L’appello privo di firma digitale è inammissibile, a nulla rilevando la verifica della regolarità della firma tramite software riconosciuto da AGID

La Redazione
02 Novembre 2023

Qualora il rapporto di verifica effettuato dalla cancelleria accerti che l'impugnazione della sentenza trasmessa a mezzo PEC non è stata sottoscritta digitalmente, il gravame va dichiarato inammissibile, a nulla rilevando la mera prospettazione di un errore del sistema informatico della cancelleria, il quale, implicando un accertamento di fatto che presuppone una verifica (ora per allora) sulla validità legale della firma digitale, va sostenuto con adeguate allegazioni di consistenza tale da rendere evidente l'errore in cui sarebbe incorso il Tribunale (nella fattispecie, la Corte ha ritenuto irrilevante la verifica compiuta dal ricorrente per mezzo di applicativi riconosciuti dall’Agenzia per l’Italia Digitale (AGID) sulla base di atti di cui manteneva la disponibilità, ma non necessariamente corrispondenti a quelli che, a mezzo mail erano stati trasmessi, ricevuti ed accettati dalla cancelleria del Tribunale).

La vicenda trae origine dall'ordinanza con cui il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere dichiarava inammissibile l'appello trasmesso telematicamente avverso la sentenza, emessa dallo stesso Tribunale, con cui l'imputato era stato dichiarato colpevole del delitto di cui all'art. 387-bis c.p. Per quanto di interesse, l'ordinanza aveva rilevato come i programmi di verifica avessero accertato l'assenza di sottoscrizione digitale dell'impugnazione ed il mancato riconoscimento da parte del sistema della firma asseritamente apposta dal difensore in calce all'atto di appello esclusivamente in formato cartaceo.

Avverso tale ordinanza l'imputato proponeva ricorso per cassazione, deducendo la violazione dell'art. 24, comma 6-sexies, lett. a), d.l. n. 137/2020, convertito, con modificazioni, nella l. n. 176/2020 con riferimento alla disciplina speciale contenuta nell'art. 5-quinquies, comma 7, lett. a), d.l. n. 162/2022

La difesa rappresentava che, contrariamente a quanto affermato nell'ordinanza, l'impugnazione risultava regolarmente firmata digitalmente su file “PDF nativo” conformemente alle prescrizioni della normativa in vigore richiamata. Il difensore, infatti, aveva provveduto a compiere tale verifica per mezzo della “InfoCert Tinexta Group Dike GoSign”, applicazione riconosciuta dall'Agenzia per l'Italia Digitale (AGID) tra i software in grado di elaborare file firmati in modo conforme alla deliberazione del Centro nazionale per l'informatica della Pubblica amministrazione (“CNIPA”) del 21 maggio 2009, n. 45, rilevando la validità e l'integrità della firma (sottoscritto dall'avv. Ida Piccolo il 7 gennaio 2023 alle ore 9:53:36 (UTC), in formato "PADES" con dispositivo di firma digitale “Namirial” S.p.a.).

Unica anomalia riscontrata dal sistema era costituita dall'emersione della doppia firma digitale (dal medesimo avvocato) contenuta nell'atto. Di qui, secondo il ricorrrente, l'insussistenza della causa di inammissibilità della impugnazione che la richiamata normativa riconduce alla sola mancanza di sottoscrizione dell'atto di impugnazione e non anche per l'irregolare sottoscrizione dovuta alla doppia sottoscrizione.

La Corte di cassazione, tuttavia, ha dichiarato inammissibile il ricorso, evidenziando la correttezza dell'operato del Tribunale. Il collegio di merito, difatti, dopo dopo aver preso atto del rapporto di verifica effettuato dalla Cancelleria che aveva accertato che l'impugnazione della sentenza non era firmata digitalmente, ha dichiarato l'inammissibilità dell'impugnazione.

A fronte del citato accertamento, la questione sottoposta dal ricorrente (che ne contestava l'esito, prospettando un errore del sistema informatico della cancelleria) implica – secondo i giudici – un accertamento di fatto che presuppone una verifica (ora per allora) sulla validità legale della firma digitale, che avrebbe dovuto essere sostenuta con adeguate allegazioni di consistenza tale da rendere evidente l'errore in cui sarebbe incorso il tribunale.

Nel caso di specie, la verifica effettuata dal ricorrente in proprio - il quale aveva rappresentato di aver effettuato detta verifica per mezzo di applicativi riconosciuti dall'Agenzia per l'Italia Digitale (AGID) – certamente effettuata sulla base di atti – di cui manteneva la disponibilità – ma non necessariamente corrispondenti a quelli che, a mezzo mail erano stati trasmessi, ricevuti ed accettati dalla cancelleria del Tribunale, non risulta sufficiente a confutare l'attestazione della cancelleria che – è bene puntualizzare – non ha rilevato l'invalidità o l'irregolarità della firma digitale, ma la sua assenza.

Secondo la Corte, pertanto, non è sovrapponibile al caso di specie il principio di diritto espresso in una diversa fattispecie secondo cui non costituisce causa di inammissibilità dell'impugnazione di un provvedimento cautelare la mera irregolarità della sottoscrizione digitale che si era realizzata con il mancato valido riconoscimento da parte del sistema di verifica dell'ufficio giudiziario destinatario, con esito di “certificato non attendibile” (Cass. pen., sez. V, 28 aprile 2022, n. 22992). Tale caso, diverso da quello oggetto del presente giudizio, è estraneo all'ambito applicativo del citato art. 24, comma 6-sexies, lett. a), che tassativamente prevede l'inammissibilità (alla lett. a) unicamente in ipotesi di mancata sottoscrizione dell'atto di impugnazione da parte del difensore e non anche allorchè la stessa risulti invalida o irregolare.

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