L’Economia dei Dati (non personali): l’UE si prepara ai futuri sviluppi (e regolamentazione) del Digital Single Market

26 Ottobre 2023

Il Parlamento dell’Unione, nella logica di un nuovo passo in avanti della normativa in ambito di spazio digitale europeo, ha ritenuto di approfondire le implicazioni derivanti dalla circolazione transfrontaliera di informazioni che, per quanto non personali, siano coinvolte in processi di business e significative per i loro riflessi in termini di valore e diritti.

Nella moderna economia, infatti, la certezza delle regole dei rapporti transnazionali diviene un fattore essenziale di competitività, oltre ad essere la precondizione per una disciplina efficace, in un ambito in cui la collocazione fisica delle organizzazioni è diventata secondaria (se non neutrale) per comprendere dove ne siano collocate le risorse, l'infrastruttura e le principali attività.

La definizione di dato non personale si ricava dal Regolamento europeo del 2018 che ne stabilisce la libera circolazione nei Paesi parte ( Regolamento UE 2018/1807 ), semplicemente come “qualsiasi informazione elettronica diversa dai dati personali”.

Il legislatore unionale ha optato, quindi, per una nozione residuale ed onnicomprensiva, chiaramente finalizzata ad assicurare un importante panorama applicativo al proprio testo di legge, della quale deve oggi tenersi conto per poterne valutare l'impatto sul – ed il rapporto con il – mercato. Non solo. Tale lettura deve intersecarsi, inevitabilmente, con le altre fonti che, ad oggi, intervengono in materia di flussi informativi tra enti basati negli Stati parte.

Sono trascorsi appena cinque anni dall'entrata in vigore del Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (Reg. UE 2016/679) – più conosciuto come GDPR – che, recependone venti di evoluzione giurisprudenziale ed operativa – ha stravolto il paradigma in materia di protezione dei dati, diventando nel tempo, anche facendo leva su criteri di competenza decisamente attrattivi (meglio, vincolanti), un vero e proprio global standard in quest'area.

Il GDPR, tuttavia, già nel 2016 non costituiva un tassello isolato nella normazione europea, ma uno dei pilastri nella più ampia (e strutturata) visione di uno Spazio Digitale Comune, capace di accogliere 450 milioni di persone – secondo la prospettiva, interessati, cittadini o consumatori – e creare un ecosistema omogeneo per la libera circolazione di imprese e flussi informativi. Spazio che, stando alle fonti, dovrebbe espressamente includere tra i settori coinvolti: agricoltura; energia; finanza; Green Deal; salute; manifatturiero; mobilità; pubblica amministrazione; competenze lavorative; Open Science; media; beni culturali (per un approfondimento, vds., nel documento in commento, The Emergence of non-personal data markets, § 3.1, tab. 3, p.  20).

È questo il contesto in cui l'UfficioStudi del Parlamento Europeo (più specificamente, del Dipartimento per le Politiche Economiche, Scientifiche e della Qualità della Vita) ha da poco reso note le conclusioni della ricerca “The Emergence of non-personal data markets” ( maggiori informazioni sono disponibili sul sito web istituzionale di pubblicazione: https://www.europarl.europa.eu /thinktank/en/document/IPOL_ STU(2023)740098 ).

Il Report si presenta ricco di esempi ed elementi grafici funzionali ad una miglior comprensione delle tematiche, sviluppandosi attraverso sei sezioni (Introduzione; L'emergere ed il crescente sviluppo dell'Economia dei dati non personali/industriali; Politiche e quadro legale per i dati non personali; Case Studies; Opportunità ed ostacoli alla condivisione di dati non personali; Raccomandazioni), dopo una parte iniziale che, oltre ad includere le tabelle riepilogative, contempla un Executive Summary, utile a fotografare in (relativamente poche) righe l'esito dello studio.

La lettura del documento è interessante, perché chiarisce come il quadro legale (comprensibilmente) meno restrittivo abbia favorito una crescita esponenziale dei settori di mercato che, più di altri, hanno utilizzato la circolazione di questo tipo di informazioni come leva di innovazione (tra questi, il c.d. mining, il manifatturiero e la finanza). Tra gli aspetti più complessi, poi, si segnala come di frequente (ad esempio, in molte attività delle Pubblica amministrazione) una delle barriere all'ingresso sia rappresentata da una digitalizzazione solo parziale dei processi, che non consente di automatizzarli, mancando dati in formato leggibile per i dispositivi che dovrebbero trattarli.

Ciò determina, all'evidenza, alti costi di ingresso per operatori di mercato di piccole e medie dimensioni, con conseguente riduzione della concorrenza effettiva e distorsioni che si riverberano sulla capacità di acquisire grandi volumi da parte di singoli attori che, limitando l'interoperabilità dei sistemi, ottenendo vincoli di esclusiva contrattuale ed alterazioni nella determinazione dei prezzi.

Ulteriore aspetto sul quale riflettere è quello relativo alla difficoltà di individuare competenze adeguate a progettare ed implementare azioni efficaci in questa materia. In proposito, si cita una ricerca a campione esteso, portata avanti nel 2022, che dà conto della mancata copertura, per carenza di hard skills sui dati, di 368.000 posizioni; tendenza che parrebbe in significativo aumento, portando sino a 552.000 posizioni lavorative nel 2030.

Gli autori, infine, evidenziano come l'Unione Europea stia (correttamente) procedendo nella direzione della regolamentazione multidisciplinare (dalla protezione dei dati alla proprietà intellettuale, sino al diritto alla concorrenza) e trasversale dell'Economia dei Dati, con l'obiettivo di creare un Mercato Unico Digitale in cui trattarli in modo sicuro e trasparente; ciò comporterà, in uno scenario di forte evoluzione futura, uno sforzo legislativo coordinato ed attento, che prosegua quel disegno complessivo del quale si è già parlato.

Sforzo che, come chiaramente si ricava dallo studio, non potrà costituire un movimento isolato di carattere formale, ma dovrà accompagnarsi alla volontà politica, nella più ampia condivisione parlamentare, di svolgere adeguati investimenti in formazione ed infrastrutture, nonché digitalizzazione dei processi della pubblica amministrazione.

Solo in questo modo l'intervento di una disciplina di maggior dettaglio non diventerà controproducente: la spinta produttiva generata dalle imprese in un contesto (parzialmente) deregolamentato, invero, potrebbe esaurirsi dinanzi ad un aumento della complessità regolatoria o, quanto meno, elevare la soglia di accesso, lasciando il mercato ad un numero ridotto di operatori di grandi dimensioni, con un evidente effetto anticompetitivo e pregiudizi per tutti i loro stakeholders (privati ed istituzionali).

(Fonte: Diritto e Giustizia)

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