Autonomia dell’azione risarcitoria dinanzi al G.A.: onere di diligenza del danneggiato e esperibilità degli strumenti di tutela

25 Ottobre 2023

La pronuncia, dopo aver ritenuto ammissibile l'autonoma azione di risarcimento danni da provvedimento illegittimo riconducibile ad un motivo di censura su cui non si è formato il giudicato in quanto non ritualmente dedotto, propone una lettura degli artt. 30, comma 3, c.p.a. e 1227 c.c., in tema di diligenza esigibile dal danneggiato, improntata al principio dell'effettività della tutela, che, quanto all'esperimento degli strumenti di tutela a disposizione, esclude un onere di proposizione di ogni possibile censura.

Massima

È ammissibile la domanda di risarcimento del danno basata su vizi di legittimità non esaminati dal giudice in sede di cognizione (con effetti di giudicato), in quanto irritualmente dedotti: nei giudizi amministrativi di natura impugnatoria, il giudicato non copre dedotto e deducibile ma si forma solo in relazione ai vizi dell'atto di cui è stata accertata la sussistenza (o l'insussistenza) sulla base dei motivi di censura articolati nel ricorso.

In tema di onere di diligenza esigibile dal soggetto danneggiato, gli artt. 1227 c.c. e 30, comma 3, c.p.a. non possono essere interpretati in modo così ampio e rigido da condurre a denegare in concreto l'esistenza stessa di quella cognizione del g.a. in materia risarcitoria, che rende la tutela del g.a. effettiva, piena e satisfattiva; in particolare, nel caso di specie l'impugnativa degli atti lesivi e la proposizione di un'istanza cautelare, malgrado la non rituale proposizione di ogni possibile censura, da parte del danneggiato ha escluso la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 1227, comma 2, cc. per far venir meno la responsabilità del danneggiante.

Il caso

Permesso di costruire in area prossima a svincolo autostradale

Una società immobiliare, titolare del permesso di costruire un complesso residenziale in area situata nel territorio comunale in prossimità dello svincolo autostradale rilasciato dal Comune competente, è stata diffidata dal proseguire i lavori per presunta violazione della fascia di rispetto autostradale, da A. per l'Italia, che, dopo aver acquisito il parere negativo di An., ha altresì precisato che le opere avrebbero dovuto collocarsi ad una distanza non inferiore a 60 m. dalla sede autostradale (d.m. n. 1404, 1° aprile 1968).

Il T.A.R. ha respinto il ricorso avverso le diffide della società A., proposto previa proposizione della domanda cautelare, con sentenza confermata dal giudice d'appello appello, visto che l'unica censura fondata (violazione del combinato disposto dell'art. 1 del d.m. 1404 del 1968 e dell'art. 9, l. n. 729 del 1961 e inapplicabilità della fascia di rispetto applicabile non inferiore a 60 m.) è stata dedotta con memoria non notificata alla controparte. Il Consiglio di Stato ha tuttavia auspicato una riconsiderazione dell'intera vicenda da parte delle amministrazioni coinvolte, atteso che, in realtà, il complesso, posto ad una distanza di m. 32 dal ciglio autostradale ben poteva essere realizzato (l'art. 1 del d.m. 1404 del 1968, evocato dalla diffidante, riguarda le distanze minime a protezione del nastro stradale da osservare nella edificazione fuori del perimetro dei centri abitati e degli insediamenti previsti dai piani regolatori generali e dai programmi di fabbricazione, mentre lungo i tracciati delle autostrade e relativi accessi trova applicazione l'art. 9 della l. 729 del 1961 che prevede il rispetto di una distanza non inferiore a 25 m.).

Ottenuto, conseguentemente, il rilascio del permesso di costruire per il completamento dell'intervento, non impugnato da A. per l'Italia, la società immobiliare ha proposto nei confronti di quest'ultima dinanzi al T.A.R. (con ricorso in riassunzione a seguito di regolamento di giurisdizione con ordinanza Cass. S.U.), azione di risarcimento per i danni subiti per aver interrotto la realizzazione delle opere a causa delle diffide, da ritenersi illegittime nonostante la reiezione della domanda impugnatoria.

Il T.A.R. ha respinto la domanda risarcitoria a causa della non rituale deduzione dell'unico motivo ritenuto (in astratto) dal giudice di appello suscettibile di accoglimento, equiparando, sul piano causale, la negligente proposizione dell'azione caducatoria alla mancata attivazione degli strumenti di tutela disponibili, di cui all'art. 30, comma 3, c.p.a.

La questione

Sulla diligenza del soggetto danneggiato da provvedimento amministrativo illegittimo e il rapporto tra azione risarcitoria e altri strumenti di tutela

Tra le questioni giuridiche scandagliate dal g.a., emerge sul piano processuale il problema della proponibilità in via autonoma dell'azione risarcitoria a fronte di un'illegittimità del provvedimento amministrativo non accertata con efficacia di giudicato dal giudice del pregresso giudizio di annullamento.

