Il profitto del furto resta scollegato dalla volontà dell’agente di perseguire un’utilità di tipo patrimoniale
20 Ottobre 2023
«[…] Tuttavia, come ribadito dalla Corte costituzionale, sia pure nella prospettiva della verifica del principio di determinatezza della fattispecie incriminatrice (si veda ad es. C. cost. 172/2014) è ben possibile il ricorso ad una interpretazione integrata, sistematica e teleologica, per pervenire all'individuazione di un significato chiaro, intellegibile e preciso dell'enunciato normativo». Mi è parso doveroso prendere le mosse nello stilare queste poche osservazioni in ordine alla pronuncia delle Sezioni Unite chiamate a comporre un dissidio interpretativo circa la natura da attribuire al concetto di “profitto” relativo alle fattispecie di furto. Di per sé quanto affermato dalla Sezioni Unite della Suprema Corte di cassazione costituisce principio ermeneutico non solo condivisibile ma francamente inattaccabile. I due orientamenti contrapposti In tema di profitto del reato di furto i due orientamenti interpretativi contrapposti cui le Sezioni Unite erano chiamate a dar composizione, si differenziavano in relazione al significato da attribuire al termine “profitto”. Senza perderci in lunghe diatribe filologiche, (perfettamente ripercorse nel provvedimento in commento) le due distinte interpretazioni si basavano su di una definizione del profitto di carattere economico- patrimoniale piuttosto che su di una definizione volta a riconoscere al profitto ogni e qualsiasi utilità ricercata dall'agente. Ovvero non soltanto un'utilità di carattere economico. Patrimoniale ma anche un'utilità per così dire psicologica che, a seconda dell'intenzione dell'agente poteva variare dall'interesse ad impedire un'azione, a recare danno alla persona offesa od anche a arrecare piacere psicologico od affettivo all'agente. L'orientamento più risalente nel tempo è quello atto ad attribuire al termine “profitto” valore estensivo, ovvero a ricomprendervi ogni e qualsiasi utilità ricercata mediante la commissione dell'atto appropriativo dall'agente L'orientamento più recente tendeva invece ad attribuire al termine “profitto” un significato di carattere strettamente economico – patrimoniale, fondando la propria interpretazione anche, ma non solo, sulla natura del dolo, dolo specifico, richiesto dalla norma incriminatrice. La norma incriminatrice L'art. 624-bis c.p. recita: «- omissis -alla stessa pena di cui al primo comma soggiace chi si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, strappandola di mano o di dosso alla persona». E chiaro che vertendo il quesito di diritto e la risposta fornita dalle Sezioni Unite sul significato del termine di profitto, avremmo potuto citare la fattispecie incriminatrice generale ma la pronuncia è stata resa, pur nelle ben note forme dell'esposizione di principio di diritto su tale fattispecie e, da operai dell'ermeneutica da questa fattispecie traiamo le mosse. Pare evidente, e per vero nessuno ne contesta l'approdo, che la norma richieda il dolo specifico in capo all'agente, ovvero la volontà di trarre profitto per sé o per altri. Non è indicata nella norma la possibilità d'azione da parte dell'agente con il “fine” di arrecare danno o pregiudizio alla persona offesa dal reato. Non si dica che l'osservazione è sciocca, se io vengo privato di un mio bene ho certamente subito un danno ma il Legislatore ha richiesto che chi mi abbia privato del bene non lo abbia fatto per danneggiarmi ma esclusivamente (dolo specifico) per trarre profitto per sé o per altri. Dunque, l'interpretazione della norma deve essere tutta e necessariamente intesa ed effettuata sulla scorta dell'animus, della volontà dell'agente e, a tal fine, verificare se il profitto perseguito dallo stesso possa identificarsi anche con l'ottenimento di benefici non di natura economico patrimoniale, per sé o per altri. L'interpretazione integrata, sistematica e teleologica mi apre che un primo dato ermeneutico vada ricercato nel Titolo e nel capo in cui le fattispecie incriminatrici sono inserite nel codice sostanziale. Ed il furto è inserito nei reati contro il patrimonio. Il che farebbe propendere per una individuazione del termine profitto con esclusivo riferimento a valutazioni di stampo economico patrimoniale. Vero che il patrimonio di una persona, di un soggetto non è costituito esclusivamente dagli averi ma anche dal patrimonio di idealità e valori morali, ma altrettanto vero è che il Legislatore ha inteso proteggere detto “patrimonio” prevedendo le fattispecie penali dei reati contro la persona. Sistematica: a prescindere da ogni e qualsiasi considerazione inerente il concetto sotteso alla definizione “sistematica” non si può che osservare come la norma incriminatrice (un bis ovvero un aggiunta all'originario corpus codicisitico) che per quanto detto in relazione all'oggetto della pronuncia risulta occuparsi anche dell'art. 624 del codice sostanziale, si collochi proprio in apertura del libro XIII capo I intitolato “dei diritti contro il patrimonio” che, come noto, segue il libro XII dedicato ai reati contro la persona. Reati che si prefiggono di tutelare il patrimonio morale e spirituale della persona. Si tratta di fattispecie che sono finalizzate alla protezione del bene