La Corte EDU ribadisce l’obbligo degli Stati di adottare tutte le misure idonee a salvaguardare la vita dei soggetti sottoposti alla loro giurisdizione

10 Ottobre 2023

Con la pronuncia che si commenta la Corte EDU ha ribadito, in linea con la giurisprudenza sovranazionale consolidata, che la tutela del diritto alla vita umana e del correlato diritto all'integrità fisica, garantita dall'art. 2, par. 1, CEDU si sostanzia in due differenti precetti giuridici, entrambi meritevoli dell'ampia protezione convenzionale assicurata dalla norma in esame, che, ai presenti fini, deve essere correlata alla previsione dell'art. 3 CEDU.

La tutela del diritto alla vita umana e del correlato diritto all'integrità fisica, innanzitutto, comporta per gli Stati Parte il dovere di astenersi dal compiere ogni attività che possa comportare, anche solo indirettamente, la soppressione intenzionale dell'individuo

La tutela del diritto alla vita umana e del correlato diritto all'integrità fisica, inoltre, comporta per gli Stati Parte il dovere di adottare tutte le misure precauzionali idonee a salvaguardare i soggetti sottoposti alla loro giurisdizione, soprattutto nelle ipotesi in cui le attività svolte, come nel caso degli atti coercitivi posti in essere dalle forze dell'ordine nei confronti di soggetti privati, presentino connotazioni di intrinseca pericolosità.

La Corte EDU, infine, ha evidenziato, come conseguenza di tali affermazioni di principio, che, nelle ipotesi in cui si verifica il decesso di un soggetto in circostanze sospette, mentre era sottoposto a una misura restrittiva attivata dalle forze dell'ordine, occorre compiere un accertamento processuale rigoroso, finalizzato a verificare se gli operatori di polizia hanno adempiuto diligentemente ai loro doveri di tutela del diritto alla vita e all'integrità fisica dell'arrestato, che traggono il loro fondamento giuridico dall'art. 2, par. 1, CEDU.

Il caso: il decesso per overdose di un soggetto sottoposto alla vigilanza delle forze dell'ordine

Occorre premettere che la vicenda in esame trae origine dalle iniziative giudiziarie di tre cittadine italiane, rispettivamente la madre, la figlia e la compagna di C.C., un soggetto deceduto il 10 maggio 2021.

Tanto premesso, deve osservarsi che, nelle prime ore del 10 maggio 2001, C.C., che era un soggetto noto alle forze dell'ordine come tossicodipendente, veniva arrestato insieme ad altri tre soggetti nell'ambito di un'operazione antidroga, mentre stava per uscire dal suo appartamento, ubicato a Milano.

Al momento dell'arresto, C.C. versava in uno stato di grave alterazione psico-fisica, che si manifestava attraverso conati di vomito secchi, per effetto del quale gli operatori di polizia, resisi conto delle precarie condizioni di salute dell'arrestato, gli consentivano di riposare all'interno dell'auto di servizio con cui erano arrivati per prelevarlo.

Dopo l'arresto, alle ore 3.30, C.C. veniva allocato, senza essere preventivamente sottoposto a perquisizione personale, in una cella di detenzione della Questura di Milano, dalla quale, alle ore 5.50, l'arrestato chiedeva a un agente di potere andare in bagno; entrato in bagno, l'arrestato iniziava a vomitare e cadeva, tramortito, al suolo, dove veniva trovato con la saliva alla bocca e il sangue al naso dall'operatore di polizia che lo aveva accompagnato.

Si contattava, quindi, un'ambulanza del pronto soccorso, che giungeva nella sede della Questura di Milano alle ore 6.07; prelevato il corpo dell'arrestato, si provvedeva immediatamente a trasportarlo all'Ospedale Fatebenefratelli di Milano, dove, alle ore 6.16, veniva dichiarato morto.

Gli esiti dell'autopsia eseguita nell'immediatezza dei fatti sul cadavere di C.C. inducevano il medico legale incaricato a individuare la causa del decesso in una crisi respiratoria acuta provocata da un'asfissia endogena; il medico legale, invece, non era in grado di determinare l'orario esatto della morte, limitandosi a richiamare le certificazioni del presidio ospedaliero milanese dove era stato dichiarato il decesso dell'arrestato.

