Profili successori e tributari del trust: sintesi del convegno di Roma

09 Novembre 2023

Pubblichiamo il secondo focus dedicato ai temi trattati al convegno di Roma "La metabolizzazione del trust: il ruolo della Cassazione". La Dottoressa Anna Iberati, che lo ha seguito per il portale IUS/Contratti e  obbligazioni, ha sintetizzato di seguito le questioni inerenti gli aspetti successori e tributari del trust.

Il primo focus, pubblicato sul portale il 2 novembre 2023, è consultabile qui.

Il trust successorio

L'argomento del trust successorio viene introdotto mettendo in risalto le norme successorie interne con le quali un istituto come il trust potrebbe scontrarsi.

Viene in rilievo l'art. 15 Conv. Aja (ratificata con L. 364/89, in vigore dal 1o gennaio 1992) che sancisce l'arretramento del trust rispetto alle norme di diritto interno sulle successioni. A questi fini bisogna dunque operare una distinzione fra trust mortis causa e trust post mortem (Cass. SU 12 luglio 2019 n. 18831).

Il primo è il trust testamentario, ossia quello che ha la sua fonte nel testamento. L'acquisto in questo caso è successionis causa e dunque vi è piena applicazione delle norme del libro II del Codice Civile, in materia di successioni.

Il secondo invece viene istituito con un atto inter vivos che produce immediatamente effetti e in cui la morte non penetra nella causa del negozio ma funge da elemento accidentale che posticipa l'effetto traslativo. L'acquisto, in questo caso, non è quindi mortis causa ma post mortem. Si tratta quindi di una liberalità non donativa.

Dopo questa distinzione introduttiva, vengono esaminate le varie norme di diritto interno con cui il trust può entrare in conflitto.

Primo fra tutti, viene in rilievo l'art. 458 c.c., che sancisce il divieto dei patti successori. Alla base di questo divieto vi è la ratio, individuata da parte della dottrina, di preservare la libertà del testatore di revocare in ogni momento e fino alla sua morte le volontà relative alla devoluzione delle sue sostanze per il tempo in cui avrà cessato di vivere. Per evitare questo contrasto, si suggerisce per esempio di prevedere la revocabilità dell'assetto predisposto con il trust, come già fanno alcune leggi regolatrici dell'istituto. Ancora, si osserva che non si impingerebbe in tale divieto, qualora la designazione del beneficiario avvenisse nel testamento stesso.

Altra norma che viene ritenuta poco compatibile con il trust è l'art. 627 c.c., che non dà azione al beneficiario reale di una disposizione fiduciaria, differentemente da ciò che è previsto nelle varie leggi regolatrici del trust.

Alcuni hanno poi rilevato profili di incompatibilità del trust con il divieto di sostituzione fedecommissaria di cui all'art. 692 c.c., ma viene rilevato da altri, anche in giurisprudenza, che nel trust non è configurabile l'ordo successivus tipico della sostituzione fedecommissaria: il beneficiario infatti non acquista direttamente dal disponente ma dal trustee.

Può capitare poi che il disponente lasci al trustee la libertà di scelta dei beneficiari. Ciò si pone in conflitto con il principio della personalità del testamento ed in particolare con il disposto dell'art. 631 c.c., nel caso in cui il trust sia mortis causa.

In generale bisogna poi considerare che il trust nasce in ordinamenti che non apprestano la tutela dei legittimari che invece caratterizza il nostro sistema successorio.

Viene soprattutto in rilievo l'art. 549 c.c., che risulterebbe violato nel caso in cui si vincolasse in trust la legittima, anche se fosse per mere ragioni di tutela e protezione del legittimario, il quale magari non è in grado di gestire personalmente i relativi beni.

Viene riportato un esempio pratico per mettere in luce i problemi che effettivamente può creare il trust successorio dal punto di vista della lesione dei diritti dei legittimari: con atto inter vivos, il disponente conferisce un'azienda in trust e trasferisce tutte le partecipazioni della relativa società a un trustee, con l'accordo che alla morte del disponente dette partecipazioni vengano trasferite solo a uno dei suoi due figli, ossia l'unico ritenuto capace di continuare l'attività d'impresa, non prima però di vent'anni dall'istituzione del trust, e quindi potenzialmente anche molto dopo la morte del disponente. Al trustee viene inoltre imposto il divieto di alienare le azioni e viene previsto che i dividendi delle azioni vengano corrisposti al disponente fino alla sua morte. Con testamento, poi, il disponente beneficia solo la figlia femmina. All'apertura della successione, tuttavia, la legittima di quest'ultima risulta lesa.

