"La metabolizzazione del Trust: il ruolo della Cassazione": sintesi del convegno di Roma del 12-13 ottobre

02 Novembre 2023

Si è tenuto a Roma il 12 e 13 ottobre 2023 il convegno " La metabolizzazione del trust: il ruolo della Cassazione". Per il portale IUS/Contratti e obbligazioni lo ha seguito la Dottoressa Anna Iberati, sintetizzandone le principali tematiche affrontate e gli scenari futuri. Pubblichiamo il primo focus, a cui ne seguiranno altri a completamento degli argomenti trattati durante il convegno.

Premessa

Il trust è un istituto che ha le sue origini in ordinamenti stranieri e profondamente diversi dal nostro.

Nel convegno tenutosi a Roma presso la Corte di Cassazione (si veda a tal proposito la notizia pubblicata su questo portale il 9 ottobre 2023 "Trust e ruolo della Cassazione: convegno il 12 e 13 ottobre 2023 a Roma") sono state portate alla luce, commentate e scandagliate le numerose criticità che pone questo istituto, se ne è fotografato l’attuale stato dell’arte dal punto di vista della dottrina, della giurisprudenza e della prassi, con approfondimenti specifici riferiti ai settori del diritto in cui il trust viene particolarmente in rilievo.

Si è, infine, cercato di proporre qualche soluzione per una virtuosa assimilazione del trust nel nostro ordinamento giuridico, avendo di mira la conciliazione dei suoi tratti caratterizzanti con i principi e la struttura del nostro sistema giuridico.

Il trust come flusso giuridico

Autorevole dottrina descrive il trust come “flusso giuridico”. Con questa espressione ci si riferisce ad ogni dato di un ordinamento giuridico percepito come rilevante da un altro ordinamento giuridico.

L’interesse di un ordinamento per un determinato flusso giuridico è determinato da uno specifico bisogno, avvertito dal detto ordinamento. Quando ciò avviene è perché l’ordinamento che percepisce questo bisogno non rinviene al suo interno gli strumenti adatti per soddisfarlo. Ogni flusso giuridico, volta che viene attenzionato da un dato ordinamento, porta necessariamente con sé uno squilibrio, al quale l’ordinamento deve in qualche modo reagire. Il destino di ogni flusso giuridico, dunque, non può che essere di due tipi, fra loro alternativi: il rigetto o la metabolizzazione.

Nel primo caso, dopo una fase iniziale, l’ordinamento dimostra di non riuscire ad accogliere e ad assimilare quel flusso e dunque lo respinge.

Nel secondo caso, invece, il flusso giuridico viene assimilato e fatto proprio dall’ordinamento, mediante il ripristino di quell’equilibrio che era stato turbato dal suo ingresso e mediante una trasformazione dell’ordinamento giuridico stesso.

L’elemento fondamentale in questo processo è l’elemento temporale: più un flusso rimane in circolo senza rigetto né metabolizzazione, più lo si può conoscere. Il tempo quindi, in questi termini, favorisce il processo di conoscenza di un flusso. Se il processo termina con una metabolizzazione, dunque, essa sarà tanto più solida, ragionata e ponderata quanto più sarà stato lungo il processo.

La difficoltà di metabolizzazione del trust

Dottrina molto autorevole in materia ha osservato che il trust è un flusso giuridico particolarmente difficile da metabolizzare: esso ha creato un forte disordine ed il nostro ordinamento si è dimostrato non ancora pronto a riceverlo.

Il bisogno che ha orientato la nostra attenzione verso l’istituto del trust non ha evidentemente trovato risposta negli strumenti giuridici già presenti nel nostro ordinamento; quest’ultimo quindi si è rilevato inadeguato a rispondere ad alcune necessità.

In particolare, la prima esigenza storica che ha suscitato l’interesse per il trust è la tutela dei figli di genitori separati, che non ha trovato nel fondo patrimoniale un’adeguata risposta, dal momento che questo non assicura una sufficiente stabilità nel tempo dell’effetto segregativo.

