Trust, azione revocatoria e crisi d'impresa: sintesi del convegno di Roma

17 Novembre 2023

Pubblichiamo il terzo focus dedicato ai temi trattati al convegno "La metabolizzazione del trust: il ruolo della Cassazione", tenutosi a Roma il 12 e 13 ottobre 2023. Questa volta la Dottoressa Anna Iberati ha sintetizzato le questioni relative al trust e all'azione revocatoria e quelle relative al trust e alla crisi d'impresa.

Ricordiamo che il primo focus è stato pubblicato il 2 novembre 2023 ed è consultabile qui, il secondo è stato pubblicato il 9 novembre 2023 ed è consultabile qui.

Il beneficiario del trust è litisconsorte necessario nell'azione revocatoria?

Fra le varie questioni affrontate, si è cercato di dare una risposta al seguente quesito: il beneficiario del trust è litisconsorte necessario nell'azione revocatoria proposta da un creditore contro il disponente o il trustee?

Nel tempo si sono susseguiti fra gli interpreti diversi approcci al problema.

La tesi tradizionale ragiona sulla base dello schema fattispecie-effetti, laddove la fattispecie è il rapporto che intercorre fra il beneficiario ed il trustee. Sul punto, la Corte di Cassazione (Cass. 3 agosto 2017 n. 19376) si è pronunciata rilevando che l'interesse del beneficiario di un trust alla buona amministrazione del patrimonio vincolato non assurge al rango di diritto soggettivo. Ne consegue, secondo il ragionamento della Corte, che il beneficiario non titolare di diritti attuali sui beni non è litisconsorte necessario e nemmeno può ritenersi legittimato passivo. Detta ultima qualifica spetta solo a disponente e trustee. A parere del relatore, lo schema fattispecie-effetti non è idoneo a cogliere tutte le sfumature e le possibili declinazioni concrete di un fenomeno così complesso come il trust.

Un'altra prospettiva esposta, che trascende questo schema, è quella dell'interesse sostanziale. In particolare, viene dal relatore riportata una dottrina (Lorenzo Campagna, in “Studi in ricordo di Alberto Auricchio”, 1983) che ha analizzato la posizione del mandatario nel mandato ad acquistare senza rappresentanza. Il mandatario riveste una posizione formale, che si ricollega al fatto di aver acquistato in nome proprio. L'acquisto che il terzo dovesse fare dal mandatario sarebbe valido ed efficace, a meno che il mandante non agisca in rivendica ai sensi dell'art. 1706 c.c. In questa fattispecie emerge una dissociazione tra posizione formale e sostanziale, che vincola il mandatario a fare un certo uso del bene acquistato, sulla base di un elemento esterno alla fattispecie, attinente al suo rapporto con il mandante. La posizione formale nei confronti dell'ordinamento e dei terzi è rivestita dal mandatario. La posizione sostanziale, ossia l'interesse del mandante al godimento del bene, non emerge invece nella sfera formale ma in quella della programmazione di interessi. Questo interesse sostanziale fuoriesce dal piano extragiuridico, diventando un valore giuridico al pari della situazione formale, nel momento in cui viene esercitata l'azione di rivendica.

Il relatore rinviene un parallelismo tra la fattispecie appena esaminata ed il trust. In particolare, osserva che, così come il mandatario, anche il trustee riveste solo una posizione formale. Allo stesso modo, il beneficiario di un trust è titolare di un interesse sostanziale che non appare sul piano formale nei confronti dei terzi, assumendo quindi una posizione simile a quella del mandante.

Prima di giungere, quindi, a una corretta risposta in ordine al piano processuale, è necessario, secondo il relatore, inquadrare correttamente il piano dell'interesse sostanziale.

La giurisprudenza degli anni successivi (a partire da Cass. 29 maggio 2018 n. 13388), sulla base di questa differente impostazione incentrata sull'interesse sostanziale, sposta il fuoco dal rapporto trustee-beneficiario al rapporto fra disponente e beneficiario. L'interesse sostanziale, secondo questa giurisprudenza, emerge alle condizioni previste dall'ordinamento, così come avviene per il mandato con l'art. 1706 c.c.. In materia di azione revocatoria, l'art. 2901 c.c. distingue tra acquisto a titolo oneroso ed acquisto a titolo gratuito: solo nel primo caso è richiesta la consapevolezza del pregiudizio da parte del terzo.