A questo punto sorgono diversi problemi:

  • il trust deve essere qualificato come liberalità indiretta? In caso di risposta affermativa, verso chi deve essere rivolta l'azione di riduzione da parte della figlia lesa nella legittima? Verso il trustee, al quale sono state alienate le azioni, o verso il fratello, che è beneficiario finale del trust? È difficile individuare il destinatario della liberalità, perché se è vero che l'intento del disponente non era quello di arricchire il trustee, è pur vero che il figlio non è avente causa diretto del disponente;
  • ancora, la figlia può chiedere la restituzione delle partecipazioni o solo l'equivalente in denaro?
  • poi, riducibile è l'atto istitutivo del trust o solo l'atto di dotazione? Su quest'ultimo punto la giurisprudenza è contrastante: alcune pronunce affermano la riducibilità del solo atto istitutivo, altre notano come ne sarebbe in questo modo travolto di riflesso anche l'atto di dotazione. La Cassazione poi ha affermato che l'azione va proposta contro i beneficiari se il trustee ha già eseguito il programma e sempreché siano individuate con certezza le finalità del trust. Se invece il programma cui mira il trust non è ancora stato realizzato, o se si tratta di un trust di scopo, l'azione andrebbe proposta verso il trustee;
  • altro problema attiene all'ordine di riduzione delle liberalità, posto che oggetto delle stesse nel caso esaminato sono sia i dividendi, sia le partecipazioni. Sono da ritenersi donazioni indirette simultanee? Si applica l'art. 564 c.c. che impone al legittimario l'onere di accettare l'eredità con beneficio di inventario per poter esperire l'azione di riduzione verso soggetti che non sono coeredi? A ben vedere, né il trustee né l'altro figlio sono coeredi, perché il testamento beneficia esclusivamente la figlia, quindi parrebbe applicabile l'art. 564 c.c.;
  • in riferimento agli effetti dell'azione di riduzione, la figlia lesa nella legittima può chiedere la restituzione delle partecipazioni o solo l'equivalente in denaro? A ben vedere, l'altro figlio non ha ricevuto le partecipazioni dal disponente e potrebbe non averle addirittura ancora ricevute al momento della morte del disponente. Può forse a questi fini farsi riferimento alla Cass. 12 maggio 2010 n. 11496, che, relativamente alle liberalità indirette, sostiene che il legittimario vittorioso nell'azione di riduzione abbia diritto a ricevere solo l'equivalente in denaro.

Giunti a questa conclusione le difficoltà non sono ancora finite, perché si pone comunque il problema di individuare il momento cui fare riferimento per quantificare il tantundem: esso corrisponde al valore che le partecipazioni hanno al momento del trasferimento al trustee, al momento dell'apertura della successione o al momento del trasferimento al figlio-beneficiario?

Viene da altro relatore infine rilevata la difficoltà dei giudici stessi di capire nei confronti di chi debba correttamente essere rivolta l'azione di riduzione nel caso di trust discrezionale, in cui viene lasciata al trustee la scelta dei beneficiari e dei beni, almeno fintantoché la discrezionalità non è ancora stata esercitata. Crea problemi in questi casi addirittura l'individuazione del petitum.

In ogni caso la giurisprudenza inquadra il trust nella fattispecie della liberalità indiretta e dunque si conclude che è calzante e sufficiente il rimedio dell'azione di riduzione, che ha come effetto l'inefficacia e non la nullità del trust, nullità che sarebbe un rimedio sproporzionato rispetto allo scopo che si pone il sistema di tutela dei diritti dei legittimari.

L'applicabilità dell'imposta sulle successioni e donazioni al trust

Viene poi da altro relatore affrontato il tema dell'applicabilità al trust dell'imposta sulle successioni e donazioni.

Già prima della reintroduzione dell'imposta sulle successioni e donazioni ad opera del DL 262/2006 conv. in L. 286/2006, si dibatteva sulla tassabilità o meno del trust.

L'art. 2 c. 47 DL 262/2006 conv. in L. 286/2006, fra gli atti che costituiscono presupposto per l'applicazione dell'imposta sulle successioni e donazioni, menziona i vincoli di destinazione.

Il primo dubbio interpretativo che genera la suddetta norma è dunque se il trust possa rientrare nella dicitura “vincoli di destinazione”.

Il secondo dubbio, che presuppone una risposta affermativa alla prima questione, riguarda il momento impositivo del trust, ossia: quale sarebbe il momento in cui va applicata l'imposta? Quello istitutivo del trust, a prescindere da qualsiasi trasferimento di diritti, oppure quello in cui se ne realizza il programma, cioè quello del trasferimento di beni ai beneficiari?

Si sono susseguite nel tempo entrambe le suddette interpretazioni.

Le prime circolari dell'Agenzia delle Entrate, emanate fra il 2007 e il 2008, individuavano il momento impositivo del trust in quello della sua istituzione, in particolare sulla base del disposto dell'art 73 TUIR, che include il trust fra i soggetti tenuti alle imposte dirette, e che quindi, secondo queste circolari, riconosce al trust un'autonomia soggettiva.

Si sono poi susseguite una serie di pronunce della Corte di Cassazione (Cass. 18 marzo 2015 n. 5322, Cass. 25 febbraio 2015 n. 3886, Cass. 24 febbraio 2015 n. 3735 e n. 3737), cui ha fatto seguito una sentenza della sezione tributaria (Cass. 7 marzo 2016 n. 4482) le quali, in linea con le suddette circolari, hanno rinvenuto nel momento istitutivo del trust quello cui fare riferimento per l'applicazione dell'imposta e ciò a prescindere dalla sussistenza o meno di un trasferimento.

Viene infatti rilevato che il citato art. 2 c. 47 DL 262/2006 conv. in L. 286/2006, menzionando i vincoli di destinazione, ha introdotto una nuova autonoma imposta sulla costituzione dei vincoli di destinazione, svincolata da un effettivo trasferimento di beni che già sarebbe tassabile di per sé, il cui presupposto si manifesta quindi per il semplice fatto dell'istituzione del trust.

Alle suddette pronunce, quando sembrava consolidata l'interpretazione dalle stesse veicolata, ne segue un'altra (Cass. 26 ottobre 2016 n. 21614), riguardante un trust “autodichiarato”, che rinviene il presupposto impositivo nel trasferimento di beni ai beneficiari e che quindi riconnette a quel momento finale, in cui si realizza la liberalità indiretta, la pretesa impositiva. Viene quindi affermato che la dicitura “vincoli di destinazione” di cui all'art. 2 c. 47 DL 262/2006 conv. in L. 286/2006 non va riferita a qualsivoglia trust, per il solo fatto della sua istituzione, bensì solo ai trust che realizzano un trasferimento e quindi ai soli trust liberali, escludendo quindi dal campo applicativo della norma quelli che non comportino arricchimento.

Seguono altre pronunce (Cass. 13 giugno 2018 n. 15468 e Cass. 30 maggio 2018 n. 13626) che distinguono i trust traslativi dai trust non traslativi: i primi realizzano un immediato trasferimento di diritti e dunque sono tassabili, i secondi no, non essendo immediatamente traslativi.

Anche le sentenze emanate nel corso del 2019 hanno confermato come principio di diritto la necessità di un effetto traslativo, per aversi il presupposto della tassazione del trust. Queste pronunce si dividono in due gruppi:

  • quelle che ribadiscono il principio suesposto, rilevando che l'atto segregativo del trust non esprime di per sé, ai sensi dell'art. 53 Cost., la capacità contributiva né del disponente né tantomeno del trustee, cui è semplicemente affidata la gestione dei beni (Cass. 7 giugno 2019 n. 15453, n. 15455 e n. 15456);
  • quelle che si fanno carico di dettare il principio di diritto secondo cui l'imposizione può avvenire solo al momento finale ossia quello del trasferimento al beneficiario.

Per finire con la disamina giurisprudenziale, l'ultima sentenza di Cassazione ad oggi massimata (Cass. 28 febbraio 2023 n. 6080), ribadisce i principi suddetti, identificando il momento impositivo in quello traslativo e riconducendo a detto momento anche l'applicazione delle imposte ipotecarie, catastali e di registro.

La Circ. AE 20 ottobre 2022 n. 34/E ha preso atto dei principi giurisprudenziali appena esposti e li ha recepiti, anche in riferimento al momento di applicazione delle imposte ipotecarie, catastali e di registro.

La giurisprudenza, dunque, a detta del relatore, può dirsi sul punto granitica.

Naturalmente, si specifica che non rientrano nel campo appena esaminato i trust onerosi come quelli liquidatori o di garanzia, dove non si rinviene alcun arricchimento né spirito di liberalità.

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