Le reazioni iniziali della dottrina sono state avverse.

Le sentenze del primo periodo, soprattutto nell’ambito della giurisprudenza di merito, sono apparse contrastanti. Si è assistito a una certa accoglienza, ma non ad una presa di posizione espressa sulla liceità o meno del trust interno: tante sentenze infatti ne hanno parlato dando per scontata la sua ammissibilità, senza però affrontare espressamente la relativa spinosa questione. Successivamente, col tempo, è intervenuta qualche sentenza della Corte di Cassazione: anche in questo caso nessuna pronuncia ha affermato expressis verbis la legittimità del trust. Molte sentenze invece hanno trattato vari tipi di trust dando per scontata la loro legittimità.

Il trust incide anche su istituti propri del nostro ordinamento, come il negozio fiduciario, che dunque assume caratteri e sfumature nuove. La nostra difficoltà nell’assimilazione del trust è data soprattutto dal suo inquadramento nella fattispecie del negozio unilaterale, perché esso è fonte di un’obbligazione imposta dal disponente in capo ad un soggetto a favore di un terzo soggetto: nel nostro ordinamento l’unica figura che ricorda questa struttura è l’onere testamentario.

Altra difficoltà è sicuramente dovuta alla necessaria applicazione del diritto straniero: ciò costituisce un limite giuridicamente insuperabile, a meno che non ci si possa discostare dalla Convezione dell’Aja. Nonostante i suddetti ostacoli, alcuni fra gli intervenuti al Convegno invitano a prendere atto del fatto che istituti analoghi nel nostro ordinamento, come il fondo patrimoniale e il vincolo di destinazione, non hanno dimostrato una soddisfacente riuscita.

I problemi pratici del trust e la causa in concreto

Dopo questo primo inquadramento generale, sono state evidenziate le difficoltà pratiche e concrete con cui si scontra il trust nella realtà operativa dei consulenti di banca, chiamati a offrire consulenza ed assistenza in materia. In particolare, viene evidenziata l’esigenza dell’intermediario di conoscere la finalità cui di volta in volta mira il trust, ossia la sua causa in concreto: essa deve essere meritevole di tutela secondo il nostro ordinamento giuridico.

Quid iuris se la causa in concreto del trust viene modificata in pendenza del rapporto? Come fa l’intermediario a monitorare queste possibili variazioni? La nuova causa deve nuovamente passare al vaglio del giudizio di meritevolezza. Banca d’Italia prescrive che i destinatari del trust abbiano a disposizione una copia dell’ultima versione dell’atto istitutivo del trust, al fine di raccogliere e monitorare di continuo tutte le informazioni relative alle finalità del trust in concreto, all’identità dei beneficiari e del trustee e alle modalità di esecuzione del trust ed ogni altra circostanza.

Viene a titolo esemplificativo riportata l’esperienza pratica di una consulente bancaria in materia di trust, che illustra mediante un caso realmente accaduto le criticità effettive della metabolizzazione di questo istituto: in particolare, era stato istituito un trust che aveva passato l’esame della meritevolezza in concreto, perché era stato ritenuto finalizzato a scopi leciti, ossia l’accantonamento di risorse per far fronte a possibili inconvenienti futuri del disponente e della sua famiglia.

Tuttavia, nella sua fase dinamica questo trust era stato modificato dal disponente con scrittura privata autenticata, con cambiamento totale della finalità: era subentrato un nuovo beneficiario che aveva corrisposto un prezzo per l’acquisto della posizione di beneficiario. A questo punto, essendo venute meno le iniziali ragioni istitutive del trust, giudicate meritevoli di tutela, è stato necessario svolgere un nuovo controllo. L’intermediario deve quindi essere messo nella condizione di poter monitorare le modifiche, per avere la possibilità di controllare costantemente la causa in concreto, che deve sempre valutare, e per essere anche sempre al corrente di chi è il beneficiario finale. Queste necessità si scontrano con il fatto che secondo le normative di diversi Stati, tra le quali può scegliersi quella di volta in volta regolatrice del trust, non è obbligatorio indicarne la finalità concreta nel relativo atto istitutivo.

