OCF e AIGA intervengono sui criteri di sinteticità e chiarezza degli atti

La Redazione
23 Ottobre 2023

L'OCF ha inviato una lettera al Ministro della Giustizia, alla Presidente del Consiglio, ai Presidenti della Commissione Giustizia del Senato e della Camera chiedendo che il comma 5 e la seconda parte del comma 6 dell'art. 46 disp. att. c.p.c. «vengano abrogati o quantomeno adeguatamente modificati, provvedendo, in ogni caso, con tempestività all'abrogazione del decreto ministeriale 110/23 o alla revisione delle sue criticità»

L'OCF chiede una modifica del decreto

L'Organismo Congressuale Forense era già intervenuto sul tema a seguito del provvedimento del Giudice di Pace di Verona «emesso in “dichiarata” applicazione del DM n. 110/2023», ribadendo «con forza, la posizione critica circa le previsioni contenute nell'art. 46, commi quarto e quinto, disp. att. c.p.c., di cui aveva già chiesto l'abrogazione, ovvero la sostanziale modifica, che – alla luce di queste prime applicazioni – si conferma di stringente necessità».

Il provvedimento viene definito abnorme e, secondo l'OCF, dimostra l'irragionevolezza della norma «che ha il solo effetto di introdurre odiose sanzioni lasciate alla discrezionalità del giudice, e – dall'altro lato – la sua totale inutilità ai fini processuali, non favorendo in alcun modo il contenimento dei tempi del giudizio».

Tale presa di posizione, si è formalizzata nell'invio di una lettera ai vertici della politica affinchè «si facciano portatori della problematica e si adoperino affinché, nell'ambito della revisione della riforma del processo civile (d.lgs. n. 149/2022 e d.lgs. n. 151/2022), in stretta e costante collaborazione con l'avvocatura, il V comma e la seconda parte del VI comma dell'art. 46 disp. att. c.p.c. vengano abrogati o quantomeno adeguatamente modificati, provvedendo, in ogni caso, con tempestività all'abrogazione del decreto ministeriale 110/23 o alla revisione delle sue criticità, chiarendone la corretta interpretazione anche con circolari applicative al fine di evitare i rischi di provvedimenti di analoga natura».

La sentenza del Consiglio di Stato

Se dunque sul versante civile aumentano i malumori dell'avvocatura sul decreto ministeriale 110/23 che – sempre secondo OCF - «introduce surrettiziamente limiti a discapito dei cittadini e della funzione difensiva che deve mantenere libertà senza condizionamenti», sul versante della  giustizia amministrativa i limiti dimensionali degli atti difensivi sono contemplati dal codice del processo amministrativo. In applicazione dell'art. 13-ter, comma 2, dell'allegato II al codice del processo amministrativo, il decreto del Presidente del Consiglio di Stato del 22 dicembre 2016 ha stabilito criteri e limiti redazionali degli atti difensivi. Il tema è stato affrontato anche recentemente dal Consiglio di Stato che con la sentenza n. 8928 del 13 ottobre 2023 ha dichiarato inammissibile un ricorso perché – sostanzialmente -  troppo lungo.

Si legge infatti nella sentenza che «il  numero massimo di 70.000 caratteri consentiti, secondo quanto previsto dall'art. 3, comma 1, lett. b) del menzionato decreto, risulta utilizzato ed  esaurito  a p. 52 del ricorso,  prima  della articolazione  dei motivi di appello  che quindi il Collegio non è tenuto ad esaminare, quale sanzione prevista dal legislatore per i casi di violazione del principio di sinteticità degli atti processuali previsto dall'art. 3 c.p.a.». Di conseguenza «il ricorso, in presenza di motivi di appello che il Collegio non è tenuto ad esaminare diviene inammissibile perché, in relazione ad una parte essenziale per la identificazione della domanda - richiesta dall'art. 44, comma 1, lett. b) c.p.a. a pena di nullità -, viene meno l'obbligo di provvedere e con esso la stessa possibilità di esame della domanda».

Viene inoltre chiarito che, sempre da parte della giurisprudenza amministrativa, «secondo la più corretta esegesi, tale previsione non lascia al giudice la  facoltà  di esaminare o meno le questioni trattate nelle pagine successive al limite massimo, ma, invece, in ossequio ai principi di terzietà e imparzialità,  obbliga  il giudice a non esaminare le questioni che si trovano oltre il limite massimo di pagine» (Cons. Stato, sez. V, 22 settembre 2023, n. 8487).

Infine, sulla violazione del principio di sinteticità degli atti processuali, la giurisprudenza amministrativa ha anche chiarito che «il superamento dei limiti dimensionali è questione di rito afferente all'ordine pubblico processuale, stabilito in funzione dell'interesse pubblico all'ordinato, efficiente e celere svolgimento dei giudizi, ed è rilevabile d'ufficio a prescindere da eccezioni di parte. Il rigoroso rispetto dei limiti dimensionali costituisce attuazione del fondamentale principio di sinteticità (art. 3 c.p.a.), a sua volta ispirato ai  canoni di economia processuale e celerità» (cfr., da ultimo, Cons. Stato n. 8487/2023Cons. Stato n. 280/2023).

L'intervento di AIGA

Sul tema anche  AIGA ha fatto sentire la propria voce. Con un comunicato diffuso poco fa, l'Associazione dei giovani avvocati dichiara «sconcerto e disappunto di fronte all'ennesima decisione che sacrifica, sull'altare della ‘sinteticità' e della ‘chiarezza', il diritto di difesa costituzionalmente garantito non solo nella nostra Carta ma in tutti gli Stati liberali». Tramite il presidente  Francesco Paolo Perchinunno, si chiede quindi la  convocazione permanente degli Stati Generali dell'Avvocatura sul tema, «perché in questa situazione eccezionale occorrono rimedi eccezionali».

Valerio Zicaro, componente di Giunta dell'AIGA aggiunge: «Serve una forte presa di posizione che deve, questa volta, coinvolgere ed unire l'Avvocatura tutta, a partire dalle istituzioni forensi. La misura è davvero colma: in questo Paese l'esercizio del diritto di difesa viene, quotidianamente, demolito per mano di un sistema che ha trasformato le aule giudiziarie in stanze della ragioneria generale dello Stato, nelle quali, i diritti e le libertà dei cittadini sono vivisezionati attraverso il luminol dell'osservazione quantitativa».

*Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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