Discriminazioni di genere: l’insieme delle restrizioni imposte dai talebani alle donne afghane costituisce una persecuzione che legittima lo status di rifugiato

La Redazione
13 Novembre 2023

L'Avv. Gen. Richard de la Tour (conclusioni del 9 novembre 2023, cause riunite C-608/22 e C-609/22) risponde in modo affermativo a una corte austriaca che chiede alla CGUE se il trattamento discriminatorio dei talebani nei confronti delle donne in Afghanistan possa essere qualificato come atto di persecuzione che giustifica il riconoscimento dello status di rifugiato e se, ai fini della valutazione individuale della domanda di protezione internazionale, uno Stato membro possa dedurre un fondato timore di subire una persecuzione tenendo conto unicamente del genere della richiedente. Secondo l'Avv. Gen. la somma di tali atti e misure discriminatori costituisce una persecuzione per la gravità delle privazioni che comporta, ed è attuata nei loro confronti per il solo fatto di stare sul territorio, indipendentemente dalla loro identità. Nulla osta a che uno Stato membro riconosca, per tali donne, la sussistenza di un fondato timore di persecuzione in ragione del loro genere, senza dover ricercare altri elementi propri della loro situazione personale.

Dopo il ritorno del regime dei talebani in Afghanistan, la situazione delle donne si è deteriorata a tal punto che si può parlare di negazione vera e propria della loro identità. Tale regime è caratterizzato da una somma di atti e di misure discriminatori che limitano o addirittura vietano, in particolare, il loro accesso all'assistenza sanitaria e all'istruzione, il loro esercizio di un'attività professionale, la loro partecipazione alla vita pubblica e politica, la loro libertà di movimento nonché la pratica di un'attività sportiva, che le privano della protezione contro la violenza di genere e la violenza domestica e impongono loro di coprirsi interamente il corpo e il viso.

Una corte austriaca chiede alla Corte di giustizia se un tale trattamento possa essere qualificato come atto di persecuzione che giustifica il riconoscimento dello status di rifugiato. Essa chiede inoltre se, ai fini della valutazione individuale della domanda di protezione internazionale, uno Stato membro possa concludere che sussiste un timore fondato di subire una persecuzione tenendo conto unicamente del genere della richiedente.

Nelle conclusioni presentate il 9 novembre 2023, l'Avvocato Generale Jean Richard de la Tour considera che la somma di atti e di misure discriminatori adottati nei confronti delle ragazze e delle donne dai talebani in Afghanistan costituisce una persecuzione. Infatti, a suo avviso, tali atti e tali misure, per la gravità delle privazioni che comportano, possono compromettere la loro integrità fisica o mentale, al pari delle minacce più dirette alla loro vita. Per il loro effetto cumulativo e per la loro applicazione deliberata e sistematica, tali misure dimostrano l'istituzione di un'organizzazione sociale basata su un regime di segregazione e di oppressione nei confronti delle ragazze e delle donne, nel quale queste sono escluse dalla società civile e private del diritto di condurre una vita decente e dignitosa nel loro paese d'origine. Tali misure portano quindi a negare in modo flagrante e con accanimento i diritti più essenziali delle ragazze e delle donne, a motivo del loro genere, privandole della loro identità e rendendo intollerabile la loro vita quotidiana.

L'Avvocato Generale considera altresì che tale regime è attuato nei loro confronti per il solo fatto di stare sul territorio, indipendentemente dalla loro identità o dalla loro situazione personale. Sebbene una donna possa non essere colpita da una o più delle misure di cui trattasi in ragione di caratteristiche che le sono proprie, la stessa rimane esposta a restrizioni e privazioni che, prese singolarmente o considerate nel loro insieme, raggiungono un livello di gravità equivalente a quello richiesto per essere qualificate come persecuzioni. In tali circostanze, nulla osta, a suo avviso, a che uno Stato membro ritenga che non sia necessario dimostrare che la richiedente sia presa di mira in ragione di tratti distintivi diversi dal proprio genere.