A distanza di circa due anni, nel corso 2003, veniva eseguita un'ulteriore verifica medico-legale sul cadavere di C.C., sulla base della quale si riteneva di individuare la causa del suo decesso in un arresto cardiaco provocato da un'intossicazione acuta da cocaina, determinata dall'assunzione della sostanza stupefacente in un momento molto prossimo alla morte, come detto, accertata alle ore 6.16 dai medici dell'Ospedale Fatebenefratelli di Milano.

A conclusione di queste verifiche processuali, il Pubblico ministero competente riteneva di non procedere nei confronti di alcun soggetto, sull'assunto che non erano stati acquisiti elementi probatori idonei dimostrare la commissione di una condotta illecita, dolosa o colposa, causativa del decesso della vittima.

La vicenda giudiziaria nazionale: il risarcimento dei danni e la responsabilità degli operatori di polizia

Dopo l'archiviazione del procedimento penale, le parti ricorrenti, richiamate nel paragrafo precedente, citavano in giudizio il Ministero dell'Interno della Repubblica Italiana davanti alla Corte EDU per le condotte di omissione di soccorso e di omessa sorveglianza di C.C. poste in essere dagli operatori di polizia che avevano in custodia la vittima dopo il suo arresto. Si sosteneva, in particolare, che già al momento dell'arresto, C.C. era in pericolo di vita per effetto delle sue precarie condizioni di salute, che si aggravavano ulteriormente durante la sua permanenza in una cella di detenzione della Questura di Milano.

Nel giudizio di primo grado, celebrato davanti al Tribunale di Milano, il Ministero dell'Interno veniva condannato, ritenendosi che gli operatori di polizia non avevano prestato le cure del caso a C.C., avevano omesso di eseguire una perquisizione personale nei suoi confronti dopo il suo arresto e non avevano vigilato adeguatamente l'arrestato dopo il suo arrivo nella Questura di Milano, la mattina del 10 maggio 2001.

Tali condotte omissive, secondo il Tribunale di Milano, assumevano un rilievo sintomatico ancora maggiore alla luce del fatto che la vittima, al momento del suo arresto, veniva trovato in possesso di un quantitativo elevato di cocaina.

Sulla scorta di questa ricostruzione della sequenza di accadimenti che portava al decesso di C.C., il Tribunale di Milano riconosceva alle parti ricorrenti due risarcimenti per i danni subiti: il primo, dell'ammontare di 100.000,00 euro, nei confronti della madre dell'arrestato deceduto; il secondo, dell'ammontare di 125.000,00 euro, nei confronti della figlia dello stesso soggetto.

Tuttavia, nel giudizio di secondo grado, instaurato a seguito dell'impugnazione del Ministero dell'Interno, la Corte di appello di Milano annullava la decisione appellata, non ritenendo dimostrata, a carico degli operatori di polizia che avevano in custodia C.C. la mattina del 10 maggio 2001, alcuna responsabilità che legittimasse la condanna dell'appellante.

Il Giudice di appello, in particolare, evidenziava che, pur essendo l'antecedente causale diretto della morte di C.C. individuabile nell'ingestione di un elevato quantitativo di cocaina, avvenuta poco prima del suo decesso, confermando le conclusioni delle verifiche medico-legali eseguite nel 2003, l'assunzione aveva determinato un aggravamento delle sue già precarie condizioni di salute, provocato dalla consumazione di elevate quantità di stupefacenti, che aveva avuto luogo prima del suo arresto.

Nel 2011, infine, la Corte di cassazione, investita del ricorso proposto dalle originarie parti ricorrenti, riteneva di non potere rivedere la ricostruzione dei fatti posta a fondamento della decisione della Corte di appello di Milano, reputando il percorso argomentativo seguito nel giudizio di secondo grado congruo e rispettoso delle emergenze processuali.