La società A. ha, sotto tale profilo, eccepito l'inammissibilità della domanda di risarcimento del danno, in quanto fondata su una censura non ritualmente dedotta in sede di cognizione.

Nel merito il giudice amministrativo è stato impegnato in un'actio finium regundorum dell'onere di diligenza che grava sul danneggiato che, in nome del principio dell'autoresponsabilità e della causalità giuridica, è tenuto ad attivare gli strumenti di tutela a disposizione per limitare le conseguenze dannose del provvedimento contestato.

Il giudice di primo grado ha, ai sensi dell'art. 30, comma 3, c.p.a., ritenuto che la proposizione irrituale del motivo - considerato incidentalmente fondato dalla sentenza di appello che ha definito il giudizio di impugnazione dei provvedimenti asseritamente causativi – benché conoscibile dalla parte ricorrente sin dal momento dell'introduzione della lite integri una condotta contraria alla diligenza ordinariamente esigibile dal danneggiato, in grado quindi di recidere il nesso causale fra la condotta lesiva e il danno, ai sensi dell'art. 1227, comma 2, c.c.

Ciò nondimeno la società immobiliare in sede di giudizio d'appello ha invocato il riconoscimento del segmento di danno patito che neppure la tempestiva e completa impugnazione e l'accoglimento della domanda cautelare avrebbero potuto evitare, tenuto conto della concatenazione di effetti negativi innescati dall'arresto dei lavori.

Le soluzioni giuridiche

La diligenza del danneggiato e il principio dell'effettività della tutela

Il giudizio risarcitorio è stato ritenuto ammissibile, in considerazione dell'autonomia dello stesso rispetto al giudizio di cognizione: la reiezione della precedente domanda demolitoria non è un ostacolo alla proposizione della domanda risarcitoria ancorata alla fondatezza sostanziale di una censura irritualmente proposta – e per questo dichiarata inammissibile – affermata dal giudice di appello nell'ambito del giudizio avverso le diffide a proseguire i lavori.

Sicché l'illegittimità messa in luce, ma non accertata, nel corso del primo giudizio, può sorreggere la successiva azione di condanna al risarcimento danni, anche se su di essa non si è formato alcun giudicato, visto che nel processo amministrativo di legittimità – dove non opera il principio processualcivilistico secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile - il giudicato si forma solo in relazione ai vizi dell'atto di cui sia stata accertata la sussistenza, o l'insussistenza, specularmente ai motivi di gravame.

Nel merito quanto all'an della pretesa risarcitoria il Consiglio di Stato, riformando la sentenza del giudice di prime cure, ha propugnato una lettura degli artt. 1227 c.c. e 30 c.p.a. in linea con il principio di pienezza ed effettività della tutela, escludendo la violazione dell'obbligo di diligenza da parte del danneggiato per non avere - a fronte della tempestiva impugnazione delle diffide a proseguire i lavori e formulazione della domanda cautelare sia in primo che in secondo grado - ritualmente coltivato una delle censure che avrebbe condotto ad un esito positivo delle azioni proposte.

L'irritualità addebitata, frutto della congerie di norme, è stata considerata rilevante al più, ai sensi del comma 1 dell'art. 1227 c.c., ai fini della riduzione - non già dell'esclusione - della responsabilità del danneggiante, il quale, peraltro, in quanto nel caso di specie soggetto istituzionalmente preposto alla salvaguardia delle fasce di rispetto stradale e autostradale, sarebbe stato nella condizione di individuare più agevolmente il quadro normativo di riferimento.

Osservazioni

La diligenza del danneggiato alla luce del principio di buona fede

La statuizione di principio ricavabile dalla sentenza dei giudici di Palazzo Spada consente di chiarire che i previsti temperamenti normativi all'azione risarcitoria, in termini di limitazione o esclusione della responsabilità del danneggiante, in caso di condotta negligente del danneggiato nella cura della propria posizione, ricalcano un assetto di interessi apprestato dal legislatore, certo non caratterizzato da asimmetria delle posizioni giustapposte a vantaggio del soggetto pubblico.

Il duty to mitigate, di cui all'art. 30 c.p.a., ricognitivo dei principi sottesi all'articolo 1227 c.c., come precisa la pronuncia in esame, non può prescindere da una declinazione conforme al canone solidaristico della buona fede, di conseguenza bisogna evitare impostazioni tanto rigorose da dar vita ad un inammissibile “diritto speciale della p.a.” in materia risarcitoria, che in taluni arresti giurisprudenziali sembra profilarsi.

Guida all'approfondimento

G. Taglianetti, L'azione risarcitoria per lesione di interessi legittimi tra garanzie di giustizia ed esigenze di certezza¸ in Il Processo, fasc. 1, 2022, 101.

G.P. Cirillo, La giurisdizione sull'azione risarcitoria autonoma a tutela dell'affidamento sul provvedimento favorevole annullato e l'interesse alla stabilità dell'atto amministrativo, in Foro amm., fasc. 7/8, 2016, 1990C.

Sommario