “comply or explain” (cfr. Relazione Illustrativa d.lgs. n. 36/2023, pag. 201), cosicché la scelta di non escludere un produttore di un Paese terzo che non soddisfi i requisiti previsti dalla norma, fungendo da eccezione rispetto alla suddetta esclusione, viene accompagnata da una motivazione espressa.

Secondo il TAR, infatti, «che la logica “escludente” dell'art. 85 della Direttiva 2014/25/UE possa costituire la regola mentre l'opposta ammissione dell'operatore straniero costituisca l'eccezione è, del resto, ulteriormente confermato dal disposto del terzo paragrafo dello stesso articolo 85, ove si legge che, in caso di equivalenza tra due offerte, se una “può” essere respinta ai sensi della disposizione in oggetto l'altra “viene preferita”».

Da tale analisi emerge, pertanto, che le due opzioni di “escludere” o “ammettere” un'offerta concernente prodotti originari di Paesi terzi che non soddisfano i requisiti richiesti dalla norma non sono poste dal legislatore europeo sullo stesso piano; conseguentemente, il testo dell'art. 137 del d.lgs. 50/2016 non costituisce un “travisamento” o “un erroneo recepimento della disposizione eurounitaria”, ma anzi ne esalterebbe maggiormente la matrice ispiratrice, la quale risulta ancorata alla ferma tutela della concorrenza e della par condicio tra gli operatori del mercato. Tale ratio, già evincibile dal testo della direttiva unionale, viene del resto confermata anche dalla lettura delle “Linee guida sulla partecipazione di offerenti e beni di paesi terzi al mercato degli appalti dell'UE”, pubblicate dalla Commissione Europea nel 2019, ove si legge che «L'articolo 43 della direttiva 2014/25/UE non concede a tutti gli operatori dei paesi terzi un accesso sicuro al mercato degli appalti dell'UE” e che, secondo quanto previsto dall'articolo 85 della medesima Direttiva 2014/25/UE, “I committenti pubblici che operano nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali possono respingere le offerte per contratti di fornitura se la parte dei prodotti originari di un paese terzo supera il 50% del valore totale dei prodotti che compongono l'offerta. Tale regime si applica unicamente ai prodotti originari di paesi terzi non contemplati da un accordo che garantisce un accesso comparabile ed effettivo delle imprese dell'Unione ai mercati di tali paesi terzi» (cfr. Comunicazione della Commissione C(2019) 5494 final).

Ferma la funzione delle suddette Linee guida, le quali, ponendosi come misure di terzo livello dell'articolato sistema delle fonti europee, svolgono un ruolo di supporto al fine di favorire la convergenza nell'interpretazione e nell'uniforme applicazione della disposizione, il TAR ha quindi rilevato che - alla luce di quanto previsto dall'esposto impianto normativo unionale di riferimento - «l'evidenza della corretta interpretazione e della conseguente applicazione del diritto dell'Unione da parte del legislatore italiano si presenti in modo talmente chiaro da non lasciare àdito a ragionevoli dubbi, dovendosi ritenere, pertanto, di rigettare l'istanza di rimessione della questione pregiudiziale proposta alla Corte di Giustizia per assenza del requisito della “necessità” così come previsto dall'art. 267, para. 2, TFUE».

La decisione del TAR. Muovendo al merito, secondo il giudice di prime cure la possibilità di escludere dalla gara operatori economici i cui prodotti provengono nella misura superiore al cinquanta per cento da un Paese terzo con il quale non vige un accordo di reciprocità (tale da garantire un accesso comparabile ed effettivo delle imprese dell'Unione Europea al mercato di tale Paese) «è espressamente prevista dalla normativa europea di riferimento e viene replicata, in sede di recepimento della Direttiva 2014/25/UE, dal legislatore nazionale nell'art. 137 del d.lgs. 50/2016. L'art. 85 della Direttiva 2014/25/UE facoltizza la stazione appaltante a escludere un'offerta che presenti le seguenti caratteristiche e non pone alcun obbligo motivazionale in capo alla stessa ove questa si determini a esercitare una discrezionalità espressamente riconosciutale per via normativa».

In sostanza, l'art. 137 è volto a garantire condizioni minime di tutela della par condicio tra le imprese che partecipano alle gare sul mercato degli appalti comunitari, con specifico riferimento ai casi in cui le forniture abbiano ad oggetto prodotti originari di Paesi terzi.