Conclusioni - Soluzioni proposte dalla dottrina

Per la trattazione dei vari ambiti giuridici in cui il trust viene declinato, si rimanda ai focus di prossima pubblicazione.

Ci si limita qui a riportare, in chiusura, le soluzioni proposte dalla migliore dottrina al termine di una dettagliata disamina di tutte le criticità che pone questo controverso istituto.

Un primo suggerimento, già proposto in tempi passati, è l’esplicitazione della finalità del trust all’interno dell’atto istitutivo, in particolare nelle premesse, per monitorare la già menzionata meritevolezza della causa in concreto. Seppure ciò permetta di conciliare meglio il trust con l’impianto del nostro diritto civile, questo rimedio, per ammissione stessa della suddetta dottrina, si presta a facili abusi: è infatti possibile che vengano enunciate finalità diverse da quelle in concreto volute e perseguite, o finalità sproporzionate e irrealizzabili.

Può essere inoltre utile distinguere il negozio istitutivo dal negozio dispositivo. Questa distinzione non esiste nel diritto anglosassone e dunque non viene compresa. Nel nostro ordinamento però ha dimostrato di funzionare: anche fiscalmente, come sarà approfondito nei successivi contributi in materia, abbiamo due regimi diversi. Poi, l’azione revocatoria viene tendenzialmente ammessa dalla giurisprudenza nei confronti dell’atto istitutivo.

Viene poi sottolineata l’importanza per il nostro ordinamento della pubblicità del trust: anche questo è un elemento che tendenzialmente non caratterizza il trust straniero. Non c’è infatti alcuna norma nell’ordinamento inglese che prescriva la pubblicità del trust, anzi alcuni trust nascono come segreti e addirittura non possono essere resi pubblici per legge, come i trust azionari. Ciò si spiega con il fatto che in quell’ordinamento non ci sono i nostri stessi limiti probatori, per esempio non esistono i limiti che noi abbiamo relativamente alla prova testimoniale. Anche questa proposta non ha avuto successo, perché la Cassazione ha assimilato il fenomeno al mandato senza rappresentanza.

Infine, circa la legislazione, il negozio di affidamento fiduciario è stato affermato più funzionale del trust per alcuni aspetti: il nostro diritto civile, quindi, secondo questa opinione, può potenzialmente offrire risposte migliori rispetto a quelle fornite dal trust, e ciò per la seguente ragione. Viene osservato, dalla medesima dottrina, che il nostro è un diritto ordinato e concettualizzato. Queste sono caratteristiche che tendenzialmente non appartengono all’ordinamento inglese. La mancanza di concettualizzazione, per esempio di istituti come la simulazione, che pure esisterà anche in Inghilterra sul piano fattuale, consente all’ordinamento straniero di evolversi molto più velocemente del nostro, che invece rimane tendenzialmente fermo. Nel sistema anglosassone si affronta volta per volta il caso concreto e lo si risolve, non c’è una risoluzione preventiva ed in astratto dei problemi che possono verificarsi nella realtà dei fatti. Viene dunque rilevato che le regole così elaborate possono essere contraddittorie tra loro, proprio in considerazione della loro particolare genesi.

Al diritto italiano non resta dunque che capire perché il trust viene ancora e nonostante tutto percepito come vincente: il nostro ordinamento, a parere di questa dottrina, può fare di meglio, elaborando come sa fare lui e con gli strumenti a sua disposizione, un istituto che riesca a rispondere in maniera adeguata a quello stesso bisogno che ha suscitato l’interesse per il flusso giuridico del trust.

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