Principio di relatività degli effetti contrattuali

27 Ottobre 2023

Il focus tratta del principio di relatività degli effetti contrattuali e fornisce, altresì, una analisi del contratto a favore del terzo – con particolare riguardo alle caratteristiche e alle condizioni di ammissibilità – e del contratto con effetti protettivi verso terzi. 

Premessa: l'art. 1372 c.c.

L'art. 1372 c.c. definisce e delimita l'efficacia del contratto.

Mentre, ai sensi del primo comma (“Il contratto ha forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge”), l'efficacia del contratto tra le parti coinvolte è parificata a quella della legge.

Il secondo comma (“Il contratto non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge”) introduce il principio di relatività degli effetti contrattuali, escludendo qualsivoglia effetto diretto del contratto nei confronti di terzi, fatta eccezione per i casi previsti dalla legge.

Tale disposizione rappresenta la positivizzazione del principio res inter alios acta, tertio neque nocet neque prodest, secondo il quale ciò che è stato oggetto di negoziazione tra alcune persone non può nuocere e tantomeno giovare ad altri.

Giova, in via di premessa, precisare la portata delle nozioni di “parti” e “terzi”. Se, infatti, una prima lettura della norma porterebbe ad includere nelle parti solo quelle che si sono rese materialmente responsabili della conclusione dell'accordo, è necessario considerare come parti contrattuali anche gli eredi e gli aventi causa da una delle parti originarie.

Fatta eccezione per tali categorie, tutti gli altri soggetti sono da considerarsi terzi ed estranei al contratto, ai quali si applica senza dubbio l'art. 1372 c. 2 c.c.

Gli effetti diretti del contratto nei confronti di terzi

Per comprendere a fondo la portata del principio enunciato dall'art. 1372 c. 2 c.c., è necessario esaminare alcune peculiari situazioni che portano a riflettere sull'estensibilità degli effetti anche nei confronti di terzi estranei alla conclusione del contratto.

Un primo esempio è la promessa dell'obbligazione o del fatto del terzo, ovvero quella promessa che un soggetto rivolge nei confronti della controparte e che ha ad oggetto un fatto che può essere effettuato solamente da un terzo.

In tale occasione, il terzo non può essere ritenuto in alcun modo vincolato dalla promessa e, qualora non compia il fatto o la prestazione oggetto della promessa, non potrebbe essere chiamato a risponderne; ai sensi dell'art. 1381 c.c., è infatti colui che ha avanzato la promessa ad essere tenuto a indennizzare il destinatario della promessa.

Allo stesso modo, nel caso in cui il venditore stipuli un contratto di compravendita avente ad oggetto un bene di proprietà altrui, il soggetto proprietario del bene non è in alcun modo vincolato al contratto concluso. In tale ipotesi, il contratto di compravendita produce effetti meramente obbligatori e il contraente è tenuto ad acquistare la proprietà del bene dal terzo in modo tale da permettere il trasferimento del bene all'acquirente. Laddove il venditore non riesca a divenire titolare del bene è tenuto a rispondere del proprio inadempimento nei confronti dell'alienante.

Ancora, in occasione della conclusione di un pactum de non alienando tra due parti, l'acquisto di diritti sul bene da parte di un terzo a seguito al mancato rispetto del patto da parte di una delle parti obbligate è da ritenersi del tutto efficace.

Il contratto a favore di terzi

Le valutazioni della dottrina in relazione al contratto a favore di terzi hanno permesso il passaggio da una concezione “assoluta” del divieto di produzione di effetti nei confronti di soggetti terzi rispetto alle parti del negozio – concezione figlia dell'assoluto divieto di origine romana – ad una “relativa”, che riconosce la possibilità che il contratto produca, quale effetto, l'attribuzione di diritti ai terzi.

In particolare, la dottrina ha stabilito che la ratio sottesa all'art. 1372 c.c. è quella di escludere la possibilità che da un contratto derivino effetti pregiudizievoli in capo a colui che non ha partecipato alla sua conclusione. Se, al contrario, gli effetti derivanti dalla conclusione di un accordo risultano essere a favore del terzo, il tema risulta parzialmente differente.