Si tratta pertanto di una forma specifica di tutela del generale e fondamentale principio della par condicio, che viene messo a rischio di lesione quando vengono offerti beni prodotti in paesi terzi con costi di produzione molto bassi e regole di mercato ben più competitive. Pertanto, «i beni prodotti nei paesi terzi devono presentare caratteristiche tecniche e qualitative in linea rispetto a quelle dei prodotti offerti da tutti i concorrenti alla gara. Inoltre, ai fini della verifica del rispetto delle condizioni di reciprocità, appaiono rilevanti anche i profili attinenti ai processi di produzione e di organizzazione delle imprese coinvolte, poiché questi certamente influiscono sul costo finale dei prodotti e, conseguentemente, sulla dinamica concorrenziale del mercato e sui rapporti tra gli operatori economici». A tal proposito, gli elementi relativi ai processi organizzativi e produttivi, forniscono un utile riscontro circa il rispetto di standard minimi simili tra le imprese produttrici europee e quelle di paesi terzi, che inevitabilmente incidono sulla par condicio tra gli operatori del mercato. Svolte tali verifiche, dunque, l'offerta stessa può essere poi analizzata anche sotto il profilo più strettamente economico.

A tal fine, la S.A. «può avvalersi di indici e parametri di vario genere, che consentano di mettere in luce, in particolare, eventuali processi anomali nella formazione dei prezzi finali dei prodotti» (T.A.R. Brescia, sez. I, 20 luglio 2020, n. 552; TAR Veneto, sez. I, 02 agosto 2018, n. 844).

A detta del collegio giudicante, dunque, «se questa è la ratio sottesa alla disciplina di derivazione comunitaria di cui all'art. 137, è di tutta evidenza che non risulti contraria a tale disposizione la condotta di una stazione appaltante che decida di non prevedere la partecipazione alla gara di operatori economici le cui forniture sono prodotte in un Paese con il quale non vige un accordo di reciprocità; essa, infatti, fa propria una facoltà che la norma gli attribuisce in forma “espressa” nella fase di valutazione delle offerte, ma che non può ritenersi esclusa, anche per esigenze di economicità procedimentale ed efficienza della procedura, già nel momento di predisposizione e di successiva pubblicazione della lex specialis di gara».

A rafforzare tale esito interpretativo è anche la lettura delle sopra menzionate “Linee guida sulla partecipazione di offerenti e beni di paesi terzi al mercato degli appalti dell'UE” pubblicate dalla Commissione Europea nel 2019, le quali dal combinato disposto dei paragrafi 1 e 2 dell'art. 85 della Direttiva 2014/25/UE espressamente ricavano il principio secondo cui “qualora, invece di respingere tale offerta, un committente pubblico permetta la sua partecipazione alla procedura di appalto, esso sarà tenuto a privilegiare le offerte equivalenti contenenti meno del 50% di prodotti originari di paesi terzi” (pag. 10 della Comunicazione della Commissione C(2019) 5494 final). Secondo il TAR, «non potrà sfuggire che nel prendere in considerazione la possibilità che il committente pubblico “permetta la partecipazione alla procedura di gara” ad un operatore i cui prodotti provengano per più del 50% da un Paese terzo, la Commissione UE dà per presupposta e pacifica anche l'eventualità opposta che tale partecipazione “non sia permessa” già in origine».

Alla luce di quanto sopra, quindi, «è di tutta evidenza, allora, che la scelta discrezionale operata sia stata operata in modo legittimo e si ponga nel solco di una disciplina che mira a far sì che i prodotti dei Paesi terzi, per poter essere ammessi ad una procedura competitiva, presentino determinate caratteristiche tecniche e qualitative in linea rispetto a quelle dei prodotti offerti da tutti i concorrenti alla gara».

Peraltro, va rammentato che, come già sostenuto dalla giurisprudenza espressasi in materia, la scelta se ammettere o meno l'offerta di prodotti originari di Paesi terzi in misura superiore alla soglia del 50% deve essere orientata alla tutela dell'interesse della stessa stazione appaltante ad approvvigionarsi dei prodotti corrispondenti alle proprie esigenze e alla tutela del corretto funzionamento del mercato dell'Unione, non alla soddisfazione dell'interesse degli operatori economici che hanno deciso di delocalizzare la produzione in Paesi terzi (TAR Veneto, sez. I, 8 febbraio 2021, n. 174).

