Sanzioni per contraffazione di marchi: gli Stati possono prevedere anche delle pene detentive, se proporzionate e calibrate in base alla gravità dell’offesa

Valentina Pirozzi
25 Ottobre 2023

Con sentenza del 19 ottobre 2023 (C-655/21), la CGUE ha ritenuto la normativa bulgara contraria al diritto europeo laddove fissa in cinque anni di reclusione la pena minima in caso di contraffazione di un marchio ripetuta o con effetti gravemente dannosi. Sul tema, i giudici hanno specificato che la contraffazione di un marchio può essere qualificata dal diritto nazionale sia come illecito amministrativo che come reato, lasciando, però, al cittadino la possibilità di comprendere agevolmente quale condotta integri una responsabilità penale. La Corte precisa, inoltre, che la direttiva sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale non si applica in materia penale ma resta agli Stati membri la discrezionalità sull'imposizione di una pena detentiva per alcuni atti di contraffazione di marchi. Ciò nonostante, tali misure repressive devono essere proporzionate.

Con la pronuncia pubblicata il 19 ottobre 2023, la Corte di giustizia dell'Unione Europea è intervenuta in risposta a ben quattro questioni pregiudiziali vertenti, le prime due, sull'interpretazione della direttiva 2004/48/CE sul rispetto dei diritti in materia di proprietà intellettuale, e le ultime due, sull'interpretazione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea relative ai profili di legalità e di proporzionalità dei reati e delle pene.

Tali questioni sono state sollevate nel quadro di un procedimento penale a carico della proprietaria di un' impresa , a cui sono stati contestati diversi reati di contraffazione di marchi registrati per aver messo in vendita, senza il consenso del titolare del relativo diritto, capi di abbigliamento su cui erano apposti segni simili a tali marchi. Giova precisare che la normativa bulgara prevede disposizioni che definiscono la stessa condotta tanto come reato quanto come illecito amministrativo.

Con la terza domanda di pronuncia pregiudiziale il giudice del rinvio chiedeva alla Corte di giustizia chiarimenti circa la conciliabilità con il diritto dell' Unione della normativa bulgara che reprime la contraffazione di marchi, in considerazione della severità delle sanzioni previste (fino a 5 anni di reclusione) e del fatto che la mancanza di criteri chiari e precisi di qualificazione come reato o come illecito amministrativo conduce a prassi contraddittorie e a una disparità di trattamento tra persone che hanno commesso praticamente gli stessi atti.

In risposta al quesito, i giudici di Lussemburgo affermano che la circostanza che la normativa bulgara preveda che la condotta di contraffazione di marchi sia qualificata anche come illecito amministrativo e preveda l'irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria non comporta una violazione del principio di legalità. Il codice penale bulgaro, infatti, è chiaro nel prevedere che qualsiasi uso nel commercio di un marchio senza il consenso del titolare del diritto esclusivo costituisce reato e dà luogo all' irrogazione delle pene menzionate in tale disposizione.

A tal riguardo, i giudici sottolineano che, secondo il principio di legalità dei reati e delle pene, le disposizioni penali devono rispettare determinati requisiti di accessibilità e di prevedibilità per quanto concerne sia la definizione del reato che la determinazione della pena; tale principio, come ribadito dalla giurisprudenza della stessa Corte, costituisce una particolare espressione del principio generale della certezza del diritto ed implica, in particolare, che la legge definisca chiaramente i reati e le pene che li puniscono, sì da consentire ad ogni cittadino di preventivare quali atti ed omissioni implicano la sua responsabilità penale.

Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiedeva se le pene stabilite dal codice penale bulgaro (articolo 172b, § 2) che prevedono una sanzione detentiva da 5 a 8 anni, nonché una multa da BGN 5000 a BGN 8000 rispettino il principio secondo cui la misura della pena non deve essere sproporzionata rispetto al reato formulato dall' articolo 49, § 3 della Carta.

Sul punto, la Corte la Corte considera che una disposizione nazionale la quale, in caso di contraffazione di un marchio ripetuta o con effetti gravemente dannosi, prevede una pena minima di cinque anni di reclusione è contraria al diritto dell' Unione.

La Corte precisa che la direttiva sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale non si applica in materia penale (accordo ADPIC/TRIPS 2), ma gli Stati membri possono imporre una pena detentiva per alcuni atti di contraffazione di marchi.

In assenza di misure legislative a livello europeo, conclude la nota della Corte, gli Stati UE restano competenti a determinare la natura e l ' entità delle sanzioni applicabili. Tuttavia, tali misure repressive devono essere proporzionate. Orbene, la previsione di una pena minima di cinque anni di reclusione per tutti i casi di uso non consentito di un marchio nel commercio non soddisfa tale imperativo. Una tale normativa, infatti, non tiene conto delle eventuali specificità delle circostanze in cui i reati sono commessi.