La Corte di Cassazione precisa che lo stato soggettivo del terzo, rilevante esclusivamente nel caso di atto a titolo oneroso, è quello del beneficiario, che è il vero titolare dell'interesse sostanziale, non quello del trustee che è mero titolare formale.

La giurisprudenza ha chiarito anche che l'onerosità non deve essere messa in relazione all'eventuale compenso dell'incarico del trustee, che non attiene alle caratteristiche del rapporto di trust ma è solo un effetto del relativo incarico. Viene invece in primo piano la vicenda reale degli interessi, cioè il rapporto sottostante fra disponente e beneficiario, che può essere connotato da varie cause: può essere un rapporto di garanzia, un rapporto solutorio od in alternativa mirare al soddisfacimento di bisogni della famiglia. Solo nei primi due casi è rinvenibile l'onerosità.

Il problema del litisconsorzio necessario va dunque risolto sulla base della natura dell'atto, guardando al rapporto sostanziale intercorrente tra il disponente ed il beneficiario: se l'atto dispositivo è da qualificarsi a titolo oneroso, sulla base dell'interesse del beneficiario, acquista rilievo lo stato soggettivo di quest'ultimo, che sarà quindi litisconsorte necessario; se invece l'atto è a titolo gratuito, lo stato soggettivo del beneficiario non assurge ad elemento costitutivo e dunque egli, che potrebbe addirittura non essere a conoscenza dell'atto di disposizione patrimoniale a suo vantaggio, non può essere ritenuto litisconsorte necessario.

Lo stato soggettivo del terzo cade nel giudicato, come elemento costitutivo della fattispecie; il creditore, quindi, ha tutto l'interesse ad ottenere una pronuncia che sia utilmente opponibile al beneficiario: la sentenza che accerta lo stato soggettivo del beneficiario senza che questo sia stato invocato in giudizio, sarebbe a lui inopponibile.

Il trust nella crisi d'impresa

Relativamente alla riforma nell'ambito della crisi di impresa, viene rilevato che il nuovo Codice non ha variato l'impianto fondante della materia: l'ossatura ed i principi sono rimasti immutati.

L'intento della riforma è stato piuttosto quello di arretrare il baricentro della concorsualità, con l'obiettivo di far emergere il prima possibile i segnali di crisi dell'impresa. Questa impostazione comporta, a detta del relatore, un innalzamento notevole del tasso di negozialità del sistema: la negoziazione diventa dunque il filo conduttore del sistema.

A riprova di quanto appena affermato, viene richiamato l'art. 23 CCI, che sciorina una serie di strumenti utilizzabili per comporre negozialmente la crisi, affermando così la primazia del negozio giuridico fra gli strumenti di composizione della crisi.

I relatori hanno dedicato particolare attenzione a quella che viene considerata una pronuncia fondamentale in materia (Cass. 9 maggio 2014 n. 10105). La citata sentenza afferma la non riconoscibilità di un trust costituito a ridosso di un'insolvenza già conclamata, con l'obiettivo di portare su un piano parallelo alla procedura concorsuale la liquidazione e la ripartizione del ricavato fra i creditori, con l'affidamento di questi compiti a un trustee.

Il principio enunciato dalla Cassazione viene ritenuto condivisibile dai relatori, anche in considerazione del periodo storico in cui la stessa è stata emessa, quando cioè cominciava ad emergere la sensibilità alla tematica della causa in concreto (a tal proposito si veda quanto detto nel paragrafo “I problemi pratici del trust e la causa in concreto” nel focus "La metabolizzazione del Trust: il ruolo della Cassazione: sintesi del convegno di Roma del 12-13 ottobre"). La Corte riconosce nel curatore l'unico fiduciario del giudice nell'ambito dell'insolvenza, tenuto ad osservare regole pubblicistiche, di trasparenza, il tutto sotto l'egida della par condicio creditorum. I suoi compiti, dunque, non potrebbero essere svolti da un soggetto diverso, quale il trustee.