La decisione della Corte EDU: la condanna all'Italia

Con la pronuncia in esame, che interveniva a conclusione della vicenda giudiziaria descritta nel paragrafo precedente, la Corte EDU ha ribadito, in linea con la sua giurisprudenza consolidata, che il diritto alla vita e all'integrità fisica dell'individuo sono garantiti dall'art. 2, par. 1, CEDU, che è una delle disposizioni fondamentali del testo convenzionale, comporta che le autorità statali sono obbligate a rendere conto del trattamento al quale sono sottoposti i soggetti posti sotto il controllo delle forze di polizia per la loro condizione di oggettiva vulnerabilità.

Tale peculiare condizione soggettiva impone che, nell'ipotesi in cui durante la custodia cautelare si verifichi un evento pregiudizievole per la vita umana o l'integrità fisica dell'individuo, siano le autorità di polizia a dovere fornire una spiegazione plausibile e convincente della sequenza di accadimenti che hanno determinato l'evento lesivo controverso.

In questa cornice, si è evidenziato che, nel caso di specie, sebbene non esistessero prove sufficienti per potere affermare che le forze dell'ordine erano a conoscenza del fatto che C.C. avesse ingerito una dose letale di cocaina dopo il suo arresto, avvenuto la mattina del 10 maggio 2001, gli agenti che avevano in custodia la vittima avrebbero dovuto adottare ogni precauzione necessaria a prevenire eventuali rischi per la sua salute.

Secondo i Giudici di Strasburgo, tali, necessarie, misure precauzionali si imponevano, anche alla luce del fatto che C.C., che peraltro era noto alle forze dell'ordine quale tossicodipendente, al momento dell'arresto, veniva trovato in possesso di un elevato quantitativo di cocaina e versava in un'evidente condizione di grave alterazione psico-fisica, secondo quanto affermato dagli stessi operatori di polizia che lo arrestavano. Tuttavia, nonostante l'evidente precarietà delle sue condizioni di salute, l'arrestato, durante la sua permanenza nei locali della Questura di Milano, non veniva sottoposto ad alcun trattamento sanitario.

La Corte EDU, dunque, ha rappresentato che le misure restrittive che possono incidere sulla dignità dell'individuo, mettendone in pericolo la vita e l'integrità fisica, possono essere adottate solo a condizione di preservare le garanzie riconosciute dall'art. 2, par. 1, CEDU, che, naturalmente, devono essere valutate alla luce delle risorse di cui dispongono gli Stati Parte, secondo un irrinunciabile criterio di ragionevolezza, che comporta un'attenta verifica delle emergenze del caso concreto (Corte EDU, Ciechońska c. Polonia, 14 giugno 2021, n. 19776/04, §§ 63-64; Corte EDU, Fabris e Parziale c. Italia, 19 marzo 2020, n. 41603/13, § 77).

Ne discende che non si può pretendere che tutti i soggetti arrestati siano sottoposti preliminarmente a una perquisizione personale, allo scopo di impedire precauzionalmente il verificarsi di eventi tragici, analoghi a quello in esame, nel periodo in cui si trovino sotto il controllo delle forze dell'ordine.

Tuttavia, da tale consapevolezza non può farsi discendere la dispensa delle forze dell'ordine dall'adottare tutte le iniziative necessarie a impedire eventi pregiudizievoli per l'arrestato, laddove, come nel caso in esame, vi sia la possibilità, corroborata dalle informazioni acquisite nel caso concreto, che il soggetto possa compiere atti lesivi della sua integrità fisica (Corte EDU, Zinatullin c. Russia, 27 gennaio 2020, n. 10551/10, §§ 25-27; Corte EDU, Van der Ven c. Paesi Bassi, 4 febbraio 2003, n. 50901/99, §§ 61-62).

Da queste affermazioni discende ulteriormente che sorge un obbligo positivo in capo agli operatori polizia laddove le emergenze del caso concreto inducano ad affermare che gli agenti sapevano o comunque avrebbero dovuto sapere dell'esistenza di un pericolo, reale e immediato, per la vita del soggetto sottoposto al loro contingente potere coercitivo; obbligo dal quale deriva la necessità di adottare tutte le misure precauzionali idonee a evitare un tale pericolo, che rileva sia nei confronti del soggetto arrestato sia nei confronti di terzi, che venissero in contatto, anche occasionalmente, con l'arrestato (tra le altre, Corte EDU, Tınarlıoğlu c. Turchia, 2 febbraio 2016, n. 3648/04, § 86; Corte EDU, Paul e Audrey Edwards c. Regno Unito, 14 marzo 2002, n. 46477/99, § 55).

