Lotta ai contenuti illeciti online: imporre obblighi generali e astratti ai fornitori di piattaforme social di altri Stati UE viola la direttiva e-commerce

La Redazione
13 Novembre 2023

La CGUE (9 novembre 2023, C-376/22), interrogata sulla legittimità di una legge austriaca che obbliga i fornitori nazionali ed esteri di piattaforme di comunicazione a predisporre meccanismi di dichiarazione e verifica dei contenuti illeciti, ha affermato che uno Stato membro non può imporre al fornitore di una piattaforma di comunicazione stabilito in un altro Stato membro obblighi generali e astratti. Ai sensi della Direttiva 2000/31/CE (direttiva e-commerce), la libera circolazione dei servizi della società dell'informazione provenienti da altri Paesi membri può essere limitata solo attraverso provvedimenti adottati “caso per caso”. Un approccio differente, infatti, mina la fiducia reciproca tra gli Stati membri ed è contrario al diritto UE che garantisce la libera circolazione dei servizi attraverso il principio del controllo nello Stato membro di origine del servizio interessato.

Nel 2021 l'Austria ha introdotto una legge che obbliga i fornitori nazionali ed esteri di piattaforme di comunicazione a predisporre meccanismi di dichiarazione e verifica dei contenuti potenzialmente illeciti. Questa legge prevede, inoltre, la pubblicazione regolare e trasparente delle segnalazioni di contenuti illeciti. Un'autorità amministrativa garantisce il rispetto delle disposizioni della legge e può infliggere ammende fino a 10 milioni di euro.

Tre piattaforme stabilite in Irlanda, leader nel settore della comunicazione, sostengono che la legge austriaca è contraria al diritto dell'Unione, in particolare alla direttiva sui servizi della società dell'informazione [1].

Interrogata su tale questione da un giudice austriaco, la Corte di giustizia ricorda l'obiettivo della direttiva: creare un quadro normativo per garantire la libera circolazione dei servizi della società dell'informazione tra gli Stati membri. In quest'ottica, la direttiva elimina gli ostacoli rappresentati dai diversi regimi nazionali applicabili a tali servizi grazie al principio del controllo nello Stato membro di origine.

Vero è che, a condizioni rigorose e in casi specifici, gli Stati membri diversi dallo Stato membro di origine del servizio in questione possono effettivamente adottare provvedimenti al fine di garantire l'ordine pubblico, la tutela della sanità pubblica, la pubblica sicurezza o la tutela dei consumatori. Tali deroghe concrete devono essere notificate alla Commissione europea e allo Stato membro di origine.

Tuttavia, gli Stati membri diversi dallo Stato membro di origine del servizio in questione non possono adottare provvedimenti di carattere generale e astratto applicabili indistintamente a qualsiasi prestatore di una categoria di servizi della società dell'informazione. Con «indistintamente» si intendono i prestatori stabiliti in tale Stato membro e i prestatori stabiliti in altri Stati membri.

Infatti, la possibilità per questi Stati membri di adottare tali obblighi generali e astratti metterebbe in discussione il principio del controllo nello Stato membro di origine del servizio interessato sul quale si basa la direttiva. Se lo Stato membro di destinazione (in questo caso l'Austria) fosse autorizzato ad adottare tali provvedimenti, ciò sconfinerebbe nella competenza normativa dello Stato membro di origine (in questo caso l'Irlanda). Peraltro, ciò minerebbe la fiducia reciproca tra gli Stati membri e contravverrebbe al principio del riconoscimento reciproco. Inoltre, le piattaforme interessate sarebbero soggette a normative diverse, il che violerebbe anche la libera prestazione dei servizi e quindi il buon funzionamento del mercato interno.

[1] Direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno.