Provvedimento amministrativo negativo: è fatto divieto l’integrazione postuma della motivazione

09 Novembre 2023

La pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite analizza il divieto di integrazione postuma del provvedimento amministrativo negativo adottato in assenza della comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza in materia afferente alla giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque pubbliche.

Massima

L'integrazione in sede giudiziale della motivazione del provvedimento è ammissibile soltanto se effettuata mediante gli atti del procedimento, nella misura in cui i documenti dell'istruttoria offrano elementi sufficienti ed univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni della determinazione assunta, oppure attraverso l'emanazione di un autonomo provvedimento di convalida, restando, invece, inammissibile un'integrazione

Il caso

Il diniego di rinnovo della concessione di derivazione d'acqua, poi dichiarata decaduta, adottato in assenza di comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento della domanda

Una società ha proposto ricorso innanzi al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche per l'annullamento dei provvedimenti con cui l'Amministrazione provinciale ha rigettato la domanda di rinnovo della concessione di derivazione d'acqua a scopo idroelettrico in ambito comunale ed ha avviato il procedimento per la decadenza dalla medesima, ha successivamente dichiarato tale decadenza, ha rigettato l'istanza di revisione in autotutela del decreto che l'ha disposta ed ha infine denegato la richiesta di autorizzazione al proseguimento dell'attività dell'impianto idroelettrico. Con sentenza n. 82/2022, il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ha respinto il gravame. Avverso detta sentenza la società soccombente ha proposto ricorso per Cassazione.

La questione

Sul rapporto tra l'omissione del preavviso di rigetto e il divieto di integrazione postuma della motivazione

La ricorrente ha addotto l'illegittimità della sentenza impugnata laddove questa ha escluso che l'omessa comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento della domanda avesse inficiato il gravato diniego di rinnovo della concessione di derivazione d'acqua per violazione degli artt. 11-bis e 4, comma 1, della l. p. Bolzano n. 17/1993 e dell'art. 21-octies della l. n. 241/1990.

La società ha inoltre lamentato, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione del divieto di integrazione postuma dei provvedimenti amministrativi.

La principale questione giuridica affrontata dalla sentenza in commento è dunque costituita dal rapporto tra l'omissione del preavviso di rigetto, con conseguente difetto di contraddittorio procedimentale in ordine all'accertamento dei fatti costituenti il presupposto del diniego, e il divieto di integrazione postuma della motivazione del provvedimento.

Le soluzioni giuridiche

Il divieto di integrazione postuma della motivazione mediante scritti difensivi e atti processuali

La Corte di cassazione ha accolto i profili di censura argomentando come segue.

Il Tribunale Superiore delle Acque pubbliche ha ritenuto legittimo il diniego di rinnovo di concessione adottato in assenza del preavviso di rigetto previsto dall'art. 11-bis della l.p. Bolzano n. 17/1993, ravvisando nella fattispecie concreta la sussistenza dei presupposti per l'esclusione dell'obbligo di comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza previsti dall'art. 4, comma 1, della medesima legge.

La l.p. Bolzano n. 17/1993, che disciplina il procedimento amministrativo, prevede, al citato art. 4 comma 1, che qualora l'amministrazione constati la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza dell'istanza, il procedimento è concluso con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, con motivazione consistente in un sintetico riferimento al punto di fatto e di diritto ritenuto risolutivo e senza obbligo del preavviso di rigetto di cui al successivo art. 11-bis.

L'art. 11-bis prevede che l'amministrazione, nei procedimenti ad istanza di parte, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, deve comunicare tempestivamente all'istante i motivi che ostano all'accoglimento della domanda, con consequenziale instaurazione del contraddittorio procedimentale previsto dalla norma.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, da un lato, richiamano il proprio orientamento in materia di conseguenze dell'omissione di preavviso di rigetto in materia di derivazioni d'acqua per la produzione di energia elettrica, e, dall'altro lato, sottolineano che nel caso concreto non può ritenersi esclusa l'applicabilità della disciplina relativa all'obbligo di comunicazione.

Sotto il primo profilo, l'organo giudicante rileva che con l'ordinanza n. 28469/2022, le Sezioni Unite hanno già affermato che, nella materia – quale quella di specie - disciplinata dalla l.p. Bolzano n. 2/2015, la comunicazione dei motivi ostativi al rilascio della concessione è prescritta a pena di annullabilità del provvedimento finale per tutti i procedimenti ad iniziativa di parte.

Sotto il secondo profilo, la Corte di Cassazione afferma che nel caso concreto il Giudice speciale ha erroneamente ritenuto versarsi in materia di provvedimento semplificato in quanto non si è avveduto della peculiare struttura dell'atto impugnato, la considerazione della quale avrebbe dovuto condurre a conclusioni diverse.

Il provvedimento impugnato innanzi al Tribunale Superiore delle Acque pubbliche ha, in realtà, un duplice oggetto in quanto reca sia il rigetto dell'istanza di rinnovo della concessione di derivazione d'acqua, sia l'avvio del procedimento per la decadenza dalla concessione ab initio rilasciata.

Il diniego di rinnovo è stato motivato sulla base della sussistenza di una mai assentita variante sostanziale apportata dall'istante all'originaria concessione, in quanto causa di sua decadenza.

L'avvio del procedimento di decadenza è stato a sua volta motivato sulla base del difforme esercizio dell'impianto così come derivante dalla suddetta variante.

Lo stesso presupposto di fatto, quindi, consistente nell'esercizio difforme dell'impianto in base ad una non assentita variante sostanziale, è stato posto a base sia del diniego all'istanza di rinnovo della concessione sia dell'avvio del procedimento relativo alla sua decadenza.