In stretta correlazione a queste affermazioni, si pone un'ulteriore questione, relativa alle modalità con cui le forze dell'ordine devono esercitare i loro poteri nel periodo in cui l'arrestato è sottoposto al loro controllo, che, nel caso di specie, comporta una verifica rigorosa delle condotte assunte sia dagli agenti della Questura di Milano che avevano in custodia C.C. sia dal funzionario preposto al turno di servizio in cui si verificava l'evento tragico; verifiche, queste, sulle quali le decisioni censurate si sono mostrate carenti. 

Per risolvere tale questione, la Corte EDU, ancora una volta, utilizza un criterio di ragionevolezza (Corte EDU, Ciechońska c. Polonia, 14 giugno 2021, n. 19776/04, cit.; Corte EDU, Fabris e Parziale c. Italia, 19 marzo 2020, cit.) – che ha un suo termine di paragone, nel nostro ordinamento giuridico, nella nozione multifunzionale di esigibilità comportamentale –, evidenziando che gli obblighi positivi devono essere interpretati in modo da non imporre un onere sproporzionato alle autorità di polizia nazionali. Non si può, infatti, pretendere che l'arrestato sia sottoposto, durante il periodo in cui sia custodito dalle forze dell'ordine, a una vigilanza individuale e permanente, fatta naturalmente eccezione per quelle ipotesi in cui tale esigenza emerga dalle circostanze del caso concreto, sulle quali si impone un accertamento processuale rigoroso, al quale, come si è detto, l'autorità giudiziaria nazionale si è sottratta.

Ne consegue che, nel caso in esame, non si poteva pretendere che gli operatori di polizia che custodivano C.C. in una cella di detenzione della Questura di Milano lo sottoponessero a una vigilanza individuale e permanente, allo scopo di prevenire il verificarsi di eventi pregiudizievoli per la sua integrità fisica, atteso che quest'attività avrebbe comportato l'impiego di agenti che, in quel turno di servizio, non erano disponibili.

Le emergenze del caso concreto, però, imponevano un'attenzione alla posizione restrittiva di C.C. non riscontrabile nel caso in esame, atteso che, al suo arrivo nei locali della Questura di Milano, la vittima, nonostante le sue precarie condizioni fisiche, peraltro incontroverse e non contestate in giudizio dai rappresentanti del Governo italiano, non riceveva alcuna assistenza medica e non veniva sottoposta ad alcuna perquisizione personale, che avrebbe impedito l'ulteriore assunzione di cocaina, rivelatasi letale.

Queste considerazioni, che, nel corso del procedimento, non sono state confutate dai rappresentanti del Governo italiano con argomentazioni adeguate, hanno indotto la Corte EDU ad affermare che le forze dell'ordine non avevano fornito a C.C. una protezione sufficiente e ragionevole della sua vita, come imposto dall'art. 2, par. 1, CEDU, che si riteneva violato dal comportamento degli operatori di polizia che lo avevano in custodia.

Conseguiva a tali statuizioni la condanna dell'Italia, quale equa soddisfazione rilevante ex art. 41 CEDU, a pagare alle parti ricorrenti la somma di 30.000,00 euro a titolo di danno morale e l'ulteriore somma di 10.000,00 euro a titolo di spese processuali.

Conclusioni: l'obbligo, per gli Stati membri, di tutela del diritto alla vita umana e all'integrità fisica dell'individuo ai sensi della CEDU

Intervenendo nel caso in esame la Corte EDU ha ribadito che la previsione dell'art. 2, par. 1, CEDU, che tutela il diritto alla vita umana, costituisce una delle disposizioni centrali dell'assetto normativo convenzionale.