Un trust di questo tipo sarebbe quindi, secondo la Corte, in contrasto con le regole pubblicistiche del nostro ordinamento in materia di crisi d'impresa, venendo a tal proposito in rilievo la lett. e) dell'art. 15 Conv. Aja.

La diffidenza di massima mostrata dalla giurisprudenza è secondo i relatori giustificata dal fatto che l'ipotesi più ricorrente nella prassi, evidentemente patologica, è scandita dai seguenti passaggi, nell'ordine: costituzione di un trust, deposito del bilancio di liquidazione a zero ed infine cancellazione della società dal Registro delle Imprese.

Viene comunque osservato che la pronuncia in esame, se da un lato lascia trapelare una certa diffidenza nei confronti del trust liquidatorio, negando la riconoscibilità del c.d. trust anti-concorsuale, dall'altro lato suggerisce possibili modalità per un suo utilizzo virtuoso, in armonia con le regole pubblicistiche che caratterizzano il nostro sistema concorsuale.

La sentenza esamina infatti tre tipi di trust liquidatorio, oltretutto riconoscendo in questo modo implicitamente la meritevolezza del trust interno:

  • il primo è quello basato sull'autonomia privata e teso a mettere a disposizione beni per la soddisfazione dei creditori nel rispetto delle cause legittime di prelazione, con obiettivi equiparabili a quelli della liquidazione volontaria. La Corte non richiede, per la sua ammissibilità, che questo tipo di trust presenti utilità maggiori rispetto ad altri strumenti forniti dal nostro ordinamento, con ciò dimostrando un significativo riconoscimento di questo istituto;
  • un secondo tipo è quello che si pone come misura alternativa o accessoria alle misure concordate della crisi di impresa;
  • infine, ed è la fattispecie concreta portata all'attenzione della Corte, vi è il trust definito “anti-concorsuale”, che ostacola il dipanarsi della procedura concorsuale e come tale non è riconoscibile, sulla base del disposto della lett. e) dell'art. 15 Conv. Aja (ratificata con L. 364/89, in vigore dal 1o gennaio 1992).

Nel contesto appena descritto, dunque, i margini di operatività del trust si esplicavano soprattutto in materia di concorsualità ristrutturatoria, e quindi in ambito di concordato preventivo. Si osserva che se da un lato il trust comporta una segregazione di beni, che conseguentemente vengono sottratti alla garanzia generica di cui all'art. 2740 c.c., dall'altro lato è in linea con gli scopi della concorsualità ristrutturatoria che mira alla ristrutturazione dell'impresa, perché assolve ad una funzione di garanzia. I casi portati all'attenzione della Suprema Corte riguardavano soprattutto terzi finanziatori che, in un momento in cui l'insolvenza non si era ancora manifestata, mettevano a disposizione dei beni vincolandoli in trust come garanzia ulteriore per i creditori, e come guardiano del trust veniva nominato il Commissario giudiziale.

Vengono infine messi in risalto da un relatore altri principi importanti affermati dalla medesima sentenza.

Innanzitutto, viene precisato che l'anno entro il quale può essere dichiarato il fallimento decorre dalla effettiva cancellazione della società dal Registro delle Imprese, non dalla presentazione della relativa istanza, come invece sostenuto dal ricorrente.

Viene poi espressamente negata la soggettività del trust: se è vero che si tratta di un patrimonio segregato, esso fa pur sempre capo al trustee, che è il vero titolare di questi rapporti.

Da ultimo, viene citata Cass. 18 luglio 2023 n. 20907, in tema di cancellazione della pregressa cancellazione della società dal Registro delle Imprese, che dimostra anch'essa un'apertura all'utilizzabilità del trust quale strumento di composizione della crisi, ma, anche in questo caso, solo in fase pre-crisi, quando cioè ancora l'insolvenza non si è manifestata.

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