che, genericamente e complessivamente, possiamo identificare con la “vita”. Ovvero in quell'insieme di libertà, intangibilità, patrimonio morale e spirituale connesso all'essenza stessa dell'essere umano. Si tratta di bene che, per volontà del Legislatore Costituente, è sovraordinato rispetto al bene “patrimonio”. In virtù di questa scelta, per vero esistente anche nel regime pre repubblicano, detti reati vengono trattati antecedentemente a quelli relativi al patrimonio. Sistematicamente mi pare che quanto indicato non possa essere posto in dubbio. Ora nell'ambito di una interpretazione che gli Ermellini definiscono giuridico- funzionale, di profilo duplice (personalistico ed economico) il patrimonio viene indicato come «complesso di rapporti giuridici facenti capo ad una persona e aventi per oggetto cose dotate di funzione strumentale in quanto idonee a soddisfare bisogni umani, materiali o spirituali». La definizione, per vero bellissima e sconfinante nell'etica, è attribuita alla dottrina (quasi totalitaria) che sostiene il primo filone interpretativo, ovvero quello più rigoroso nel restringere il campo di applicazione del concetto di “profitto”. Senza necessità di intrattenersi in interessantissime disquisizioni circa il concetto di “patrimonio” non può non sottolinearsi come la definizione indicata, cui mi sento di aderire, non si riferisca minimamente al profitto che, filosoficamente ed economicamente parlando, è relativo all'utilizzo del patrimonio finalizzato ad ottenere un suo incremento di carattere economico. Quindi, il patrimonio, complesso di rapporti giuridici facenti capo ad una persona e aventi per oggetto cose dotate di funzione strumentale in quanto idonee a soddisfare bisogni umani, materiali o spirituali, diviene profitto, meglio può essere trasformato in profitto, economicamente e giuridicamente definibile ed individuabile, attraverso l'utilizzazione dei beni che lo costituiscono. Utilizzazione che deve intervenire, per sistematica interpretazione dell'intero sistema (ivi compreso quello fiscale che in punto assume rilievo anche ai sensi del disposto Costituzionale), attraverso l'impegno “economico” dei beni. Impegno che possiamo individuare, ovviamente semplificando, nella identificazione di un valore attribuibile in modo certo e riconosciuto dalla collettività al bene medesimo ed alla capacità dello stesso bene di essere oggetto di commercio (c9on aggiunta di plus valore) o di impegno per produrre altro valore. Valore che una volta prodotto costituisce “profitto”. Profitto al cui destinazione può essere utilitaristica oppure sociale o benefica, senza che essa sia in grado di intervenire sulla definizione economico giuridica del profitto che, per l'intero sistema positivo italiano ed europeo, ma vorrei dire per l'intero sistema mondiale fondato sulla circolazione e creazione di capitale, è costituito dall'impiego economico di un bene oggetto di possibile valutazione di mercato. Connettere il profitto a bene di natura personale (valori morali, utilità personali non soggette a valutazione economica) a ben vedere finisce per rendere “monetizzabili” valori connessi all'essenza stessa dell'essere umano, in ciò e per ciò svilendoli. Finendo quindi col dotare detti beni di protezioni inferiore rispetto a quella loro accordato dal Legislatore Costituente. Teleologica: se quanto richiamato può essere condiviso o condivisibile si comprende come proprio l'interpretazione teleologica renda in qualche modo obbligata la scelta di restringere il campo di interpretazione del concetto di profitto ancorandolo a quella sorta di valutazione economica cui ho fatto cenno. I valori, la scala gerarchica di protezione dei valori definita dalla Carta Costituzionale non consente commistioni tra bene patrimoniali e beni attinenti alla “vita” intesa come patrimonio dei valori dell'essere umano. Non è il caso di citare esempi quali la violazione degli artt. 609 e seguenti, piuttosto che la lunghissima e sempre aperta discussione inerente l'applicazione della scriminate portata dall'art. 52 c.p. in ordine alla difesa di beni aventi valore patrimoniale rispetto al bene vita, per sostenere la fondatezza della tesi prospettata. Teleologicamente la norma incriminatrice è volta a tutelare illeciti incrementi patrimoniali prodotti a mezzo di sottrazione di beni altrui. Altra utilità: il Legislatore colto del codice conosceva perfettamente, se solo avesse voluto utilizzarla, la tecnica per estendere l'applicabilità della fattispecie ad attività predatorie differenti rispetto a quelle aventi ad oggetto il profitto. Sarebbe stato sufficienti introdurre l'endiadi “altra utilità”. L'assenza dell'espressione citata dovrebbe portare ad un'interpretazione secondo cui il Legislatore minus dixit quam voluit, che, a memoria, mi par inapplicabile al diritto penale dotato delle guarentigie previste dall'articolo 25 della Costituzione. In conclusione, le Sezioni Unite risolvono il quesito loro sottoposto affermando il seguente principio di diritto «nel delitto di furto, il fine di profitto che integra il dolo specifico del reato va inteso come qualunque vantaggio anche di natura non patrimoniale perseguito dall'autore». Chi pensa ancora che il sistema giuridico italiano sia un sistema di civil law? *Fonte: DirittoeGiustizia |