Tuttavia, mentre l'avviato procedimento volto all'adozione dell'atto di decadenza si è poi svolto nell'osservanza delle regole che lo disciplinano e si è concluso con l'adozione del relativo decreto, il diniego di rinnovo, asseritamente fondato sulle stesse ragioni, è stato adottato prima che la causa di decadenza fosse stata accertata e dichiarata.

In quest'ottica, con riferimento al provvedimento di diniego, non solo è mancato il necessario contraddittorio procedimentale in quanto è stata omessa la comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento della domanda consistenti nella variante non assentita, ma si è anche verificata un'indebita integrazione postuma della motivazione poiché la decadenza connessa alla variante (e l'uso difforme dell'impianto che ne è derivato) è stata dichiarata solo all'esito di procedimento svoltosi successivamente.

La sentenza impugnata, che ha ritenuto nella fattispecie non necessario il preavviso di rigetto sull'istanza di rinnovo della concessione, quindi, per un verso non ha fatto corretta applicazione del principio di diritto già affermato dalle Sezioni Unite circa la previsione della comunicazione a pena di annullabilità, e, per altro verso, è incorsa nel vizio concernente l'integrazione postuma della motivazione in quanto il fatto costituente la ragione giustificatrice del provvedimento impugnato è stato accertato solo successivamente.

Osservazioni

La motivazione come requisito sostanziale e non formale del provvedimento e riflessi in punto di divieto di integrazione postuma

La Corte di Cassazione ha richiamato, a supporto della propria decisione, l'orientamento espresso dal Consiglio di Stato secondo il quale, nel processo amministrativo, l'integrazione in sede giudiziale della motivazione è possibile soltanto mediante gli atti del procedimento, se ed in quanto i documenti dell'istruttoria offrano elementi da cui poter evincere univocamente le concrete ragioni della determinazione assunta, oppure attraverso l'adozione di un autonomo provvedimento di convalida, restando, invece, inammissibile un'integrazione effettuata in sede di giudizio mediante atti processuali o scritti difensivi (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, 30 gennaio 2023, n. 1096; Cons. Stato, 28 novembre 2022, n. 10448).

Anche in dottrina è ormai superato l'orientamento di coloro i quali, muovendo dal presupposto che la motivazione costituisca un requisito formale del provvedimento amministrativo, ne ammettevano l'integrazione postuma.

In base all'orientamento maggioritario, che sostiene la natura di requisito non formale ma sostanziale della motivazione, la possibilità di completamento successivo deve essere esclusa.

Il supporto testuale viene rinvenuto nella lettera dell'art. 3 della legge n. 241/1990, che, nel descrivere il contenuto della motivazione del provvedimento, allude alle ragioni che “hanno determinato” la decisione dell'amministrazione, con ciò collocando temporalmente la cristallizzazione della giustificazione dell'atto al momento in cui questo è stato adottato.

Ammettendo la motivazione a posteriori si giungerebbe, infatti, ad invertire l'ordine logico e cronologico che deve intercorrere tra procedimento e processo, con l'effetto di costringere il privato ad agire in giudizio per conoscere le ragioni poste dall'amministrazione a base della propria decisione.

Dunque, la motivazione è un requisito sostanziale del provvedimento e la sua successiva integrazione mediante scritti difensivi non è ammissibile.

Secondo un ancor più rigoroso orientamento, il completamento ex post delle basi argomentative dell'atto conclusivo del procedimento non sarebbe possibile neppure attraverso un autonomo provvedimento di convalida, posto che questa è ammessa soltanto in presenza di vizi formali.

Sono invece pacificamente ammesse sia la ricostruzione della motivazione mediante gli atti del procedimento in presenza di attività vincolata, sia l'argomentazione difensiva volta a meglio esplicitare le ragioni già espresse nel provvedimento impugnato.

Il caso di specie, tuttavia, rappresenta un'ipotesi peculiare nella misura in cui l'integrazione postuma della motivazione non risulta direttamente ascrivibile agli atti processuali, quanto, piuttosto, alla circostanza, in tali atti richiamata, che l'elemento addotto a presupposto del rigetto dell'istanza di rinnovo della concessione è stato cristallizzato solo successivamente ad opera di un provvedimento che, adottato all'esito del procedimento avviato unitamente al rigetto, ha definitivamente accertato il fatto costituente sia la causa di decadenza che il presupposto del diniego.

La particolarità della fattispecie all'esame sta dunque nella coincidenza del presupposto di due distinti provvedimenti adottati l'uno successivamente all'altro e nel fatto che solo nel procedimento relativo al secondo hanno avuto luogo l'istruttoria e il contraddittorio che invece sono mancati nel primo; da qui i riflessi in punto di divieto di integrazione in sede processuale della motivazione.

In questo modo, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione civile, nell'aderire all'orientamento del Consiglio di Stato sul divieto di integrazione postuma del provvedimento, sembrano averlo colorato di nuove e sostanziali sfumature.

Guida all'approfondimento

In dottrina si segnala CAPORALE, Dal Consiglio di Stato un tentativo di canonizzazione della motivazione postuma, in Giur. It., 2014, 1696; TROPEA, Motivazione del provvedimento e giudizio sul rapporto: derive e approdi, in Dir. proc. amm., 2017, 1235 ss.; MUSONE, Gli sviluppi del divieto di motivazione postuma del provvedimento amministrativo, in Giorn. dir. amm. 2018, 316 ss.

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