L'art. 2, par. 1, CEDU, infatti, impone agli Stati Parte non solo di astenersi dalla soppressione intenzionale della vita umana, ma anche, come nel caso in esame, di adottare tutte le misure idonee a salvaguardare la vita dei soggetti sottoposti alla loro giurisdizione, soprattutto nelle ipotesi in cui le attività svolte presentino connotazioni di intrinseca pericolosità (tra le altre, Corte EDU, Zinatullin c. Russia, 27 gennaio 2020, n. 10551/10, §§ 25-27; Corte EDU, Tănase c. Romania, 25 giugno 2019, n. 41720/13, § 135).

Non può, in proposito, non rilevarsi che la tutela del diritto alla vita umana, cui si connette il diritto all'integrità fisica dell'individuo, prefigurato dall'art. 2, par. 1, CEDU, trova un contemperamento, specificamente previsto in relazione all'esercizio delle attività statuali pericolose – tra le quali certamente rientra quella di polizia –, nel secondo paragrafo della stessa disposizione, che non ritiene la morte cagionata in violazione dei doveri previsti dalla norma in esame, laddove provocata da un ricorso alla forza, resosi assolutamente necessario: «(a) per garantire la difesa di ogni persona contro la violenza illegale; (b) per eseguire un arresto regolare o per impedire l'evasione di una persona regolarmente detenuta; (c) per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o un'insurrezione».

La Corte di Strasburgo, inoltre, ha ritenuto che l'obbligo di tutelare la salute e il benessere delle persone detenute, anche solo temporaneamente, comprende necessariamente l'obbligo di adottare misure ragionevoli per proteggere l'integrità fisica dei soggetti privati della libertà personale, in linea con un risalente e tuttora insuperato arresto ermeneutico (Corte EDU, Mižigárová c. Slovacchia, 14 dicembre 2010, n. 74832/01, § 89).

L'affermazione di questi principi comporta che quando si verifica il decesso di un soggetto in circostanze equivoche, mentre era sottoposto a una misura restrittiva, occorre compiere una verifica giurisdizionale rigorosa, finalizzata ad accertare se gli operatori che hanno esercitato i poteri coercitivi – e a monte lo Stato al quale gli stessi appartengono – hanno adempiuto ai loro doveri di tutela del diritto alla vita e all'integrità fisica dell'individuo, che traggono il loro fondamento giuridico dalla previsione dell'art. 2, par. 1, CEDU.

Si è, infine, affermato che il dovere di tutelare la vita dei soggetti sottoposti ai poteri coercitivi dell'autorità statale deve essere interpretato in termini flessibili, secondo un criterio di ragionevolezza, non potendosi sostanziare tale obbligo, pur connaturato alla funzione pubblica, in un onere impossibile o sproporzionato, dovendo sempre tenersi presenti le difficoltà legate alle attività pericolose, come quella di polizia, all'imprevedibilità della condotta umana e alle risorse economiche di cui i singoli uffici, di volta in volta considerati, dispongono (Corte EDU, Shumkova c. Russia, 14 febbraio, 2012, n. 9296/06, § 90; Corte EDU, Choreftakis e Choreftaki c. Grecia, 17 gennaio 2012, n. 46846/08, §§ 48-49).

Guida all'approfondimento

Corte EDU, Ciechońska c. Polonia, 14 giugno 2021, n. 19776/04, §§ 63-64; Corte EDU, Fabris e Parziale c. Italia, 19 marzo 2020, n. 41603/13, § 77; Corte EDU, Zinatullin c. Russia, 27 gennaio 2020, n. 10551/10, §§ 25-27; Corte EDU, Tănase c. Romania, 25 giugno 2019, n. 41720/13, § 135; Corte EDU, Tınarlıoğlu c. Turchia, 2 febbraio 2016, n. 3648/04, § 86; Corte EDU, Choreftakis e Choreftaki c. Grecia, 17 gennaio 2012, n. 46846/08, §§ 48-49; Corte EDU, Mižigárová c. Slovacchia, 14 dicembre 2010, n. 74832/01, § 89; Corte EDU, Van der Ven c. Paesi Bassi, 4 febbraio 2003, n. 50901/99, §§ 61-62; Corte EDU, Paul e Audrey Edwards c. Regno Unito, 14 marzo 2002, n. 46477/99, § 55.