Non sarebbe quindi censurabile una condotta, come quella tenuta dalla stazione appaltante, con la quale quest'ultima si sia “limitata” a esercitare la propria discrezionalità amministrativa senza motivarne i presupposti. Come emerge chiaramente dal dato testuale dell'art. 137, comma 2, del d.lgs. 50/2016, invero, la stazione appaltante «deve motivare esclusivamente la scelta di ammettere l'offerta che abbia ad oggetto prodotti originari di Paesi terzi in misura superiore al 50%, non la scelta di escluderle. Tali offerte possono essere respinte senza necessità di motivazione» (TAR Veneto, sez. I, 08 febbraio 2021, n. 174; TAR Brescia, sez. I, 20 luglio 2020, n. 552).

Sul punto si è altresì espressa in modo conforme l'ANAC, la quale con delibera n. 829 del 18 settembre 2019 ha espressamente affermato che «l'interpretazione sistematica dell'art. 137, d.lgs. 50/2016 (relativa alle offerte contenenti prodotti originari di Paesi terzi con cui l'Unione europea non ha concluso, in un contesto multilaterale o bilaterale, un accordo che garantisca un accesso comparabile ed effettivo delle imprese dell'Unione ai mercati di tali paesi terzi) legittima la stazione appaltante a respingere le offerte di prodotti originari dei predetti Paesi terzi a suo insindacabile giudizio laddove il valore degli stessi superi il 50 per cento del valore totale dei prodotti che compongono l'offerta, dovendo motivare esclusivamente la scelta di ammetterle eventualmente alla procedura trasmettendo all'Autorità la relativa documentazione».

Né dalla ratio né dal dato testuale dell'artt. 137 emergerebbero, tra l'altro, elementi preclusivi della possibilità delle stazioni appaltanti di arretrare tale scelta già al momento della pubblicazione degli atti di gara, come ribadito dalla stessa ANAC, secondo cui “la stazione appaltante può prevedere nel disciplinare di avvalersi della facoltà di legge, disponendo l'esclusione a suo insindacabile giudizio al verificarsi di un dato meramente quantitativo e cioè quando la parte dei prodotti originari di Paesi terzi superi il 50% del valore totale dei prodotti che compongono l'offerta, laddove in caso di ammissione del concorrente, la stazione appaltante deve invece motivare debitamente le ragioni della scelta trasmettendo all'Autorità la relativa documentazione. Pertanto, la scelta compiuta dalla stazione appaltante di riportare la previsione concernente l'esclusione nel disciplinare di gara e nel capitolato speciale d'appalto appare, quindi, conforme alla disciplina dettata dall'art. 137, comma 2, d.lgs. 50/2016 e ai principi generali regolanti la procedura di gara” (ANAC, Delibera n. 696 del 3 luglio 2019).

Una volta evidenziato che la scelta operata dalla stazione appaltante nella procedura di gara sia da ritenersi legittima, in quanto espressione di una scelta discrezionale pienamente ammessa dall'art. 137 del d.lgs. 50/2016 e correlata a esigenze di tutela della par condicio sostanziale tra gli operatori economici, le quali possono di volta in volta presentarsi o meno, non può ritenersi che l'esercizio di tale potere discrezionale sia avvenuto in modo illogico o contraddittorio solo in ragione di precedenti scelte difformi operate dalla stessa in altre procedure di gara.

Ed infatti, «del tutto irrilevante […] è il fatto che in precedenti affidamenti la stazione appaltante abbia deciso di non escludere sin dagli atti di indizione della gara le offerte di prodotti di Paesi terzi» (cfr. TAR Veneto, sez. I, 8 febbraio 2021, n. 174).

Deve rammentarsi, tra l'altro, che secondo costante giurisprudenza amministrativa la determinazione del contenuto del bando di gara costituisce espressione del potere discrezionale in base al quale l'Amministrazione può effettuare scelte riguardanti gli strumenti e le misure più adeguati, opportuni, congrui, efficienti ed efficaci ai fini del corretto ed effettivo perseguimento dell'interesse pubblico concreto, oggetto dell'appalto da affidare; «le scelte così operate, ampiamente discrezionali, impingono nel merito dell'azione amministrativa e si sottraggono, pertanto, al sindacato del giudice amministrativo, salvo che non siano ictu oculi manifestamente irragionevoli, irrazionali, arbitrarie o sproporzionate» (ex multis, Cons. Stato, sez. III, 01 febbraio 2022, n. 707).

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