Notifica via PEC al difensore: nulla se non andata a buon fine per errore del sistema

23 Ottobre 2023

E’ regolare la notifica via PEC al difensore nel caso di un errore tecnico nella consegna e il messaggio viene rifiutato dal sistema?

Massima

Non può considerarsi regolarmente perfezionata la notifica al difensore tramite posta elettronica certificata, nel caso di «errore 5.0.1 … il messaggio è stato rifiutato dal sistema», non essendo possibile attribuire con certezza tale errore al destinatario

Il caso

Il Tribunale di Napoli, con ordinanza emessa in sede di riesame di misure reali, annullava in parte qua il sequestro probatorio emesso in relazione al reato di usura.

Ricorre in cassazione l’indagato lamentando la violazione di legge per il mancato avviso al difensore di fiducia del ricorrente della data di udienza di trattazione dell’istanza di riesame, non recapitato al difensore perché l’avviso a mezzo PEC era stato rifiutato dal sistema, senza che venisse effettuata nei termini altra notifica regolare.

La questione

E’ regolare la notifica via PEC al difensore nel caso in cui vi sia un errore tecnico nella consegna e il messaggio venga rifiutato dal sistema?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ritiene fondato il ricorso, rispondendo negativamente al quesito in oggetto.

Viene ricordato l'orientamento di carattere generale seguito dalla giurisprudenza di legittimità per il quale in tema di notificazione al difensore tramite posta elettronica certificata, deve considerarsi regolarmente perfezionata la comunicazione o notificazione dell'atto mediante deposito in cancelleria, ai sensi dell'art. 16, comma 6, d.l. n. 179/2012, nel caso in cui la mancata consegna della PEC sia imputabile al destinatario.

Per la Cassazione la ricevuta di avvenuta consegna è idonea a dimostrare, fino a prova contraria, che la notifica si è perfezionata (si richiama il precedente arresto di Cass. pen., sez. V, n. 41697/2019).

In questi casi, la semplice verifica dell'accettazione da parte del sistema e della ricezione del messaggio di consegna, ad una determinata data e ora, dell'allegato notificato è sufficiente a far ritenere perfezionata e pienamente valida la notifica, non essendo necessario procedere ad ulteriori verifiche in ordine alla sua effettiva visualizzazione da parte del destinatario (Cass. pen., sez. VI, n. 51137/2019).

Così, nel caso in cui la PEC del destinatario sia piena, la notificazione di un atto, eseguita ad un soggetto obbligato a munirsi di un indirizzo PEC, si considera perfezionata con la ricevuta con cui l'operatore attesta che la casella di posta elettronica certificata del destinatario è piena. Tale messaggio del sistema è equiparato alla ricevuta di avvenuta consegna. Il mancato inserimento nella casella di posta, per saturazione della capienza, rappresenta un evento imputabile al destinatario (Cass. pen., sez. III, n. 14216/2020).

Ciò in quanto, ai sensi dell'art. 4, commi 1 e 2, d.l. n. 193/2009, convertito nella l. n. 24/2010, «il soggetto abilitato esterno è tenuto a dotarsi di servizio automatico di avviso dell'imminente saturazione della propria casella di posta elettronica certificata e a verificare la effettiva disponibilità dello spazio disco a disposizione» (Cass. pen., sez. II, n. 25971/2020).

Per la Suprema Corte, trova dunque applicazione, anche in sede penale, il principio più volte affermato dalle sezioni civili della Corte di cassazione secondo il quale la notificazione di un atto eseguita ad un soggetto, obbligato per legge a munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, si ha per perfezionata con la ricevuta con cui l'operatore attesta di avere rinvenuto la cd. casella PEC del destinatario "piena", da considerarsi equiparata alla ricevuta di avvenuta consegna, in quanto il mancato inserimento nella casella di posta per saturazione della capienza rappresenta un evento imputabile al destinatario, per l'inadeguata gestione dello spazio per l'archiviazione e la ricezione di nuovi messaggi (Cass. civ., sez. VI, n. 3164/2020, sez. V, n. 7029/2018; Cass. pen., sez. lav., n. 13532/2019).

Diverso è il caso di (dedotto) errore umano nella procedura di allegazione degli atti tramite Servizio di notifiche telematiche (SNT). Come si prova tale error?