È lo stesso art. 1411 c. 1 c.c., infatti, ad affermare che “È valida la stipulazione a favore di un terzo, qualora lo stipulante vi abbia interesse”.

Alla luce di ciò, è da ammettersi – quantomeno a livello generale – la possibilità di un contratto mediante il quale le parti coinvolte riconoscono diritti in capo ad un terzo.

In tale circostanza, un soggetto definito “promittente”, si obbliga nei confronti della controparte (c.d. stipulante) ad eseguire una determinata prestazione a favore di un terzo; l'unica condizione che pone l'ordinamento è la presenza di un interesse giuridicamente apprezzabile dello stipulante alla conclusione del contratto, interesse che può anche essere di natura meramente morale.

Ai fini della validità del contratto a favore del terzo, le parti contrattuali devono prevedere uno specifico diritto a favore del terzo, idoneamente individuato, il quale non diviene mai parte del contratto.

Il terzo può agire giudizialmente nei confronti del promittente al fine di ottenere l'adempimento della prestazione, a nulla rilevando la condotta dello stipulante.

Ai sensi dell'art. 1411 c. 3 c.c., il terzo acquista il diritto nei confronti del promittente al momento della stipulazione del contratto mantenendo, tuttavia, la facoltà di dichiarare di non voler profittare del beneficio previsto dal contratto.

Non è richiesta un'accettazione esplicita, la giurisprudenza, infatti, è concorde nel ritenere che “la titolarità del rapporto fa capo ai contrenti, mentre la titolarità del diritto appartiene al terzo beneficiario, che non diventa mai parte del contratto e la cui adesione, rilevabile anche per facta concludentia, si configura quale mera condicio iuris sospensiva dell'acquisizione del diritto (Cass. 30 marzo 2021 n. 8766).

In tale ipotesi, il contratto rimane valido e il promittente è tenuto ad eseguire la prestazione nei confronti dello stipulante, a meno che le parti non decidano diversamente di comune accordo.

Lo stipulante può sempre revocare o modificare la conclusione del contratto a meno che il terzo non abbia dichiarato di voler profittare della pattuizione in suo favore.

Secondo quanto previsto dall'art. 1413 c.c., il promittente può opporre al terzo beneficiario solo le eccezioni fondate sul contratto a favore del terzo, risultandogli preclusa ogni eccezione attinente ai suoi rapporti con lo stipulante.

La disciplina introdotta dagli artt. 1411 e ss. c.c. deve ritenersi generale e suscettibile di applicazione ad una serie indefinita di contratti che prevedono prestazioni o diritti nei confronti di terzi. Un esempio calzante è riscontrabile nei contratti di assicurazione per conto altrui e per conto di chi gli spetta di cui all'art. 1891 c.c., ove vi è una chiara scissione tra la persona che stipula il contratto e colui che viene individuato dal contratto come il beneficiario del contratto assicurativo.

Il contratto con effetti protettivi nei confronti dei terzi

I contratti con effetti protettivi nei confronti di terzi, definiti anche contratti di protezione, sono una categoria di derivazione dottrinale che ha assunto rilievo nell'ambito nei contratti conclusi nel settore sanitario e che punta a tutelare i soggetti che si trovano esposti ad alcuni rischi di danno in occasione dell'esecuzione del contratto.

In tali ipotesi, la dottrina ha riconosciuto l'esistenza di obblighi di protezione nei confronti di terzi, nascenti dal contratto e non connessi ad alcuna prestazione, individuabili nella c.d. responsabilità da status che permette di distinguere il terzo dalla generalità dei consociati e di riconoscere un interesse meritevole di tutela.

Il terzo, in caso di inadempimento della parte contrattuale agli obblighi di protezione, può agire nei confronti della stessa ai sensi dell'art. 1218 c.c.

Tale tipologia di contratto, pur essendo stata oggetto di rare applicazioni giurisprudenziali – e nella maggior parte delle ipotesi, come si è detto, in ambito sanitario – è idonea ad attribuire effetti di protezione nei confronti di terzi. Non comportando una scissione tra la titolarità della posizione contrattuale e il diritto alla prestazione, non può ritenersi compresa nei contratti di cui all'art. 1411 c.c.

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