Invero, la mera deduzione del ricorrente non è idonea a superare le indicazioni che si traggono dalla lettura degli atti estratti dal Servizio di notifiche telematiche (SNT), mancando la prova positiva che all'avviso notificato al difensore fossero allegati atti diversi da quelli indicati come allegati e riferibili ad altro processo, e risultando di nessun valore probatorio l'allegazione della copia del differente decreto di citazione (Cass. pen., sez. II, n. 30210/2020). È stato affermato, a questo riguardo – in una fattispecie in cui uno dei difensori dell'imputato aveva dedotto l'omessa notifica del decreto di citazione a giudizio per l'appello, allegando una stampa dell'archivio della propria posta elettronica e dell'avviso di udienza ad esso allegato, che riportava una data di udienza successiva a quella fissata – che «in tema di notificazione tramite posta elettronica certificata, la specifica procedura del "Sistema di Notificazioni Telematiche" (SNT) per gli atti processuali, che permette di allegare un documento previamente scansionato - non più soggetto a modifiche dopo l'invio - ed il controllo sulla corretta indicazione dell'indirizzo del destinatario, offre adeguate garanzie di affidabilità che non possono essere superate dalla mera, generica, deduzione della incompletezza o non corrispondenza dell'atto ricevuto all'originale scansionato» (Cass. pen., sez. III, n. 56280/2017). In particolare, è stato puntualmente osservato che, pur non potendosi escludere l'errore umano nella procedura attraverso il sistema SNT di allegazione al messaggio del documento relativo al contenuto dell'avviso notificando, la prova di tale errore va fornita non attraverso la mera deduzione della "incompletezza o non corrispondenza all'originale scansionato", ma procedendo "ad una verifica a posteriori, presso l'ufficio che ha proceduto alla notificazione dell'atto, delle operazioni compiute e dei contenuti del messaggio e degli allegati", attività consentita e possibile per il difensore della parte interessata. Nella stessa direzione ermeneutica, secondo cui in caso di notifica via PEC, la garanzia di affidabilità dei documenti allegati non è inficiata dalla mera, generica, deduzione di incompletezza dell'atto ricevuto, Cass. pen., sez. I, n. 7514/2020.

Tornando al caso oggetto della sentenza in commento, i giudici di legittimità rilevano che dalla lettura dell'avviso in atti si ravvisa un «errore 5.0.1 (…) spa» con la successiva indicazione che «presso il gestore ricevente si è verificato un errore tecnico che impedisce la consegna, il messaggio è stato rifiutato dal sistema». Pertanto, non è possibile attribuire con certezza tale errore al destinatario. «Ne consegue che si è verificata la violazione delle prerogative difensive indicate dal ricorrente, attraverso la mancata, regolare, citazione del difensore per l'udienza di trattazione della richiesta di riesame, che dovrà avere nuovamente luogo in sede di rinvio previa rinnovazione dell'avviso».

Osservazioni

La decisione in commento merita sicura condivisione laddove, in caso di rifiuto del sistema della notifica via PEC, inverte l'onere della prova, non più a carico del destinatario.

Mentre, infatti, in caso di casella piena, la notifica è regolare in quanto non è rilevabile alcun errore del sistema, qualora, come nella specie, il messaggio viene rifiutato, non è possibile attribuirlo con certezza al destinatario. Dovrà essere la parte pubblica a fornire deduzioni o dimostrazioni (assenti, come ricorda la Suprema Corte, nel caso definito con la pronuncia in rassegna).

Tale arresto è tanto più importante alla luce delle profonde modifiche apportate al sistema delle notificazioni telematiche dalla c.d. Riforma Cartabia sul sistema penale, che (tra i punti di maggiore criticità riscontrate) trasforma il difensore inun organo di notifica. Si fa riferimento alla complessiva riscrittura del sistema di notifiche all'imputato. Più precisamente, tutte le notificazioni effettuate al prevenuto non detenuto successive alla prima, con l'eccezione di quelle relative alla vocatio in iudicium, devono essere effettuate al difensore, indifferentemente se di fiducia o d'ufficio (salva l'importante deroga a tale regime semplificato di notificazione,  laddove l'imputato sia assistito dal difensore d'ufficio, e non abbia ricevuto gli avvertimenti di cui all'art. 161, comma 01, c.p.p. e la prima notifica non sia stata eseguita mediante consegna allo stesso o a persona convivente, al portiere o a chi ne fa le veci ex art. 157-bis, comma 2, c.p.p.). 

L'adozione di un regime siffatto, estendendo impropriamente la disciplina dettata per il periodo emergenziale da covid-19, determina, infatti, un più intenso onere di cooperazione con i propri assistiti pure in capo agli avvocati (soprattutto di fiducia), non possono più rifiutarsi di ricevere le notificazioni diventando un “organo di notifica” e – come evidenziato dall'Unione delle Camere Penali – snatura «la funzione col renderlo collaboratore attivo ai compiti che dovrebbero spettare alle autorità procedenti».

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